Street Art, oggi. Intervista a Solo e Diamond

Il duo di street artist si racconta, ponendo l’accento su valore e significati della Street Art. Fra creatività e vita vissuta.

Diamond e Solo sono due street artist romani, attivi in Italia e all’estero, che lavorano insieme da qualche anno.
Il marchio distintivo di Solo sono i supereroi, Diamond ha un segno stilistico elegante e provocatorio, sulla scia dell’Art nouveau. Due stili completamente diversi ma che si armonizzano e completano perfettamente tra loro.

Potete raccontarci gli vostri ultimi lavori?
Solo: Abbiamo passato gli ultimi due mesi insieme e saremo in tour fino a metà settembre. Realizziamo anche dei piccoli lavori singolarmente. Ad esempio, io sono stato a Matelica nelle Marche a dipingere, Diamond in Toscana. Il grosso del lavoro però lo facciamo insieme, anche perché, quando ti viene proposto di partire, essere in due è più comodo e divertente! Abbiamo cominciato a collaborare negli ultimi due anni. Non sempre è possibile, ma la maggior parte delle volte ci riusciamo.

Perché avete deciso di diventare street artist? Cosa significa per voi la Street Art?
S.: Per comodità con Street Art oggi viene intesa solo una parte del tutto, cioè i disegni sui muri, i poster. Il termine Street Art, invece, dovrebbe intendere molte più discipline. Letteralmente Street Art significa “arte di strada”, quindi dovrebbe comprendere anche il teatro di strada, la giocoleria, i madonnari che lavorano a terra con il gesso. C’è confusione a riguardo. Questa è un’arte che ha raggiunto tutti, dalla signora di 60 anni ai ragazzini di 11, anche grazie ai social network. È un’arte popolare, trasversale, però poi in realtà non tutti hanno studiato bene l’argomento. La gente se la trova sul telefonino, poi fondamentalmente ne sa poco.
Per me Street Art comprende appunto tutto, è usato male il termine. Oggi c’è molta competizione perché la Street Art parte dai graffiti, un movimento competitivo e molto individualista. Il writer di solito cerca l’autoaffermazione. Io non vivo la Street Art in questo modo. Provengo dal mondo dei fumetti e il fumetto italiano è unito, complice, gli artisti sono coesi. Si incontrano, si supportano l’un l’altro, è un bellissimo movimento. E ovviamente, vedendo che nel mio ambiente non è così, mi fa dispiacere. C’è da riconoscere che sono due movimenti diversi, con origini diverse.
Diamond: Mai presa questa decisione, ho iniziato a disegnare prima di iniziare a camminare. È iniziato tutto così!

Solo

Solo

Come è cambiata la Street Art negli anni?
S.: Oggi la fa molta più gente, è un movimento riconosciuto. C’è stata una diffusione a macchia d’olio che ha fatto in modo che le persone vedessero le opere e molti più artisti decidessero di realizzarle. Quando ho cominciato con i graffiti ero molto giovane ed era una attività estremamente chiusa e ristretta. La facevano pochi artisti, poi, mano a mano, è cresciuta fino a quando sono nati i social, che sono stati inondati di foto e video. Dal teenager alla signora, sono tutti con il telefono in mano e per questo oggi sono abituati a vedere questo tipo di arte. C’è stata anche una diffusione nei quartieri, i Comuni hanno cominciato a far lavorare gli artisti su commissione. È avvenuta, in fondo, una enorme commercializzazione del fenomeno. Però questo significa che ci sono e ci saranno molte più azioni da realizzare. Come per la musica. Pensiamo a quanta musica viene prodotta oggi rispetto, ad esempio, agli Anni Settanta. Questo fenomeno infatti non è necessariamente un male; vuol dire solo che su 30mila canzoni che escono al mese, ce ne saranno la metà che sono valide. Quindi potremo vedere e ascoltare più cose belle. Dipende ovviamente anche dall’artista e da quanto sa scegliere le proposte.
D.: La Street Art è cambiata tantissimo, forse non in meglio. Come ogni fenomeno, affronta una fase di crescita ma anche di declino. Io faccio la mia parte, difendendo l’aspetto più positivo di questo “movimento”.

Come nascono i vostri soggetti?
D.: Spesso è la ricerca incessante di un viso che mi attrae, a volte esiste e devo solo fotografarlo, a volte devo crearlo io.
S.: Io ho una cartella sul PC dove inserisco tutti gli scatti e le immagini nel corso del tempo. Realizzo anche fumetti, quindi mi riferisco all’illustrazione in generale. Raccolgo le immagini di altri o che realizzo io, anche se inizialmente non hanno una destinazione precisa. Quando devo preparare un lavoro, come un muro o un soggetto per un festival, in base al luogo, al tipo di muro e al messaggio che voglio comunicare, comincio a sfogliare questo “contenitore”, finché non trovo il disegno giusto che vada bene per quell’occasione. Questa è la parte pratica. Per la parte concettuale, cerco di dare vita a dei soggetti che siano inerenti al posto dove mi reco. Ci sono due grandi scuole di pensiero (non una giusta e l’altra sbagliata): c’è l’artista che impone la sua “opera” ovunque vada. Sia che gli venga commissionato un lavoro su un muro in un paese della Russia o a Viterbo, oppure in un luogo di mare, porta sempre avanti la sua ricerca. Invece c’è chi, come me, cerca, nonostante porti avanti una ricerca e un messaggio sempre riconoscibile, di realizzare un lavoro che sia inerente al posto che lo ospita. Per esempio, ho dipinto a Selci per il Publica Fest.

