Street Art e indipendenza. Parola a 108

L’artista originario di Alessandria ripercorre la sua storia di street artist e non solo. Senza risparmiare qualche critica al panorama dell’arte contemporanea in Italia.

108, all’anagrafe Guido Bisagni (Alessandria, 1978) vive e lavora fra Alessandria e Milano.
Tra i maggiori esponenti del post-graffitismo in Italia, inizia la sua ricerca artistica con un approccio al graffito tradizionale. Alla fine degli Anni Novanta, dopo il trasferimento a Milano nel 1997 e la laurea in disegno industriale, la sua cifra stilistica evolve formalmente e concettualmente, tanto da diventare uno dei primi artisti a utilizzare numeri e non lettere per firmare i propri lavori. Le sue forme astratte cominciano ad apparire negli spazi abbandonati delle strade di Milano, Berlino, Londra, New York e Parigi. Non limitando la sua produzione, oltre al muralismo si cimenta anche con sculture, suoni, dipinti e installazioni in decine di mostre personali e collettive.

La tua definizione di Street Art.
Questo è un po’ imbarazzante, odio quel termine. Capisco che abbia un senso come “arte di strada”, ma negli ultimi quindici anni è stato usato per indicare scarpe customizzate, mostre di gente che non ha mai fatto niente di spontaneo in strada, festival di muralismo, eventi agghiaccianti e via dicendo. Molte persone all’oscuro di qualsiasi base artistica o culturale sono diventate curatori o galleristi. La cosa più brutta è che continuano a mettertela addosso a prescindere. Mi è capitato addirittura di essere definito “street artist” nella descrizione di una mia performance live sonora. Il termine Street Art avrebbe un senso parlando di opere d’arte (non strettamente visiva) realizzate in un luogo pubblico senza alcun permesso o commissione. C’è stato un breve periodo in cui era così e forse aveva un senso, ma non se lo ricorda proprio nessuno.

Quando hai cominciato a occupartene? Quale “urgenza” hai avvertito?
Ho sempre disegnato, fin da quando ho memoria. Il problema era che praticamente tutti, fin dalla mia maestra in prima elementare, vedevano questa passione come un ostacolo e un problema. Inoltre, vivendo in una decadente cittadina post-industriale, gli spazi dedicati all’arte erano (e sono) praticamente inesistenti. Essendo io una testa molto dura, ne sono uscito ancora più forte. La più grande fortuna è stata venire a contatto con i graffiti e le forme d’arte pubblica underground tramite lo skateboard e il punk. Era il 1991, avevo 13 anni e con il mio compagno di banco iniziammo a scrivere I nostri “nomi” sulle tavole da skate, sui banchi a scuola e sui gradini di un noto supermarket locale. L’anno dopo ci ritrovammo di nuovo insieme al primo anno di scuole superiori e una sera, tornando dall’ora di basket con due spray comprati di nascosto la mattina, ci fermammo in un vicolo dietro la scuola a fare le prime scritte. È stata una liberazione totale. Da allora, anche se non del tutto consciamente, ho capito che non dovevo aspettare nessuno, nessuna gerarchia, nessuna accademia, dovevo solo fare quello che avevo in mente e uscire dal buco.

108 EXR shop Gangnam Seoul 2016 credits Guido Bisagni Street Art e indipendenza. Parola a 108

108, EXR shop, Gangnam, Seoul 2016, credits Guido Bisagni

Com’era la scena dell’epoca?
I graffiti sono stati molto importanti per gran parte degli Anni Novanta. Allo stesso modo lo skate dell’epoca, attraverso il quale ho conosciuto i miei migliori amici come il Dr. Pira (oggi uno dei più grandi fumettisti italiani), Spot e indirettamente alcuni artisti già affermati come Templeton o Mark Gonzales. Inoltre frequentare certi ambienti, che negli Anni Ottanta e Novanta erano la vera avanguardia, come il punk di un certo tipo e poi la cultura industriale e noise, mi ha fatto sempre pensare in un modo un po’ diverso. Dico sempre che una delle cose che mi ha cambiato la vita è stata la visione del film Decoder di Klaus Maeck, che mi ha aperto la mente sull’utilizzo dello spazio pubblico e sulle arti (non solo visive) come mezzo di comunicazione principale. Nell’anno ’97-’98 ho iniziato il corso di Disegno Industriale al Politecnico di Milano, dove ho provato in modo forzato a leggere i testi di Kandinsky e Malevich (per dirne due), che hanno stravolto il mio modo di vedere le arti figurative. Il nome 108 è nato in quel momento, più come un esperimento o anche uno scherzo, ma mi sono ritrovato nel bel mezzo di quella che era la principale avanguardia artistica del momento. Poi sono andato avanti sperimentando sia negli spazi pubblici sia in studio, facendo di tutto ma cercando sempre di fare il mio, con tantissimi sacrifici. Per questo non mi sono mai sentito parte di un’ipotetica “Street Art”, ma di un mio modo di vivere e interpretare l’arte (che per un po’ ho condiviso con il Gruppo OK), a prescindere dal contesto e da quello che gli altri si aspettavano da me.

