Street Art terapeutica. Intervista a Sea

Parola a Fabrizio Sarti, aka Sea, impegnato in una ricerca che trova nella Street Art un importante strumento di riqualificazione urbana.

Fabrizio Sarti, in arte Sea, classe 1977, avvia il suo percorso artistico durante i primi Anni Novanta, grazie all’incontro con il mondo del writing e alla voglia irrefrenabile di disegnare.
Verso gli Anni Duemila la continua ricerca stilistica lo porta a dar vita inconsapevolmente al progetto SeaCreative, un melting pot di Street Art, muralismo, performance, lavori su tela e graphic design. Oggi Sea vive e lavora tra Milano e Varese.
A tratti preciso, a volte astratto, è un artista con un suo stile ben definito: lineare ma attento ai particolari di un universo caotico in un mondo di personaggi grotteschi che incuriosiscono lo spettatore. Uno stile che esula dalla vera rappresentazione figurativa, un microcosmo di personaggi che non appartengono ad alcuna città, ad alcun panorama urbano specifico; volti con espressioni stupite, attonite, assenti, partorite dalla mente dell’artista che rielabora esempi provenienti dal mondo reale, lasciando allo spettatore varie chiavi di lettura interpretativa.

Ci racconti la tua esperienza all’interno di Rame Project, il progetto che mira alla rigenerazione degli spazi urbani? Di cosa ti sei occupato?
Ero già stato a Bassano anni fa, in occasione di Infart, uno dei primi e storici festival di Street Art in Italia. Ci sono tornato con molto piacere anche perché con alcuni ragazzi del team sono legato da una forte amicizia, quindi è sempre un piacere vederli.
Questo nuovo progetto è stato una bella sfida, non è stato facile creare un intervento bilanciato e armonioso su un muro di circa 68 metri, ma penso che alla fine ne sia uscito un buon lavoro, che si è inserito bene nel contesto urbano che lo circonda. Rame infatti nasce con uno spirito genuino e propositivo nei confronti di spazi urbani non valorizzati, per dar loro un nuovo volto. Il lavoro ha preso spunto dalle differenze che possono animare un luogo come una stazione ferroviaria, un insieme di persone diverse che confluiscono in un unico punto per uno scopo comune. Ho cercato di traslare questa riflessione in immagini e da lì è nato questo lunghissimo collage.

Che tecniche utilizzi?
Solitamente su muro lavoro con idropitture, pennelli e rulli, anche se a volte mi avvalgo dell’aiuto di spray o stencil a seconda della necessità. Invece per tutto il resto mi piace sperimentare, che sia scultura, pittura, illustrazione digitale ecc. Vale qualsiasi tecnica, se mi può aiutare a materializzare le mie idee.

SeaCreative, One urban world, Cartagena, 2016. Photo Fabrizio Sarti

SeaCreative, One urban world, Cartagena, 2016. Photo Fabrizio Sarti

Quali sono i messaggi che vuoi dare alle persone che osservano le tue opere?
Le mie opere nascono principalmente da un’esigenza personale, sono terapeutiche. Non sono opere di denuncia sociale o a sfondo politico. Non pretendo che la mia chiave di lettura sia valida per tutti. Non cerco un messaggio ma una reazione, che sia positiva o negativa, l’importante è dare vita a una scintilla che si concretizzi nella libera interpretazione personale.

La tua definizione di Street Art.
Con il termine Street Art ormai si tende a etichettare qualsiasi intervento artistico realizzato in strada, nella maggior parte dei casi il termine è usato in maniera errata; a mio avviso dovrebbe raggruppare solamente tutti quegli interventi artistici sul tessuto urbano realizzati illegalmente senza alcun committente alle spalle se non l’artista stesso. Tutto il resto che ne è scaturito in seguito va etichettato diversamente.

Quando e perché ti sei avvicinato a quest’arte?
Il tutto è partito nei primi Anni Novanta, sono stato folgorato dai graffiti, penso di aver visto i primi pezzi in TV all’interno di alcuni film e poi, durante il periodo di vacanze a Rimini, mi sono trovato vicino al porto alcune opere di Eron, che all’epoca si taggava ancora 1Art, se non ricordo male. Già i pezzi erano di un altro livello. Da quel momento fu amore. I graffiti, per un ragazzino della mia età, facevano nascere un’attrazione troppo forte, con l’adrenalina a mille quando si usciva di notte, lasciare il proprio nome, vedendo passare un treno col proprio pezzo… era impossibile resistere! Tutto è iniziato da lì, ed è stato così fino ai primi Anni Duemila. Col passaggio alla Street Art, anche se non è corretto dir così visto che all’inizio non esisteva il termine “Street Art”, non c’era un movimento da seguire, più che altro era un periodo di cambiamento, molti artisti sentivano la necessità di sperimentare materiali, forme, tecniche, codici diversi per non restare ancorati al solo mondo del writing. Anche io ho cominciato a usare materiali diversi, a modificare il tipo di interventi sul tessuto urbano e ho trovato nelle pitture e nei pennelli gli strumenti ideali per dar vita al mio immaginario.

