I dimenticati dell’arte. Bortolo Sacchi, il pittore che dipingeva l’inquietudine di Venezia

A lungo dimenticato, il veneziano Bortolo Sacchi merita di essere riscoperto. Grazie a una pittura che guarda ai maestri del passato e alle atmosfere della prima metà del Novecento

Una Venezia silenziosa e demoniaca, abitata da donne misteriose, nani dall’espressione grottesca e giovani santi in estasi. Questo è l’immaginario di Bortolo Sacchi (Venezia, 1892 ‒ Bassano del Grappa, 1978), protagonista dell’arte veneta negli anni del ritorno all’ordine ma con accenti nordici, dovuti ai suoi studi in Germania.

LA STORIA DI BORTOLO SACCHI

Bartolomeo, detto Bortolo, nasce a Venezia ma si forma all’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera con il professor Hugo Habermann, e lavora sia come pittore che come ceramista, dal 1909 al 1913. Rientrato in patria, Sacchi si concentra principalmente sulla pittura, guardando alle tele di Felice Casorati ma anche alle opere di Gino Rossi: studia le tecniche pittoriche antiche ed è interessato alle visioni di santi e martiri, dipinte a fil di pennello dai maestri del Rinascimento veneziano come Andrea Mantegna, Giovanni Bellini e Jacopo Tintoretto. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di Marina, e alla fine del conflitto si dedica anima e corpo all’arte, con risultati interessanti e originali, come l’opera Autoritratto in veste di santo (1920), dove si ritrae con lo sguardo rivolto verso se stesso e un’espressione estatica ma anche ironica. “Imbozzolata in una specie di vortice che la solleva verso l’alto, la testa aureolata del ‘santo’ si avvita su sé stessa e il collo si allunga oltre misura, in un’ascesi che è anche fisico sollevamento e letterale ‘presa in giro’ del genere ‘autoritratto’”, ha scritto Nico Stringa per sottolineare la peculiarità dell’arte di Sacchi.

Bartolo Sacchi, Autoritratto in veste di santo. Courtesy Galleria Carlo Virgilio

Bartolo Sacchi, Autoritratto in veste di santo. Courtesy Galleria Carlo Virgilio

LO STILE E LE OPERE DI SACCHI

Nello stesso anno l’artista esordisce alla Biennale di Venezia con due opere, Autoritratto e Le ortiche, dove compaiono già i segni della sua ricerca, rivolta verso una dimensione metafisica e fantastica in bilico tra passato e presente, che trova nel tempo immobile della città lagunare un palcoscenico perfetto. È uno stile che piace anche al re Vittorio Emanuele III, il quale acquista l’opera Il Cieco (1924); forse uno dei massimi capolavori di Sacchi è La straniera (1928), esposta nello stesso anno alla Biennale, dove una giovane donna dai tratti meticci cammina per le calli veneziane avvolta da un mantello a larghe pieghe, simile agli abiti dei santi nelle pale di Bellini o di Carpaccio. Con un occhio al Simbolismo e l’altro al Realismo Magico, Sacchi raggiunge la maturità negli Anni Trenta, con opere come Le ballerine, Nudo allo specchio e Sul ponte.

Bortolo Sacchi, La straniera, 1928. Courtesy Museo Biblioteca Archivio – Bassano del Grappa

Bortolo Sacchi, La straniera, 1928. Courtesy Museo Biblioteca Archivio – Bassano del Grappa

SACCHI: DAL SUCCESSO ALL’OBLIO

Nel corso del decennio partecipa tre volte alla Quadriennale (1931, 1939 e 1943), nel 1935 espone undici opere alla mostra commemorativa dei quarant’anni della Biennale di Venezia, e quattro anni dopo vince il premio Quadriga con il dipinto La Fatica del Legionario. La sua fortuna cessa dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando lascia Venezia e si ritira a Bassano del Grappa, dove muore nel 1978, a 86 anni. Dimenticato per decenni, nel 2000 il Museo Civico di Bassano ha dedicato al pittore la retrospettiva Bortolo Sacchi 1892-1978: disegni, dipinti, ceramiche, curata da Mario Guderzo.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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