Gli artisti e la ceramica. Intervista a Serena Fineschi

È recente l’amore di Serena Fineschi per la ceramica. Ne abbiamo parlato con lei, nella serie dedicata agli artisti che si confrontano con la modellazione di materiali atipici come il chewing-gum.

Serena Fineschi (1973) si è formata a Siena, sua città d’origine, dove nel 2016 ha ideato CAVEAU, una cassaforte incassata tra le mura medioevali che ospita idee. Oggi vive e lavora tra Siena e Bruxelles, dove nel 2018 ha fondato MODO asbl, associazione culturale per la promozione del contemporaneo con sede a Bruxelles. Suo anche il progetto Grand Hotel, un luogo in movimento che ospita, raccoglie, accoglie e colleziona forme di passaggio provenienti dalle menti e dagli studi degli artisti. L’abbiamo incontrata per parlare della sua idea di arte e di affetti, oltre che del suo recente amore per la ceramica.

Nella recente mostra a Palazzo Monti, a cura di Marina Dacci, hai presentato per la prima volta un corpus di opere in ceramica. Come è nata la voglia di confrontarti con questo linguaggio? Come e in che misura il materiale ceramico era necessario per lo sviluppo del tuo progetto?
Vogliamo parlare d’amore? a cura di Marina Dacci a Palazzo Monti è una narrazione, attraverso il corpo, della nostra esistenza.  Una storia che dialoga con l’intimità di ognuno di noi, ciascuno con il proprio racconto, nella semplicità dell’abitare quotidiano per resistere all’arroganza che inquina il nostro stare al mondo. Siamo presenti al mondo solo tramite il nostro corpo e “… il mondo è intessuto della contiguità di tutti i corpi...”.
Nel mio lavoro il corpo è la dimensione, la misura che lo determina e per me l’argilla è da sempre un corpo che lascia intuire il suo toccare, pelle già da sempre esposta al mondo. Era dunque arrivato il momento di confrontarmi con questo linguaggio, per fare di un corpo un corpo e tenere insieme ciò che è piacere e dolore, segno e impermanenza, tensione e quiete nell’enigma del corpo.

Serena Fineschi, The Primitives (Trash Series), 2018, chewing gum and saliva on cardboard. Photo credit Petro Gilberti

Serena Fineschi, The Primitives (Trash Series), 2018, chewing gum and saliva on cardboard. Photo credit Petro Gilberti

In molte delle tue opere in ceramica il corpo gioca un ruolo fondamentale: sono lavori che recano le tracce di azioni come abbracci e morsi riportando alla memoria certi interventi di arte povera e di performance storiche. In questo senso, chi sono gli artisti che senti come tuoi maestri?
Il corpo sa, si sente come linea, segno, tratto, forma, maniera, aspetto e il contatto non si limita al toccare ma implica tutte le forme di rapporto, ogni possibilità di confronto e conforto. È il corpo che espone il desiderio. Accarezzarsi, mordere, pizzicarsi, grattarsi, leccare, massaggiarsi, baciare, abbracciarsi, toccarsi, darsi la mano, stringersi: sono i piccoli gesti che il nostro corpo compie e riceve ogni giorno. Semplicemente.
Non siamo totalmente consapevoli della loro importanza ed eccezionalità. Una nobiltà fatta di segni che vivono all’origine delle cose, nella poesia del nostro sentire e della nostra memoria. Viviamo subendo la contemporaneità dei gesti urlati e turbolenti, di un tempo agitato trascorso a rincorrere azioni eclatanti, dimenticando che la vita non è altro che un’addizione di piccoli gesti. Tutte quelle azioni modeste e silenziose, compiute nell’autenticità degli affetti che non hanno la presunzione di cambiare il mondo ma spostano, trasformano e maturano profondamente la nostra esistenza. E lo celebrano lentamente, giorno dopo giorno, esattamente come il mio lavoro, nel quale il gesto è un tessuto di ripetizioni definibile come un adesso che si prolunga. In questo adesso non guardo a un segmento o a un piano unico di passato, esamino l’intero corpo della storia dell’arte.

La lavorazione dell’argilla arriva dopo alcuni anni in cui hai lavorato a più riprese con altri materiali estremamente malleabili, penso ad esempio alla gomma da masticare. Quali specificità e quali similarità hai riscontrato lavorando questa materia rispetto alle precedenti?
Il chewing-gum non è altro che il paradigma consumistico della società contemporanea. Mastichiamo, non assimiliamo e sputiamo. La gomma da masticare è esperienza di consumo ma allo stesso tempo, nel mio lavoro, paesaggio e pratica pittorica. L’argilla ‒ in realtà ‒ non è un materiale così diretto come appare, contiene degli equilibri e delle consuetudini molto severe. È apparentemente rassicurante, chiede di essere manipolato, di prendere forma e determinarsi immediatamente soggetto ed è davvero molto faticoso evitare di farsi sedurre dalle sue esigenze e richieste continue. Cedere al suo fascino è possibile. Ho cercato di lavorare nel tentativo di essere un corpo di un corpo, carne con carne, di mantenere la materia inalterata al suo essere materia e contemporaneamente sottoporla al suo annullamento. Disattivarla nel tentativo di creare un nuovo corpo, evocato, enigmatico dove gli istanti rimangono costantemente aperti.  La materia diventa quindi luogo e ambiente, posto e passaggio del rapporto a sé, spirito e identità.