Che tecniche utilizzi?
Utilizzo veramente di tutto. Sono molto pratico e amo usare le mani, quindi gli strumenti più immediati e semplici da reperire. Considero il computer e gli altri dispositivi informatici molto utili per la comunicazione, ma cerco di usarli il meno possibile nel processo creativo. Per dipingere uso pennelli e rulli, ma anche matita, spray e pastelli. Il supporto e le dimensioni influenzano moltissimo il tipo di forma, di tratto e ovviamente il risultato finale, ma amo la tela, la carta e i muri esterni. Se posso uso anche le tecniche di stampa analogiche e cerco di auto-costruirmi attrezzi e supporti. Per le sculture e i lavori tridimensionali uso l’argilla, il legno, la carta pesta e il filo/rete metallica di solito. Per la fotografia uso sia macchine digitali sia analogiche, mentre per il video essenzialmente il cellulare o le digitali, la qualità e la risoluzione mi interessano davvero poco e purtroppo il tempo per questo genere di lavori è sempre meno. Per i lavori e le performance sonore mi piace usare i vecchi smartphone che conservo per quello, i dispositivi elettronici digitali e analogici, altri strumenti auto-costruiti, ocarine, a volte anche chitarre e tastiere.

Quale messaggio vorresti lanciare alle persone? Cosa pensi percepiscano dei tuoi lavori in strada?
L’arte per me è una forma di comunicazione che raggiunge direttamente la parte più profonda e l’inconscio di chi ne usufruisce. Un messaggio particolare o uno slogan semplicistico vanificano tutto questo. Il fatto di lavorare anche negli spazi pubblici, nelle aree industriali abbandonate che coprono gran parte del nostro territorio (specialmente nel nord ovest) è il messaggio più importante. Fare arte ha un significato spirituale e mi aiuta a trascendere la vita di tutti i giorni. Grazie a essa sono riuscito a capire che, nonostante tutto, non siamo nati solo per fare un lavoro che non ci piace, guadagnare soldi per fare cose che non ci piacciono, litigare, che non esistono solo il calcio o le automobili nuove. Ho detto qualcosa di molto banale, ma mi sembra che oggi sia molto più importante di dieci o vent’anni fa. Il resto viene da sé, bisogna pensare, riflettere, stare da soli. Oggi i pensieri sono tutti unificati, binari, bianco o nero, destra o sinistra, senza mai fermarsi a riflettere su niente, bisogna essere di parte a prescindere. Questo per me è il male. Perciò i miei lavori sono scuri e non sono facili da capire. A volte sono provocatori, non ho alcun interesse nell’essere accettato da chi vuole cose piacevoli, banali, che vanno bene a tutti. Quello che manca in modo assoluto oggi è la capacità e la voglia di fermarsi un secondo e pensare. Questo non sarà un atteggiamento allegro e solare, ma è quello che serve.

108, fabbrica abbandonata 2018, credits Guido Bisagni

108, fabbrica abbandonata 2018, credits Guido Bisagni

Cosa pensi possa essere fatto in più in Italia per incentivare, far conoscere, diffondere l’arte? Qualche esempio dall’estero, secondo te, esiste?
In Italia manca tutto. La mentalità e l’ignoranza sono alla base di tutti i problemi di questo Paese. Gli spazi: cosa fa un giovane artista locale? Dove può andare? Deve passare attraverso tutta una serie ostacoli, di situazioni incomprensibili, di furbetti, di personaggi disonesti e ignoranti. Chi si afferma deve essere bravissimo a farsi valere, avere forza di volontà, essere furbo. Il talento è la cosa che conta di meno. Non esiste nessun tipo di aiuto vero. Rispetto agli altri Paesi, la cosa che mi ha sempre colpito di più è che qui chi fa l’artista, nella stragrande maggioranza dei casi, se lo può permettere. Ma è ancora una volta un fatto di mentalità: in poche parole, se fai l’artista, o sei un egocentrico che vuole mettersi in mostra oppure te la sei cercata, devi martirizzarti. Ci ho messo tutta la vita a rispondere “sono un artista” alla domanda “che lavoro fai?”. È scontato che fare gli artisti sia un passatempo inutile e anche un po’ antipatico. Questo si riflette su tutto: quando apri la partita IVA e quando paghi le tasse: l’artista in Italia non è nemmeno riconosciuto a livello fiscale, non esiste proprio, ogni volta battutine o vera e propria maleducazione. Questo va bene se hai una famiglia dietro, se decidi di trovare il modo di non pagare le tasse, o probabilmente se sei uno dei pochissimi artisti veramente grandi che possono fare quello che vogliono. E poi c’è il fatto che da decenni nessuno supporta gli artisti locali.

