Gli artisti e la ceramica. Intervista a Ugo La Pietra

Parte dalla ceramica ma si estende al valore dell’artigianato il dialogo fra Irene Biolchini e Ugo La Pietra. Aprendo prospettive sul futuro.

Ugo La Pietra (Bussi sul Tirino, 1938), artista, architetto, designer e teorico, ha lavorato sull’integrazione delle arti e il rapporto tra arte e ambiente. La ceramica e la ricerca del Genius loci sono stati uno dei suoi punti di ricerca. Lo abbiamo intervistato per capire come vede il nuovo interesse per la materia in tanta produzione contemporanea.

Come possiamo descrivere il suo rapporto con la ceramica?
Io ho sempre cercato di superare le distinzioni degli ambiti disciplinari, tanto è vero che nessuno sa esattamente se sono un artista, un architetto, un designer, etc. Il problema della ceramica è duplice: il primo, e più elementare, è che chi lavorava con la ceramica era considerato artista-artigiano. Più in generale, l’artista che si occupava solo di una materia automaticamente diventava un artista-artigiano mentre in tutto il resto del mondo, cioè quello al di là delle Alpi, coltivava l’idea del craft (e questo è successo dagli Stati Uniti all’Europa del Nord, fino al Giappone). La distinzione tra questo craft e il nostro disegno industriale, o la nostra arte, è la seguente: chi lavora nel craft parte dalla materia per arrivare alla forma, cioè fa un percorso opposto a quello del designer che parte da un’idea e mette la materia al servizio della propria idea. Di contro, l’artista-artigiano (o l’artista del craft) pensa e progetta partendo dalla materia: si affeziona alla materia senza mai superare questa dimensione per arrivare all’oggetto.
Questo è un primo pensiero che io ho cercato sempre di presentare anche ai miei studenti. L’artista pensa a un progetto, ha un’idea, e poi cerca lo strumento (che è la materia). L’artista-artigiano, all’opposto, parte proprio dalla materia. Questo partire dalla materia vuol dire spesso, per il mondo dell’arte e della cultura “alta”, dare a queste persone un ruolo minore, identificato appunto nelle “arti minori”. Il ruolo minore sta proprio in questo percorso, che non partiva da un’illuminazione ma dalla manipolazione delle cose per poi arrivare al risultato.

Ugo La Pietra, Interno Esterno, prototipo, Fusella, 1977

Ugo La Pietra, Interno Esterno, prototipo, Fusella, 1977

Quindi come si inserisce l’artigianato di tradizione nella sua ricerca?
Per tanti anni, tutti coloro che lavoravano la ceramica, anche molto bravi (come ad esempio Alessio Tasca o Candido Fior o Nino Caruso) erano comunque degli artisti-ceramisti, quindi considerati minori. Fino ad arrivare agli Anni Novanta, quando c’è stato un interesse verso l’artigianato di tradizione, come un matrimonio tra la cultura del progetto e la cultura del fare, che poteva essere realizzato dando un progetto nuovo a ciò che era rimasto sempre ancorato alla tradizione. Ricordiamoci che l’interesse per la ceramica, che sembra appunto nuovo, non è cresciuto di pari passo con lo sviluppo di queste aree di tradizione, lasciate a loro stesse o neglette: pensiamo a Nove, dove sono rimaste pochissime botteghe, ad Albisola, dove c’è una sola persona in grado di lavorare al tornio, etc. Questo risveglio della ceramica non si legge insomma nei territori storicamente connessi alla ceramica. Forse l’unico che rimane fiorente, ma principalmente per un ampio turismo, anche se di basso livello, è Caltagirone, che ha ancora 250 laboratori di ceramica (però sono ceramiche per un turismo legato a stereotipi).
L’arte negli ultimi anni effettivamente si è aperta a una dimensione molteplice di possibilità: l’artista non è più solo quello che fa il quadro o la scultura, ma si muove su più mezzi, e tra i tanti c’è anche la ceramica. Un Ontani, che è un personaggio poliedrico che sa usare di tutto, usa anche la ceramica (appoggiandosi ovviamente a bravissimi artigiani).

Come legge dunque questo nuovo interesse per il materiale?
Questo risveglio della ceramica lo troviamo legato solo a particolari territori, non è diffuso ovunque. È legato a un certo risveglio nel design, cioè: il design è una disciplina decaduta, ma ha moltiplicato le scuole. Il giovane designer oggi ha pochissime possibilità nel campo della produzione di arredo e quindi ha cercato di superare la crisi con l’auto-produzione, che si è diffusa, in particolare con oggetti in ceramica, perché la ceramica permette di essere avvicinata con investimenti modesti. Tuttavia bisogna anche dire che gli oggetti auto-prodotti sono pressoché invendibili. Molti designer si sono messi a fare oggetti di ceramica, ma non vendono niente né in Italia né tantomeno all’estero e questo perché lì (all’estero) sono davvero molto bravi, hanno una grande conoscenza del fare. Di contro i nostri designer (che provengono da scuole dove si dà molta rilevanza all’idea e nessuna alla manualità) non sono in grado di lavorare direttamente con la materia, ma si affidano a botteghe. Siamo davanti a una moda perniciosa, per non dire disastrosa, che oscilla tra arte e design e che però non trova gallerie di riferimento.

Nessuna novità quindi?
Dagli Anni Ottanta a oggi ho frequentato tutte le zone della ceramica tradizionale, scoprendo che in realtà non si poteva davvero rivoluzionarla. Perché le nostre città ceramiche vivono di un turismo tradizionale, che si rifà a sé stesso. La pseudo-novità della micro-produzione, dall’altro lato, risulta invendibile. Specie all’estero: perché all’estero questa produzione risulta molto concettuale, ma orfana di fattualità. Perché la fattualità, in sostanza, noi non ce l’abbiamo più.

