Dalla Sardegna alla Street Art. Intervista a Tellas

All’anagrafe Fabio Schirru, Tellas ripercorre la sua storia di street artist e non solo. Spaziando dalla Sardegna al Canada.

Tellas è nato a Cagliari nel 1985, e lì ha iniziato il suo percorso artistico. La sua opera è una visione personale e intima del paesaggio che lo circonda. Un processo meditativo che unisce spazio e forma. Nel 2015 il lavoro di Tellas è stato presentato in The Urban Contemporary Art Guide a cura di Graffiti Art Rivista, classificandosi tra i cento migliori artisti emergenti nel mondo. Tellas esprime la sua arte in diversi modi: disegno, pittura, installazioni, stampa, produzioni video che confermano l’intento di sperimentare.
Ha partecipato a numerosi eventi internazionali, ma due fra i più importanti sono: Artmossphere, la prima Biennale di Street Art a Mosca, che ha visto la partecipazione di settanta artisti da tutto nel mondo, e La Tour Paris 13, una delle organizzazioni più innovative rispetto ai progetti di arte temporanea.
Ha completato una vasta opera d’arte pubblica a Cagliari e diverse importanti opere d’arte pubblica a Madrid, Perth, e il suo primo dipinto murale a Helsinki.
Il suo lavoro include anche importanti collaborazioni con brand del calibro di Ferragamo e Marni. Con quest’ultimo, Tellas ha realizzato dipinti murali e installazioni successivamente inseriti nel documentario A grande terra do Sertão, presentato alla 56esima Biennale di Venezia. Alcune delle sue ultime opere d’arte pubbliche si trovano a Klaipeda, Delhi e Parigi. Tellas è rappresentato dalla galleria Wunderkammern di Roma e dalla galleria Magma di Bologna.

Partiamo dal tuo recente lavoro in Canada, a Montreal: ci puoi raccontare che tipo di esperienza è stata?
Il progetto di Montreal è stato curato da MU, un’associazione che si occupa di arte pubblica, e dall’Istituto Italiano di Cultura. L’opera si intitola Circle of seasons, un tema su cui lavoro da anni, e che qui in Canada ha un peso molto importante. L’inverno a Montreal è molto rigido, le temperature arrivano a circa -40 gradi, e dura quasi 9 mesi. In estate la città si scopre, si attiva, ed è verdissima. Per due settimane le temperature sono altissime. Insomma, è come se fossero due città differenti. È su questo contrasto di colori e sensazioni che ho voluto lavorare. Inoltre ho voluto tenere un vuoto, una parte di storia dell’edificio, lasciando non dipinto un grande cerchio al centro della parete.

Qual è il significato del tuo nome?
Il mio nome all’anagrafe è Fabio Schirru. Il nome Tellas è nato in un periodo in cui mi sono appassionato alla storia della mia terra d’origine, la Sardegna. Avevo incrociato la parola “Tellas” in un libro di archeologia nuragica, che chiamava in questo modo le pietre di scarto utilizzate per la realizzazione dei nuraghi, imponenti costruzioni in pietra presenti in tutta l’isola, uniche nel mondo, e risalenti, secondo gli studiosi, al 1800 a. C. La Sardegna è una terra arida, secca, pietrosa. Mi piaceva il suono di questa parola, e pensavo potesse rappresentare bene la mia ricerca.

Tellas, Tropico assoluto, 2017

Tellas, Tropico assoluto, 2017

La tua definizione di Street Art: cos’è per te un muro? Cosa significa fare arte una strada?
Un muro è qualcosa che delimita, separa, una barriera, un confine, qualcosa che ostruisce il nostro sguardo, limitando la vista sul paesaggio. Uso i muri come supporto, in maniera diversa rispetto a una tela, o un foglio di carta, per cercare di raccontare qualcosa, spesso legato al luogo dove poi vado a intervenire. Negli anni la mia ricerca si è focalizzata su una visione personale del rapporto tra paesaggio urbano e paesaggio naturale dei luoghi che ho la fortuna di visitare. Anche per questo motivo non mi sono mai sentito uno street artist, ma forse più un paesaggista contemporaneo. Più che Street Art, preferisco semplicemente chiamarla Public Art. In fondo, che sia una parete, una scultura o una installazione, se sistemata nello spazio pubblico, la cosa non cambia.  È un’opera di chi ci passa davanti, e che in questo modo ne usufruisce.

