I dimenticati dell’arte. Aldo Braibanti, lo scrittore difeso da Moravia e Pasolini
Filosofo e scrittore, Aldo Braibanti fu anche al centro di una drammatica sentenza contro la quale si schierarono gli intellettuali del suo tempo, da Moravia a Pasolini
Fin da bambino la sua passione sono le formiche, che osserva per studiare da vicino le abitudini e i costumi di quelle che ama definire “le nostre sorelle terrestri”. Interessato alla vita degli insetti sociali, lo scrittore e filosofo Aldo Braibanti (Fiorenzuola d’Arda, 1922 – Castell’Arquato, 2014) aveva cominciato a conoscerli accompagnando suo padre medico nelle campagne piacentine, godendo della libertà di pensiero di una famiglia profondamente antifascista.
LA STORIA DI ALDO BRAIBANTI
Se a soli otto anni Braibanti legge Dante e Leopardi, e compone i suoi primi versi poetici, da studente al Liceo Romagnosi di Parma scrive e distribuisce in maniera clandestina un manifesto dedicato a “tutti gli uomini vivi”. Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di Filosofia a Firenze, dove studia Giordano Bruno e Spinoza, mentre l’interesse per le formiche assume intenzioni più scientifiche. Durante la Seconda Guerra Mondiale partecipa alla lotta partigiana e si iscrive al PCI, che abbandona nel 1947 con una poesia pubblicata sulla rivista Il Ponte, intitolata Non è un addio ma un congedo. Nello stesso anno fonda, all’interno del torrione Farnese di Castell’Arquato, un laboratorio artistico insieme ai fratelli Renzo e Sylvano Bussotti, dove per sei anni vengono prodotti ceramiche, opere teatrali, formicai artificiali, prose, saggi e poesie, poi riuniti nella raccolta in quattro volumi Il circo e altri scritti (1960). Una volta conclusa questa esperienza, nel 1962 Braibanti si trasferisce a Roma, dove comincia a collaborare con la rivista Quaderni Piacentini, lavora nella compagnia del giovane Carmelo Bene e scrive lo spettacolo teatrale Virulentia, basato su una serie di tableaux vivant che si concludono con il film Transfert per kamera verso Virulentia, girato nel 1968 con Alberto Grifi. “Un genio straordinario. C’intendemmo subito. ‘Vieni a trovarmi a Fiorenzuola d’Arda’, mi aveva detto. Abitava in una torre molto bella. Aveva un formicaio che curava maniacalmente. Sapeva tutto delle formiche e di molte altre cose”. Così Braibanti viene descritto da Carmelo Bene, suo grande estimatore insieme a Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Elsa Morante, Marco Bellocchio e Umberto Eco, i quali protestano violentemente per la conclusione del “caso Braibanti”, che prevede la condanna di Braibanti per plagio a nove anni di carcere.
IL CASO BRAIBANTI
Nel 1968 finisce così in maniera drammatica un processo durato quattro anni, a seguito della denuncia sporta nel 1964 contro lo scrittore da Ippolito Sanfratello, padre del giovane Giovanni, che aveva seguito Braibanti a Roma. Sanfratello, conservatore e molto cattolico, accusa Aldo di aver influenzato suo figlio e di avergli imposto pensieri, principi e gusti sessuali. Il mondo intellettuale si rivolta contro la sentenza, e Pasolini scrive: “Se c’è un uomo ‘mite’ nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente e a nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l’accusa, pretestuale, di plagio?”. La vicenda si conclude in maniera drammatica. Giovanni Sanfratello viene rinchiuso per quindici mesi in manicomio, mentre Braibanti trascorre due anni in carcere, che descrive con queste parole, tratte dal volume Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti (2003): “Quel processo, a cui mi sono sentito moralmente estraneo, mi è costato due nuovi anni di prigione, che però non sono serviti a ottenere quello che gli accusatori volevano, cioè distruggere completamente la presenza di un uomo della Resistenza, e libero pensatore, ma tanto disinserito dal mondo sociale da essere l’utile idiota adatto a una repressione emblematica”. Una vicenda che allora suscitò lo sdegno di Alberto Moravia, autore del libro Sotto il nome di plagio (1969), che riunisce una serie di interviste di intellettuali contro quella assurda condanna, frutto di un clima di repressione contro i diversi, ricostruito oggi dal film Il signore delle formiche di Gianni Amelio, che uscirà nelle sale l’8 settembre 2022.
‒ Ludovico Pratesi
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