E quali sono le conseguenze?
Sia nel pubblico sia nel privato si preferiscono sempre gli stranieri (o i vecchi), meglio se americani. Io per esempio senza la Francia non sarei qui ancora a fare l’artista, soprattutto per il supporto che negli anni ho avuto lì, che non ho avuto in Italia. È brutto parlare di soldi, triste anche, ma se non hai il minimo indispensabile per vivere, diventa davvero difficile. E onestamente anche questo discorso di accontentarsi del minimo indispensabile è irritante, perché? La quasi totalità degli artisti che conosco non ha figli, e molti sono più vecchi di me che ho 41 anni. Poi c’è il fatto che sia difficile farsi pagare, bisogna aspettare mesi, a volte anni, ma questo penso che sia uguale in tante situazioni in Italia. Ci vorrebbero più cultura e un livello più alto di civiltà di base, ma questo vale per tutto e nella realtà stiamo cadendo in un baratro sempre più oscuro e profondo. Ma alla fine, per essere pratici: la prima cosa da fare in Italia per incentivare l’arte sarebbe pagare gli artisti. Se uno è bravo, poi saprà valorizzarsi davvero. Nessuno ne parla perché si va a toccare la bolla piccolo borghese in cui è immersa l’arte in questo Paese, ma è quello il punto.

Cosa leggi, studi, ascolti, quali sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento?
Qui ci sarebbe da scrivere un libro intero. Ho un problema con i libri, ne compro troppi, anche perché amo i mercatini dell’usato e ogni volta trovo cose rare per i miei gusti. Non riuscirei a leggere tutto nemmeno in cinque vite o forse più. Leggo molta più saggistica, sono appassionato di antropologia culturale e di storia antica. Poi mi interessa tutto quello che è bizzarro. La maggior parte dei miei libri riguarda l’Europa antica, pre-romana, ma anche l’Asia. Ho centinaia di libri sulla stregoneria, il fatto è che preferisco gli studi seri sull’argomento, come quelli di Carlo Ginzburg, ma non riesco a lasciare stare anche quelli più beceri. Mi appassionano le religioni, specialmente quelle non monoteistiche. Cerco qualsiasi cosa riguardi il folklore e la storia antica delle mie zone, del Piemonte e dell’Italia settentrionale. Ho paura che vada tutto perso, come sta succedendo. Incisioni rupestri, megalitismo, posso proprio dire che siano argomenti di studio. All’opposto mi interessa molto anche la civiltà industriale, specialmente mi appassionano le ferrovie e le tranvie. Poi gli alberi e la natura in genere. Per quanto riguarda gli scrittori che considero un po’ dei maestri posso citare Jung e Hesse, il mio libro preferito in assoluto è in effetti Il lupo della steppa, che ho letto tante volte nel corso della mia vita.

108, studio, Etna, credits Guido Bisagni

108, studio, Etna, credits Guido Bisagni

E sul fronte musicale?
Anche per quanto riguarda la musica è complicato, sono cresciuto ascoltando punk/hard-core, ora ascolto di tutto. Amo la musica classica, ma è un campo in cui sono ignorante e ho delle opere che preferisco senza un ordine preciso. Mi piacciono molto il rumore e la musica sperimentale in genere, visto che me ne occupo anche, in particolare amo il primo noise italiano e quello giapponese. Se dovessi nominare un disco solo direi Pornography dei Cure e in ogni caso tutta quell’ondata post punk oscura che ha seguito i Joy Division.  Poi veramente di tutto, dagli Ash Ra Tempel al primo black metal. L’unica cosa che non sopporto è la musica allegra. Altri punti di riferimento a caso che hanno a che fare con quello che faccio sono Antonin Artaud, i Crass, W.S. Burroughs, Le Baccanti, Jean Arp, Kandinsky, Malevich, Segantini, Bosch, i boschi e le montagne, Fellini, Stalker di Tarkovsky, Il Faust, quelli che costruirono il tumulo di Gavrinis, la neve, il Giappone, la Luna, l’Acqua, i gatti, l’inverno e potrei andare avanti per delle pagine.

Progetti per il futuro?
Domani finalmente starò a casa e ho un po’ di cose da fare in arretrato visto che sono stato in giro per un po’. Principalmente devo riordinare lo studio, o almeno renderlo agibile. La cosa più difficile è sopravvivere al caldo di questi giorni, che mi uccide. Per il futuro prossimo ho altri viaggi estivi per muri e progetti vari. I progetti futuri sono di riuscire a fare cose nuove e che mi diano soddisfazione, cercando di stare bene.

Alessia Tommasini

www.108nero.com

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Alessia Tommasini

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Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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