Gli artisti e la ceramica. Intervista a Matteo Nasini

Scienza, tecnologia e materia si incontrano nella pratica di Matteo Nasini, nuova “voce” della rubrica dedicata al legame fra gli artisti e la ceramica.

Matteo Nasini (Roma, 1976), dopo gli studi al Conservatorio, si dedica alle arti visive fondendo progetti di sound installation a sperimentazioni con diversi materiali. Tra questi la ceramica occupa un posto speciale.

Il tuo rapporto con la ceramica è profondamente connesso alle nuove tecnologie. Come sono nate le tue collaborazioni in questo ambito?
Non sono fissato con le nuove tecnologie né con l’arte ceramica. Ho iniziato ad avvicinarmi a questo materiale cinque anni fa durante una residenza, da lì è sempre stata presente nella realizzazione dei miei progetti. Nel corso del tempo, osservando e studiando i lavori che più mi hanno impressionato, ho quasi sempre riscontrato due elementi: l’innovazione tecnologica e la pratica manuale. Questi due elementi devono coesistere anche nei miei progetti: è anche un’esigenza imposta dalla ricerca sulla materia sonora oppure, come in Sparkling Matter, per creare una scultura generata dai dati provenienti dagli encefalogrammi delle fasi R.E.M. Se ci pensi è un processo che parte da un evento organico, il sogno, che per concretizzarsi nella materia ha bisogno della tecnologia, del digitale. Quando ho deciso di imprimerlo ho scelto la ceramica perché desideravo far tornare il processo in una materia organica, non volevo chiudere un cerchio ma far coesistere due identità in un soggetto ibrido. Le ho realizzate in porcellana perché ho trovato nel bianco il colore del mistero che avvolge i differenti stati di coscienza durante il sonno.

Nella tua performance Neolithic Sunshine hai utilizzato strumenti ossei-ceramici, riuscendo a far coincidere forma e contenuto dell’opera. Come si è sviluppata questa ricerca?
Ci sono vari desideri nell’idea di Neolithic Sunshine: volevo proporre una mia visione estetica e acustica sul tema della coesistenza dei differenti presenti. L’innovazione tecnologica ci permette oggi di guardare al passato in maniera avveniristica, rende possibile il manifestarsi di fenomeni perduti. Nella performance il ritorno di questo ancestrale suona e sembra vivido, si mischia inevitabilmente con l’interpretazione dei musicisti e, in questo scambio necessario, il tempo si dipana in modo non lineare, non cronologico, restituendo un senso di comunione tra ere e umanità lontane. È di grande ispirazione per me. Desideravo anche ascoltare i suoni degli strumenti ricavati dalle ossa di animali estinti, che per noi sono inauditi. Li volevo di un materiale fatto di terra, la stessa terra su cui stiamo tutti, allora come oggi. E poi quel momento e quel luogo indefiniti in cui l’uomo inventò la musica che è un immagine impossibile ma anche reale.

Matteo Nasini. TBT (to be titled, turn back time). Exhibition view at Magazzino, Roma 2018

Matteo Nasini. TBT (to be titled, turn back time). Exhibition view at Magazzino, Roma 2018

La tua ricerca ti ha spesso portato a produrre strumenti suonati dal vento, demandando la costruzione del suono a forze esterne e indipendenti dall’uomo. Allo stesso modo alcune tue sculture in ceramica sono la trasposizione tridimensionale dell’attività celebrale durante il sonno. Sembra che scienza e rifiuto di controllo convivano all’interno della tua ricerca, ribaltando l’idea modernista di una scienza a cui tutto viene demandato, poiché vi è sempre un elemento incontrollabile. Da dove trae origine questo binomio scienza-arcaico nella tua ricerca?
Io credo profondamente nel metodo scientifico. Il binomio forse nasce da un mio interesse verso i fenomeni sensibili che sono intorno a noi. Il sogno è un esigenza fisiologica che produce immagini ed emozioni e ci affascina anche perché è avvolto dal mistero. La scienza non sa spiegare perché sogniamo; in modo simile l’impredicibilità del vento ‒ che modula le armonie delle sculture eoliche ‒ è il musicista invisibile (e sconosciuto) che genera suoni che sembrano umani, anche se innescati da qualcosa che umano non è. La fenomenologia di queste sculture ‒ che suonano solo in presenza di vento anziché di persone, allontanandosi da noi e dai nostri desideri ‒ ci porta a essere degli spettatori parziali. È come se queste ricerche si muovessero in zone dove l’incertezza o la suggestione diventano l’elemento espressivo.

In Sparkling Matter la dimensione collettiva aveva un ruolo fondamentale. Come e quanto tenti di equilibrare individualità e collettività nel momento in cui concepisci un progetto?
La dimensione partecipata del sonno in Sparkling Matter è stata una dinamica innescata dalla forma sonora ed è servita per rendere possibile una determinata esperienza. Mi sono posto la domanda: se vai all’opera ti siedi sulle poltrone e guardi la recita, se vai a un festival la condizione d’ascolto è diversa, ce ne sono infiniti di modi in cui percepiamo la musica, ma se vai a un concerto per cervello addormentato che dura il sonno di una notte, qual è la condizione d’ascolto più adatta? Come deve trasformarsi lo spazio? Qualcuno ha detto che è l’unico concerto veramente riuscito quando tutti dormono, oppure una sorta di pigiama party psichedelico; per me tra i momenti più interessanti di questo esperimento c’è il risveglio al mattino, dove sconosciuti che hanno dormito nello stesso spazio si ritrovano a scambiarsi impressioni nel sopore, un po’ straniti dalla lunga esposizione al suono e dal fatto che non si conoscono, ma hanno condiviso qualcosa di intimo dormendo vicini. C’è il tema del suono come pratica sociale, l’esperienza determinata è questa. Il riunirsi intorno al suono che non è intrattenimento e neanche esposizione frontale, ma materia sensibile, una questione aperta, un qualcosa di vicino all’esperienza onirica.

Irene Biolchini

http://www.matteonasini.com/

LE PUNTATE PRECEDENTI

Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri
Gli artisti e la ceramica #15 – Concetta Modica
Gli artisti e la ceramica #16 – Paolo Gonzato
Gli artisti e la ceramica #17 – Nero/Alessandro Neretti
Gli artisti e la ceramica #18 – Bertozzi & Casoni
Gli artisti e la ceramica #19 – Alberto Gianfreda
Gli artisti e la ceramica # 20 – Sissi
Gli artisti e la ceramica #21 – Chiara Camoni
Gli artisti e la ceramica #22 – Andrea Anastasio
Gli artisti e la ceramica #23 – Michele Ciacciofera

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Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

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