Quindi è cambiato parecchio il tuo modo di vivere la Street Art, rispetto a quando hai iniziato.
Penso che tutto sia cambiato da quando ho iniziato a oggi. C’è un abisso, non saprei nemmeno da che parte iniziare: gli artisti, i collezionisti, gli interessi, le amministrazioni, i soldi, i blogger, la moda, i social, le gallerie. C’è stata un’evoluzione pazzesca nel bene e nel male. La Street Art ha influenzato quasi ogni settore negli ultimi dieci anni. Nei primi Anni Duemila la maggior parte degli artisti aveva un background da writer, oggi provengono da mille campi diversi, scultura, fotografia, architettura, illustrazione e via dicendo. Non ci sono più regole, punti fermi. Tutto è in continua evoluzione.
Per quanto riguarda il mio modo di viverla, sicuramente, sia consciamente sia inconsciamente, è cambiato, si è trasformato, viaggiando di pari passo con la mia crescita e con il bagaglio di nuove esperienze. È normale, altrimenti si rimarrebbe incastrati nel passato. Non è cambiata l’attitudine; cerco ancora di sdoganare un gusto estetico personale, a volte meno tecnico ma più personale: È un po’ il retaggio che mi porto dietro dal mondo dei graffiti: trovare uno stile personale riconoscibile, dare un valore aggiunto al soggetto proposto.

SeaCreative, Walk The Line, Genova, 2017. Photo Fabrizio Sarti

SeaCreative, Walk The Line, Genova, 2017. Photo Fabrizio Sarti

Quali opere o autori non legati alla tua disciplina sono stati o sono per te fonte di ispirazione?
La lista sarebbe infinita, ho degli artisti preferiti intoccabili diciamo, ma poi vado a periodi. Mi piace molto andare nei musei, visitare mostre e soprattutto comprare libri, prendo ispirazione da una molteplicità di cose. Al momento sulla scrivania ho: un catalogo di Magritte, un catalogo di Kuniyoshi ‒ il colore, il tratto, la forza di queste immagini mi fa impazzire, adoro l’arte giapponese! Poi l’immancabile Alfons Mucha e per finire un libro dell’illustratrice Rébecca Dautremer.

Come vivi il fatto che le opere di Street Art siano in qualche modo “effimere”, siano esposte insomma alla caducità del tempo?
Ti dico la verità, quando viene cancellato un mio lavoro, imbrattato o consumato dal tempo, non nego che una parte di me ne soffra, non posso negarlo. Dipingere una parete è un’azione molto coinvolgente per un artista, sia fisicamente sia mentalmente si crea una certa alchimia. Ma ho scelto consapevolmente di intervenire in un contesto urbano, vivo, in continuo cambiamento, quindi fa parte del gioco dello scorrere del tempo. Altrimenti basta restare in casa a fare una tela, cosi resta lì per sempre.

Cosa ti piace leggere, studiare, ascoltare?
Ho ripreso a leggere ultimamente, da quando non sono più pendolare faccio fatica a trovare il tempo. Leggo libri di viaggi, mi attrae molto l’Asia; in questi giorni, proprio mentre andavo a Bassano per Rame Project, ho comprato Il Grande Viaggio di Giuseppe Cederna. Per quanto riguarda la musica, mi piace ascoltare un po’ di tutto, ho una playlist che va da Max Romeo ai Joy Division, passando per Erykah Badu per arrivare a Salmo e Rino Gaetano. Anche se in questo periodo sono in fissa con Colle Der Fomento e Coma Cose.

Progetti per il futuro?
Per il futuro ho in ballo un po’ di nuovi progetti, per la maggior parte si parla di muri, tanta carne al fuoco, vedremo poi cosa andrà in porto. Al momento non mi sento di svelare niente, sono un po’ scaramantico. Quello che posso dire è che mi piacerebbe continuare a fare uscire delle piccole fanzine a tema come il progetto Ballons, una fanzine dove ho racchiuso una serie di interventi realizzati in fabbriche abbandonate.

Alessia Tommasini

www.seacreative.net/

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Alessia Tommasini

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Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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