Ugo La Pietra, Muro delle meraviglie, intervento urbano a Caltagirone, 2000

Ugo La Pietra, Muro delle meraviglie, intervento urbano a Caltagirone, 2000

E come potremmo recuperarla?
Io ho portato avanti l’idea di una produzione di arte applicata, che ho praticato dalla ceramica alla pietra leccese al mosaico. Sono stato l’unico radicale che invece di abbracciare il postmoderno ha deciso di lavorare nella tradizione, portando avanti un percorso di rinnovamento basato proprio sul fare: io stesso ho fatto oltre duemila opere. Tutto questo è stato fatto nello spirito di tentare di far capire al mondo della cultura, dell’arte, delle arti applicate, dell’architettura etc. che esisteva un Genius loci. Di fronte a una globalizzazione che cresceva, alcuni artisti hanno cercato di lavorare proprio sul Genius loci.
Lavorare sul territorio, per me (ma anche per tutti quelli che hanno intrapreso questo percorso) significava lavorare valorizzando le risorse di quel particolare territorio: non significava essere un artista che usa anche la ceramica. Il discorso è culturale e si richiama alla cultura del fare. Gli italiani erano guardati nel mondo perché sapevano cantare, suonare e fare belle cose. Gli italiani di adesso non hanno questo primato del fare. Stiamo rincorrendo questo antico valore, ma impoverendolo.

Molti artisti intervistati fino a ora hanno parlato del loro legame con gli artigiani e le botteghe, come vede questo rapporto?
Negli Anni Settanta si aborriva qualsiasi esperienza manuale, era tutto solo concettuale. Poi è arrivato il postmoderno (che non ha però aperto alla cultura del fare nel senso delle arti applicate). La riscoperta della manualità è stato un processo lungo, ma è ancora tutto da verificare. Tutti quelli che hanno un pensiero che si è formato al di fuori della materia non conoscono un momento fondamentale: che è il passaggio di trasformazione dalla materia all’oggetto. Nessuno studente di architettura ha mai avuto un docente che gli ha mostrato come costruire un muro, nessuno studente dell’accademia è stato portato in un laboratorio di ceramica. Quindi in questa storia manca un anello fondamentale: la materia e la conoscenza del fare. Che per me è sempre stato centrale e non solo con la ceramica: quando sono andato a lavorare in un laboratorio di plastica (e in quegli anni ero diventato “quello della plastica”) l’ho fatto perché per me era fondamentale conoscere la trasformazione. Demandare all’artigiano questa fase significa rimanere impoveriti di questo momento fondamentale. Perché in quel percorso si scoprono i momenti fondamentali.

Ugo La Pietra, Monumento alla balnearità, Cattolica, 1988

Ugo La Pietra, Monumento alla balnearità, Cattolica, 1988

Come possiamo interpretare l’immediato futuro quindi?
Siamo ancora così indietro e confusi. E ci mancano anche le persone di riferimento: c’è stato Enrico Crispolti, c’è stato Vittorio Fagone. Ma oggi chi c’è? Siamo davanti a un sostanziale silenzio, incapaci di capire ciò che stiamo vivendo.
Guardi alla situazione attuale, a questa emergenza che ci stupisce: ma non è forse il diretto risultato di una globalizzazione folle? Il discorso sull’arte territoriale è stato un tentativo estremo di rispondere alla globalizzazione, ma è stata la globalizzazione a vincere.
Il mercato globalizzato e di massa imposto dai cinesi continuerà a dominare per i prossimi cento anni.
Quel che è ancora più triste è che quelle poche risorse umane che ancora lavorano con le mani, lavorano proprio per il turismo, un’altra forma di globalizzazione assolutamente perversa. Le nostre città stavano collassando sotto i miliardi di consumatori (e non di viaggiatori) che cercano le cose che vogliono, e non sono interessati a quello che siamo.
Noi potremmo vendergli la nostra cultura, e invece gli diamo quello che si aspettano. Questo è il passaggio più pesante di una globalizzazione rispetto alla quale non c’è salvezza.
La nostra media produzione è saltata ed è per questo che i giovani vanno nelle botteghe a realizzare la piccola opera, magari la brocchetta, che però non rappresenta nulla sul piano del mercato. Il mercato dell’arte non ci appartiene, è una cosa locale che esiste sempre ma non compete con il mondo del commercio vero, che potrebbe risollevare le nostre manifatture.

Irene Biolchini

https://ugolapietra.com/

LE PUNTATE PRECEDENTI

Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri
Gli artisti e la ceramica #15 – Concetta Modica
Gli artisti e la ceramica #16 – Paolo Gonzato
Gli artisti e la ceramica #17 – Nero/Alessandro Neretti
Gli artisti e la ceramica #18 – Bertozzi & Casoni
Gli artisti e la ceramica #19 – Alberto Gianfreda
Gli artisti e la ceramica # 20 – Sissi
Gli artisti e la ceramica #21 – Chiara Camoni
Gli artisti e la ceramica #22 – Andrea Anastasio
Gli artisti e la ceramica #23 – Michele Ciacciofera
Gli artisti e la ceramica #24 – Matteo Nasini
Gli artisti e la ceramica #25 – Luisa Gardini
Gli artisti e la ceramica #26 – Silvia Celeste Calcagno
Gli artisti e la ceramica #27 – Michelangelo Consani
Gli artisti e la ceramica #28 – Andrea Salvatori
Gli artisti e la ceramica #29 – Serena Fineschi
Gli artisti e la ceramica #30 – Antonio Violetta

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Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

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