Street Art e dintorni. Intervista a Camilla Falsini

Non solo street artist, Camilla Falsini, romana classe 1975, si dedica anche all’illustrazione e all’editoria. Approfondendo uno dei suoi interessi più grandi, la teoria dell’evoluzione della specie.

Quando hai deciso che saresti diventata una street artist?
Non mi definisco una street artist, perché il dipingere sui muri è solo una parte del mio lavoro. I primi muri li ho fatti un po’ per caso circa dieci anni fa insieme al collettivo artistico di cui facevo parte. Da allora ho sempre continuato a lavorare come illustratrice, a dipingere in studio e a realizzare muri. Negli ultimi quattro anni mi è successo sempre più spesso di dipingere sui muri, e ne ho realizzati alcuni anche molto grandi (mai avrei pensato!), ma parallelamente ho fatto alcuni libri e lavoro per riviste e agenzie. Non riuscirei mai a fare una sola cosa, l’arte visiva è un campo così ampio e pieno di possibilità che mi sembrerebbe riduttivo usare sempre lo stesso supporto.

Ci racconti invece della tua recente esperienza Monumostri di Forlì?
Il progetto è nato a fine 2016 a Ravenna, da una collaborazione con Bonobolabo. Ho trattato otto monumenti di Ravenna (di cui sette fanno parte del patrimonio Unesco, mentre l’ottavo è la tomba di Dante) rispettando le linee architettoniche essenziali ma facendoli diventare dei mostri. Ne è nata una piccola mostra e un libro. Essendo un progetto potenzialmente replicabile all’infinito (soprattutto in Italia, dove in ogni città o piccolo comune ci sono tanti edifici e monumenti storici che fanno parte del nostro patrimonio culturale), si è spostato un anno dopo a Forlì, dove è diventato sempre un libro ma anche tre muri realizzati nell’ambito del Festival di Street Art Murali. Il tema per tutti i muri realizzati dai vari artisti era proprio la Costituzione, per cui mi hanno chiesto di illustrare l’articolo sulla tutela e la conservazione dei beni culturali proprio realizzando alcuni Monumostri sulle pareti della Biblioteca P. Harris al parco della Resistenza. I monumenti che ho dipinto sono la Rocca di Ravaldino, San Mercuriale e poi i Musei San Domenico, polo artistico della città. Altri monumenti che sono nel libro fanno invece parte della Rotta Culturale ATRIUM ‒ Architettura dei regimi totalitari del XX secolo nella memoria urbana.

Camilla Falsini, Monumostri, copertina del libro, 2018

Camilla Falsini, Monumostri, copertina del libro, 2018

I tuoi soggetti come nascono?
In mille modi diversi: quando illustro parto da una storia, da un articolo di giornale…
Nel lavoro più strettamente “artistico” ci sono sicuramente dei temi a me molto cari: uno tra questi l’evoluzione delle specie. Appena posso ne parlo, che sia un muro o un lavoro su commissione. Ultimamente, poi, sono affascinata dalle forme nella loro essenza, e pur non essendo assolutamente un’astrattista (anche se penso che la scena dell’astrattismo in Italia, ora, stia producendo capolavori e ci sono molti artisti che mi piacciono davvero molto, anche e soprattutto nel campo dell’arte urbana), mi capita sempre più spesso di ragionare partendo dalle forme stesse.

Ci fai qualche esempio?
Ad esempio, per un lavoro su commissione che ho appena finito, ho scomposto gli oggetti su cui dovevo lavorare nei moduli/forme di cui erano composti, e mi sono lasciata ispirare da questi e da come potevo accostarli o usarli per creare sei immagini di animali. E anche questo poi, in fondo, torna all’evoluzione: la varietà delle forme nasce da una radice unitaria che si adatta al mutare delle condizioni. Linee molto essenziali permettono una grande libertà, un triangolo può diventare un naso, un orecchio felino, la punta di una coda, a seconda di dove lo si mette. A volte uso i poligoni come se fossero dei concetti, un dialogo tra due o più creature (ad esempio nel muro Le Chimere Impossibili a Milano o nella serie di sei piccoli muri I 6 principi del Serendippo a Bologna) o la propria essenza che si modifica durante un viaggio (come nel muro realizzato sul teatro comunale di Calcata).

Che reazioni ti aspetti dal pubblico?
Spero che, osservando una mia immagine, le persone possano sì vedere quello che ho visto io e che vorrei comunicare, ma allo stesso tempo altro. Spesso lavoro per sottrazione, è lo stesso meccanismo di alcuni giochi per bambini: un cubo di legno può diventare mille cose, un veliero realistico e fedele alla realtà no. È come se venissero lasciate aperte mille possibilità.

Camilla Falsini, I 6 principi del Serendippo, Bologna, 2018

Camilla Falsini, I 6 principi del Serendippo, Bologna, 2018

Come definiresti il tuo stile?
Cerco di essere immediata. Mi piace l’essenzialità anche quando nell’immagine ci sono tanti elementi, mi piace lavorare sui simboli. Le proporzioni tra oggetti sono totalmente irreali, la prospettiva non esiste e i personaggi hanno sempre molto spazio rispetto all’ambiente. Spesso le mie figure sono enormi e ai loro piedi ci sono piccole architetture in primo piano. Una prospettiva al contrario. Un po’ come succedeva nell’arte egizia.

