Gli artisti e la ceramica. Intervista a Concetta Modica

Nata a Ragusa, classe 1969, Concetta Modica è la nuova “voce” della rubrica dedicata al legame fra gli artisti italiani e la ceramica.

Quando hai deciso che la terra poteva diventare uno dei tuoi linguaggi preferiti?
A un certo punto, circa dieci anni fa, ho fatto pace con la materia, con le mani, dopo anni di concetti e astrazioni: vedevo le mostre con un mozzicone al centro della galleria e mi annoiavo e quando lavoravo anche di più. Volevo di nuovo tornare a sporcarmi, a usare le mani. Così, visto che lavorare la pietra a Milano era difficile, e il bronzo e le fusioni erano troppo costosi, volevo qualcosa che potessi fare io dall’inizio alla fine, dalla terra, da un sasso all’opera e quindi ho iniziato. Ho iniziato guardando gli artigiani all’opera e poi ho messo le mani in pasta. Il primo lavoro era in argilla cruda, forse un primo modo per tenere le distanze dai ceramisti, dal lavoro artigianale; adesso invece ho una totale ammirazione per un certo tipo di artigianato artistico. Si cambia continuamente, ci si trasforma come smalti a 900 gradi. Continuiamo a inseguire cose che mutano e nel frattempo il tempo ci cambia, le cose hanno un sapore diverso. È bello. Sono spettatrice dei miei mutamenti.

Tu cuoci autonomamente le tue opere in un forno nel tuo studio. Come si riflette questa autonomia nella realizzazione delle tue opere?
Da qualche anno ho un forno tutto mio e devo dire che l’approccio è completamente diverso. Ovviamente mi diverto di più, faccio prove che prima non facevo con la difficoltà di dipendere da forni altrui. È tutto diverso. I tempi sono i tuoi, non devi aspettare nessuno, posso fare pasticci, errori e stare davanti al forno a fare riti sciamanici perché l’infornata resti integra e il fuoco ci grazi. Ho un caro amico esperto che viene a fare dei lavori in studio: gli rubo segreti e saperi e condividiamo piaceri e preoccupazioni verso le temperature.
Poi a volte si infornano pietre, ferri, ma a volte è tutto da buttare. Mi sveglio con il pensiero di aprire il forno che nella notte si è raffreddato e diventa uno dei motivi per alzarsi al mattino.

Concetta Modica, Ascensione, 2019, terra, sepali di pomodoro, oro zecchino, cm 20x30. Courtesy l’artista & FPAC.

Concetta Modica, Ascensione, 2019, terra, sepali di pomodoro, oro zecchino, cm 20×30. Courtesy l’artista & FPAC.

A Palermo hai presentato una serie di opere con colori sperimentali, stesi a freddo sulla terracotta. Come è nato questo progetto e come pensi di svilupparlo?
A Palermo il tema del Grand Tour a cura di Michela Eremita era il viaggio e la migrazione. Ho disegnato un tragitto, dalla terra al cielo, di un sepalo che diventa stella: il gambo stellato di pomodoro diviene una costellazione su un fondo di terra impastata, presa dall’Orto Botanico. Al ritorno ho realizzato dei bassorilievi con la tecnica ad affresco, utilizzando come pigmento il solfato di rame, che è anche l’anticrittogamico per coltivare i pomodori e dà una colorazione azzurra come un cielo limpido. Il solfato di rame steso ad affresco diventa di un azzurro intenso che continua a sbiancarsi in fase di asciugatura, quindi è continuamente da sperimentare e da tarare per arrivare all’intensità voluta. Il ruolo della terracotta è essere il contenitore per l’intonaco dell’affresco ed entra in relazione con l’azzurro e lo incornicia. M’interessa accostare la ceramica con materiali completamente diversi come la stoffa, elementi vegetali, il ferro, il vetro o l’intonaco e l’affresco; mi sembra un modo di allontanarla dagli stereotipi e di renderla insolita.