Almeno tre elementi che trovi diversi nella Street Art oggi rispetto a quando hai iniziato…
Quando ho cominciato conoscevo già i muri dipinti. La Sardegna ha una tradizione di muralismo sin dagli Anni Sessanta, li vedevo già da piccolo. Nei primi Anni Duemila stavano nascendo i primi festival, organizzati da altri artisti, spesso illegali. Si dipingeva spesso nei posti abbandonati, come fabbriche e casolari nelle campagne. Questi spazi li ritengo sempre molto poetici, interessanti anche dal punto di vista architettonico e fotografico.
Col passare degli anni le istituzioni si son accorte della forza di questo fenomeno, e negli ultimi dieci le città son state riempite, a volte forse in modo discutibile, di muri dipinti.
E col tempo son cambiati anche gli stili. Il livello si è alzato, e forse c’è pure un sovraccarico di immagini. Come in tutte le altre discipline e nella vita di ogni giorno.

Quali tecniche utilizzi?
Sui muri utilizzo la pittura, soprattutto con rulli e pennelli. Ma non dipingo solo muri: quando posso realizzo installazioni (come la serie Spettro, che porto avanti da anni), e lavoro in studio. Per tanti anni ho lavorato con l’incisione e la stampa d’arte, che ho studiato a lungo e che trovo sempre affascinante. Mi piace sperimentare, quindi lavorare su diversi supporti e tecniche. Negli ultimi anni sto provando molto piacere nel dipingere su tela, tecnica che ho sempre ritenuto complessa.

Tellas, Under the City, Cagliari, 2015. Photo Antonio Pintus

Tellas, Under the City, Cagliari, 2015. Photo Antonio Pintus

C’è un’opera che hai realizzato a cui sei particolarmente legato?
È un po’ complesso da spiegare. Mi sento legato a un’opera nel periodo in cui ricerco, progetto e la realizzo. Ogni opera la sento parte del mio percorso, una tappa. E tutte le sento più o meno legate tra loro. Tra le opere a cui tengo di più c’è sicuramente Under the city, realizzata a Cagliari per Cagliari capitale della cultura italiana nel 2015. The barrier, in Australia, uno dei posti che mi ha impressionato di più per l’imponenza del paesaggio naturale. E come ultima esperienza direi Terracotta a Delhi, la mia prima volta in India. Una esperienza forte: due settimane di appunti, disegni e passeggiate in una delle città più dense e popolose al mondo.

Come si alimenta la creatività? Come avvengono le scelte che compi quando ti accingi a realizzare un’opera o una installazione? Te ne sei occupato spesso, anche in occasione dell’Outdoor Festival di Roma…
Il bisogno di viaggiare, studiare e conoscere i posti dove vado mi dà degli spunti per creare.
Per Outdoor Festival ho lavorato su quello che lo spazio mi consigliava. Mi ha ricordato una abitazione, con tre stanze separate da un entrata, ma unite tra loro da un unico percorso. In ogni stanza ho voluto creare un ambiente totalmente differente, tre spazi contrastanti, che fanno parte del nostro vivere quotidiano. Mi interessa lavorare sull’idea di site specific, cerco di farlo sia sui muri che dipingo sia nelle installazioni.

Una domanda che rivolgo spesso è: cosa ne pensi del fatto che le opere di Street Art siano soggette alla caducità del tempo? Cosa succederebbe se potessi conservare una delle tue opere? Saresti favorevole? Oppure non ti interessa o saresti addirittura contrario?
Penso che qualunque opera di arte pubblica, che sia un murale, una scultura o un monumento, sia soggetta al cambiamento dovuto al tempo e agli agenti atmosferici.
Da un lato il restauro tiene in vita queste opere, ma poi da un altro è anche vero che le rende “finte”, non più originali. Queste assumono un altro valore. Sia esteticamente che concettualmente le trovo meno potenti. Io credo sia giusto rispettare l’invecchiamento delle opere, il passare del tempo fa parte della natura.

Sei appunto di origine sarda: che rapporto hai con la tua terra? È cambiato nel tempo?
Essendo il paesaggio naturale un elemento fortissimo in Sardegna, questo ha influenzato e dato il via alla mia ricerca artistica. Sono nato e cresciuto tra le campagne del sud dell’isola, dove le temperature in estate superano i 40 gradi, e il colore dominante è il giallo secco della pianura. In contrasto con il blu limpido del cielo.

Le tue fonti di ispirazione, ma non nel tuo campo.
Ho sempre guardato tantissima fotografia, sin da quando studiavo. Non sono mai stato un grande appassionato di cinema, ma un regista che mi piace molto è Harmony Korine.
Nella musica sono sempre stato incuriosito dai nuovi generi/tendenze, e come fonti di ispirazione credo che potrei citare i paesaggi sonori di Brian Eno e le atmosfere di Burial, che ritengo uno tra i produttori più originali del nostro tempo.

Qual è il tuo prossimo obiettivo?
Il mio obiettivo è visitare sempre nuovi luoghi, poter continuare ad avere stimoli per la mia ricerca. Non mi sento di aver un obiettivo prefissato. Credo sarà il tempo a decidere il mio percorso.

Alessia Tommasini

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Alessia Tommasini

Alessia Tommasini

Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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