Secondo te è più difficile essere una street artist donna (rispetto al genere maschile)? Se sì, in cosa differisce?
Assolutamente no e non vedo perché dovrebbe esserlo.

Cosa in Italia potrebbe essere fatto in più per la Street Art?
Al momento questa forma di espressione gode di grande visibilità e popolarità, e quindi molti soggetti hanno iniziato a guardarla con attenzione, parlo sia di enti pubblici, o istituzioni, sia di aziende che la vedono come una forma di pubblicità, con atteggiamento un po’ da mecenati. Questo non credo sia un bene o un male di per sé, la discriminante è l’approccio. A volte si chiede arte ma poi ci si relaziona all’artista cercando di imporre un soggetto, come fosse un decoratore. Per fortuna nella mia esperienza ho incontrato sempre molto rispetto del mio lavoro, ma ricordo un episodio secondo me esemplare: anni fa, nell’ambito di un progetto di arte urbana, mi venne chiesto di realizzare un muro sulla parete esterna di una scuola comunale, e avevo proposto un bozzetto che era un mio omaggio alla teoria dell’evoluzione, con un omino nudo in mezzo ad alcuni enormi animali di varie specie, il titolo sarebbe stato Siamo animali.

E poi cosa accadde?
Il fatto di parlarne sulle pareti di una scuola era per me importante perché l’insegnamento della teoria dell’evoluzione è simbolo della laicità dell’insegnamento (l’ultimo attacco è purtroppo di pochissimi anni fa, ci provò la Moratti nel 2004 e per fortuna molti scienziati insorsero). Eppure, i miei animali giganti, secondo i genitori e la direzione della scuola, avrebbero spaventato i bambini. Ecco, questo è l’esempio di quando si confondono arte urbana e decorazione. Credo che un curatore di un progetto debba tutelare l’artista. L’anno scorso ho realizzato un grande muro su una scuola a Bergamo, e c’è stato un percorso a doppio senso molto bello tra me, le curatrici del festival, la scuola. Io sono stata lasciata totalmente libera di lavorare a mio modo su un tema che toccava la realtà in cui si trovava l’edificio e le problematiche del quartiere, ma a parte questo c’è stata la massima libertà. Alla fine direzione, insegnanti ma soprattutto studenti (e questo è ciò che per me conta di più), sono stati molto felici del risultato.

Camilla Falsini, Essere altro, una tigre, 2018

Camilla Falsini, Essere altro, una tigre, 2018

“L’arte cambierà il mondo, l’arte salverà il mondo”. Se sei d’accordo, in che modo questo potrebbe avvenire? Quando e perché?
Mi sembra una frase semplicistica, cosa vuol dire cambiare il mondo? Salvarlo poi? Mi sembra un concetto che vede l’arte come qualcosa di superiore che può elevare le masse, io non la vedo così. L’arte non è un concetto astratto, è fatta dalle persone ed è sempre connessa al periodo storico e al luogo dove nasce, anche se ovviamente parla un linguaggio universale. L’arte può (e deve) smuovere qualcosa nelle persone, ma non deve mai porsi, secondo me, nell’ottica di insegnare una verità, altrimenti diventa una vignetta. Chi osserva un’opera d’arte può emozionarsi, sentirsi migliore, riflettere su qualcosa a cui non aveva mai pensato, ma credo che non debba mai sentirsi “guidato” o “elevato”, l’arte parla a qualcosa che abbiamo dentro, smuove cose che non si sapeva ci fossero, ma che erano già lì. Può innescare cambiamenti, allo stesso modo in cui lo fanno i miei gesti quotidiani, le mie scelte, il modo in cui cerco di insegnare a mio figlio il rispetto dell’altro, il modo in cui decido come esprimermi e che parole usare.

Al luna park: ruota panoramica o montagne russe?
Io al luna park ho paura anche sul Bruco Mela, penso non serva aggiungere altro…

Quanto e come le città “influenzano” la tua arte urbana?
Sarebbe bello se una intera città potesse riuscire a influenzare una mia opera, vuol dire che sarei capace di sintetizzare e restituire realtà complesse e non credo di essere a quell’altezza. Mi accontento di farmi influenzare dal contesto più vicino, chi vive e utilizza quell’edificio, in che punto o quartiere si trova, quali sono le dinamiche o le sensibilità del posto. Ma allo stesso tempo non la vedo come una necessità: a volte è bello rispondere al contesto ma altre volte è più interessante portare dell’altro, una propria visione.

Idee e progetti per il futuro?
In questi ultimi due anni non mi sono mai fermata, ho realizzato tre libri (due di prossima pubblicazione), circa quindici muri e ho lavorato su tante immagini per i progetti e i supporti più disparati: riviste, oggetti, borse e perfino per un gioco sulla narrazione.
Mi piacerebbe continuare così, per non annoiarmi mai.

Alessia Tommasini

www.camillafalsini.it

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Alessia Tommasini

Alessia Tommasini

Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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