Nelle tue opere c’è spesso un riferimento al vernacolare, qualcosa che è tipico anche della materia ceramica. In quale misura materia e contenuto del tuo lavoro si uniscono nella tua pratica?
Oggi voglio parlare di epico. Mi ritrovo a sostare intorno a quel che resta di gesti antichi che sono tra-passati nel presente. L’uso di iconografie religiose e il concetto di religione mi sembrano epici pure loro. I filosofi contemporanei parlano del curioso concetto di cristianesimo senza fede o religione senza fede, mi interessa molto. Forse il concetto di fede ormai è epico. Mi confronto quindi con opere che hanno a che fare con questo, il tempo, le cadute, la follia, il salto, la lotta, le cose perdute, i desideri. In questo materia e contenuto diventano la stessa cosa, perché la ceramica contiene in sé diversi concetti: la resistenza al fuoco, la trasformazione, la fragilità sia prima di passare dal fuoco sia dopo. Il grande salto da 0 a 980 gradi, la delicatezza nel passaggio ai 550, l’imprevedibilità, il fatto che può contenere impronte e può essere sia pelle che struttura. Quindi la materia con la sua forma diventa contenuto, l’opera parla lo stesso anche se si perde il comunicato stampa. Nel mio caso materia e contenuto non hanno confini definiti, sono legati, o almeno spero che questo sia chiaro per chi guarda. È ciò che cerco in ogni opera che incontro. Ogni materia ha le sue leggi, quello che viene fuori è un soggetto autonomo che spesso si separa da tutte le intenzioni iniziali e dal suo autore o autrice. Mi piace che tu abbia usato il termine vernacolare, è la prima volta che lo sento per il mio lavoro. Non so bene come prenderlo. Lo associo in questo momento a un adolescente di cui voglio proteggere la timidezza, il silenzio di quell’essere da poco tempo al mondo, con la sua ingenuità e quello che ne consegue, anche delle promesse che non sa se può mantenere, ma sa che possono essere tutto. Pure la giovinezza è epica e così la vecchiaia. Il vernacolare mi piace soprattutto se lo guardi da lontano e sembra un vecchio, poi ti avvicini e trovi qualcosa di adolescente che spiazza.

Concetta Modica, Trilogia di Orlando #3 il ritorno, spazio C.O.S.M.O., Milano. Photo credits Luca Pancrazzi

Concetta Modica, Trilogia di Orlando #3 il ritorno, spazio C.O.S.M.O., Milano. Photo credits Luca Pancrazzi

Ne La Trilogia di Orlando performance e ceramica si univano indissolubilmente. Come sei arrivata all’equilibrio tra questi due linguaggi?
Mi ritrovo e mi sono ritrovata spesso a confrontarmi con la performance, ma mi rendo conto che non è il mio linguaggio, mi mette a disagio, mi fa paura. Tutte le mie performance erano sempre in funzione di una scultura, quando per scultura considero anche un libro o una scultura sonora. Per cui diciamo che parto dalla scultura che finisce per essere usata e condivisa con altre persone: questo mi interessa e mi diverte molto.
La Trilogia di Orlando è stato un tripudio di questo concetto, una serie di ceramiche preparate durante un lungo arco di tempo che hanno interagito con tante persone, dalla curatrice Michela Eremita agli schermitori del Club Valdelsa, dai musicisti alla cantante. La ceramica partecipava nel ruolo di se stessa, ci aspettavamo da lei che resistesse e si rompesse nella speranza di esistere ancora sotto forma di altra opera.

Hai dichiarato che la scultura è da intendersi come tempo. Come sei arrivata a questa definizione? L’incontro con la ceramica ha giocato un ruolo in tal senso?
Le mie sculture hanno elementi che contengono tanto tempo o sono elementi preesistenti, vecchie sculture non mie o materia che qualcuno ha lavorato a lungo. In questo caso i lavori non solo parlano, ma sono essi stessi fatti di tempo; e poi è ciò di cui trattano tutti gli artisti e le artiste perché cercano di sfidarlo o di seminarlo. La ceramica, già in forma di panetto di argilla, trasuda secoli che non sono solo quelli dati dalla lavorazione o dalla sua storia geologica, ma quelli simbolici, epici appunto.

‒ Irene Biolchini

LE PUNTATE PRECEDENTI

Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

Scopri di più