Che esperienza è stata?
S.: Selci è un paese della Sabina di Rieti dove l’età media è molto alta, ci sono pochissimi giovani. Se disegnassi Iron Man che combatte con Capitan America il mio messaggio probabilmente non verrebbe capito. Per Selci ho scelto un’immagine di un fumetto Anni Quaranta, dove si scorge un soldato che abbraccia una donna. Lei piange, non si capisce se lui stia partendo per la guerra o sia appena tornato. Sono due immagini umane, riconoscibili. Un anziano di 70 anni le può capire. Oppure, se sono in Vietnam, realizzo un’opera che possa essere inerente, riconosciuta e apprezzata in quel luogo. Io disegno un muro poi vado via, quindi in realtà il lavoro che preparo non può e non deve essere un’imposizione di una immagine che piace solo a me. Quel muro lo vedranno tutti i giorni coloro che ci abitano. Dunque ne tengo conto. Lo street artist Lucamaleonte una volta, in una intervista, ha dichiarato che per quanto un lavoro su un muro possa essere artistico, alla fine è una imposizione violenta. Per quanto tu possa chiedere il permesso a più persone possibili, stai realizzando un disegno di trenta metri, collocato magari in un piccolo paese. Un disegno che decidi tu. In un certo senso è vero che si tratta di una imposizione violenta. Sta all’artista tenere conto di un soggetto che non sia troppo lontano dal modo di sentire. Consiste in questo la bravura: trovare il modo di veicolare il tuo messaggio in maniera che le persone possano comprenderlo. Il tutto non deve essere puramente decorativo. Deve emergere quello che pensi, ma in modo che sia esteticamente comprensibile per le persone per le quali stai disegnando.

Diamond. Photo Blind Eye Factory

Diamond. Photo Blind Eye Factory

Che cosa vi emoziona?
D.: La birra Weiss, le rondini, il venticello al tramonto (possibilmente tutto insieme)!
S.: Mi emoziona viaggiare, conoscere sempre gente nuova: il fatto che ogni giorno è sempre diverso dall’altro, nel senso che non puoi mai sapere che mail ti venga inviata o che chiamata ti arrivi. E poi mi emoziona quando le persone vedono cose nei disegni che io non ho minimamente calcolato. Per me un disegno ha un significato, poi quello prende vita da solo, prende la sua strada. Molte persone mi scrivono che un disegno, ad esempio, ricorda o significa per loro qualcosa che non avevo considerato. Diciamo che questa è la parte magica: a Primavalle, a Roma, ad esempio, ho partecipato a un festival il cui tema era “Europa 51”, il film di Roberto Rossellini. La storia di una madre molto ricca che trascura il figlio, che muore e lei, per espiare il senso di colpa, comincia a dedicarsi a tutti i bambini poveri del quartiere. Un film struggente, strappalacrime, un film in bianco e nero. Mia sorella in quel periodo era incinta, quindi ho realizzato una Wonder Woman incinta, mai rappresentata così fino a quel momento, non è la sua immagine tipica. Unendo il tema del festival al fatto che vivevo quella situazione, l’ho disegnata. Ovviamente facendola in un quartiere popolare come Primavalle, Wonder Woman è diventata la Madonna protettrice delle ragazze madri. È diventata una icona per tutte le donne che hanno figli e li allevano da sole fra mille difficoltà. Per me questa cosa è bellissima. Molto spesso questi significati li hai dentro, però non sei consapevole fino a quando non li tiri fuori.

Quanta autobiografia c’è nei tuoi lavori?
S.: Io sono cresciuto al Trullo, un altro quartiere popolare di Roma, quindi nel mio immaginario il concetto di ragazza madre, di ragazza giovane che fa figli è presente perché ne ho viste e conosciute tantissime. Probabilmente, realizzando questo disegno, ho messo sul piatto la mia esperienza, anche se a livello di inconscio. Sono diventato consapevole nel momento in cui mi è stato fatto notare. Tu parti con un disegno, guardando la punta dell’iceberg, come per Europa 51. Mia sorella incinta, io disegno supereroi, quindi Wonder Woman l’ho inevitabilmente realizzata incinta. Quello che tu produci viene da tutto il tuo background personale, fatto di emozioni e di esperienze. Quando lo metti sul muro non lo vedi, non ci fai caso. Poi qualcuno ti svela un altro significato. Guardandoti dentro, conoscendo il tuo percorso, ha ragione. Conosci qualcosa di tuo attraverso un estraneo. È un circolo di idee che mi fa impazzire, mi piace tantissimo.

Se non questo lavoro, cosa avreste fatto nella vita?
D.: Il serial killer!
S.: Non ne ho la più pallida idea! Sono sempre stato una persona artistica, sin da piccolo. Ho sempre disegnato, smontato e rimontato le cose. Ho sempre inventato oggetti che mi disegnavo da solo. A 10 anni, con una cintura vecchia, mi sono costruito un fodero per la spada di Star Wars! Ho fatto anche teatro per diversi anni, ho suonato per tanti anni in un gruppo musicale. Però poi, a un certo punto, mi sono reso conto che volevo fare questo, che poteva essere un lavoro e ho dedicato e dedico la mia vita, nello studio e nel lavoro, alla Street Art.

‒ Alessia Tommasini

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Alessia Tommasini

Alessia Tommasini

Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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