Serena Fineschi, Ci è mancato il tempo non l’amore (Caption Series), 2020 (dittico), mobili in legno, lacca, smalti, acqua piovana, 50x46 cm, 60x50 cm. Photo credit Petro Gilberti

Serena Fineschi, Ci è mancato il tempo non l’amore (Caption Series), 2020 (dittico), mobili in legno, lacca, smalti, acqua piovana, 50×46 cm, 60×50 cm. Photo credit Petro Gilberti

Molte delle tue opere in mostra a Palazzo Monti sono accompagnate da testi autobiografici che raccontano una memoria personalissima che si unisce al gesto. La parola è al centro di diversi tuoi lavori, penso ad esempio a Il primo giorno di sole (2014), anche se lì il dispositivo procedeva all’inverso: dalla parola alla costruzione visiva (mentre qui il testo sembra più un controcanto). Il racconto personale sembra legato in maniera indissolubile all’opera. Sono nati prima i testi o i lavori?
Quando con Marina Dacci abbiamo iniziato a lavorare all’idea di mostra, sin dalle nostre prime riflessioni comuni è parsa da subito fondamentale la mia necessità di intervenire con una serie di testi da presentare in mostra. Parole già presenti nella mia memoria, reliquie e avanzi antecedenti la realizzazione delle opere. Questa esigenza è nata dalla volontà profonda di accompagnare le opere a testi-didascalie e misurarle insieme, le une verso le altre e viceversa, in una circolarità continua e opposta, il testo è l’opera e non solo, l’opera è il testo e non solo. La loro autonomia è la mutua dipendenza. Un flusso comune dove il tempo non si estingua, un tempo remoto e riattivato dal presente, dall’autorelazione e dalla relazione con gli altri. Memoria dove ogni cosa è anche altro da sé per riuscire a dare una testimonianza del presente al presente.

Il tono personalissimo di certi lavori, come La grande madre o Ci è mancato il tempo non l’amore (2020),si alterna a una ricerca che ha le sue solide radici nella tradizione artistica italiana, penso ad esempio a La madonna del Parto (2020), alla Maestà (Duccio di Buoninsegna), Trash Series (2018).Come si lega la memoria individuale alla storia dell’arte italiana nella definizione della tua identità di artista italiana residente all’estero?
Ogni mio lavoro ha origine dalla dimensione intima, del resto ogni opera è intima in sé. L’intimità e l’opera sono venute insieme al mondo. I miei lavori preservano per continuare, prolungare, trasformare in modo accidentale ma non casuale, attraverso il corpo e con il corpo. Grazia e consolazione; il passato diventa presente, memorie ossessive, ricordi di ricordi, stratificazioni culturali e artistiche, relazioni che legano la storia collettiva, sociale, politica a quella dell’individuo. È lo Weltschmerz che l’artista si carica sulle spalle e, come ho già detto, non mi è possibile guardare a un unico punto di passato e la mia decisione di vivere e lavorare anche in un altro Paese oltre all’Italia non cambia questa necessità. Indubbiamente, non posso prescindere dalle mie origini e dal Paese in cui sono nata e vissuta e questo implica senz’altro una modulazione formale del proprio lavoro che non è definibile come una possibilità.

Come mai hai deciso di tornare in Italia per produrre la tua ceramica? C’era qualcosa della tradizione di cui parlavamo poco fa che hai voluto recuperare?
Questa intensa narrazione della nostra esistenza attraverso il corpo mi ha naturalmente e spontaneamente indirizzato verso le mie origini per la produzione delle opere.  La tradizione italiana dell’arte della ceramica aveva il suo epicentro tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Faenza è l’eccellenza, la città della ceramica, dove le capacità e le qualità di sapienti artigiani sono altissime. Ho lavorato per mesi con Aida Bertozzi, maestra ceramista di Faenza, una professionista capace ma soprattutto una donna che ha assecondato ogni mia ossessione e incertezza con il contatto che non si limita al toccare. Avevo la necessità di non applicare alcun filtro (come quello linguistico, ad esempio), esigevo empatia e conoscenza ma soprattutto un approccio che trasmettesse da intimità a intimità un senso intimo al mio lavoro, dove il corpo è pensiero, desiderio, inclinazione, declinazione, disperazione e ossessione.

Irene Biolchini

LE PUNTATE PRECEDENTI

Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri
Gli artisti e la ceramica #15 – Concetta Modica
Gli artisti e la ceramica #16 – Paolo Gonzato
Gli artisti e la ceramica #17 – Nero/Alessandro Neretti
Gli artisti e la ceramica #18 – Bertozzi & Casoni
Gli artisti e la ceramica #19 – Alberto Gianfreda
Gli artisti e la ceramica # 20 – Sissi
Gli artisti e la ceramica #21 – Chiara Camoni
Gli artisti e la ceramica #22 – Andrea Anastasio
Gli artisti e la ceramica #23 – Michele Ciacciofera
Gli artisti e la ceramica #24 – Matteo Nasini
Gli artisti e la ceramica #25 – Luisa Gardini
Gli artisti e la ceramica #26 – Silvia Celeste Calcagno
Gli artisti e la ceramica #27 – Michelangelo Consani
Gli artisti e la ceramica #28 – Andrea Salvatori

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Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

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