Gli artisti e la ceramica. Intervista ad Andrea Anastasio

Designer, ricercatore e collaboratore di case editrici e musei, Andrea Anastasio ha anche un debole per la ceramica.

Andrea Anastasio (Roma, 1961). Laureato in filosofia, negli anni ha lavorato come designer (ha disegnato, tra gli altri, per Artemide, Danese, Memphis e Design Gallery), ricercatore (collaborando a progetti di catalogazione dell’architettura islamica in India), collaboratore di case editrici e musei. Lo abbiamo incontrato per parlare della sua ultima passione, la ceramica.

Hai spesso ribadito il ruolo che la fragilità può avere per ripensare il canone moderno. Come si inserisce la tua esperienza con la ceramica all’interno di questa ricerca?
I riferimenti alla fragilità nascono dalla consapevolezza che il progetto moderno, forte della sua ingenua fede nel progresso lineare e inarrestabile verso la bellezza e il bene condiviso, ha escluso dalle proprie modalità operative l’imprevedibile, l’inauspicabile, in altre parole la vulnerabilità che è sottesa alla condizione dell’essere umano. La scelta di lavorare molto spesso con materiali fragili come il vetro e la ceramica mi ha permesso di indagarne le valenze narrative e di sperimentarne i comportamenti. La ceramica, nella mia ricerca, è arrivata dopo anni di frequentazione delle fornaci muranesi. Confesso che mi intimidiva la stratificazione millenaria che la caratterizza e quindi ho atteso a lungo prima di utilizzarla. Ho cominciato a lavorare con la terracotta in India nel 1996 e solo nel 2006 in Italia con un progetto commissionatomi dalla galleria romana di Roberto Giustini, in collaborazione con Richard Ginori. Non avrei immaginato che la ceramica sarebbe diventata una materia così importante nella mia ricerca. Ciò che più mi interessa è lo studio e l’osservazione del rapporto che l’uomo ha intessuto con la ceramica nel corso del tempo e le molteplici narrazioni che le civiltà hanno affidato alla ceramica.

Andrea Anastasio, Tarme, 2019

Andrea Anastasio, Tarme, 2019

Negli anni hai serenamente combattuto griglie e categorie muovendoti come ricercatore, designer, artista. Recentemente hai inaugurato due progetti distinti, come il tuo intervento per Capri e la mostra ad Amman con Stefano Arienti. Quali sono le continuità e le divergenze metodologiche che metti in campo ogni volta?
Prima di tutto ti dico che non è stato facile (e per certi aspetti non lo è ancora oggi) far accettare questa dimensione. Tu dici che ho serenamente combattuto, in realtà ho dovuto scoprire, comprendere e accettare nel tempo quello che la mia natura è, il mio modo di guardare il mondo e di interagire con esso. Sono grato ai maestri che ho incontrato, in particolare Boetti, il suo modus operandi, la lezione lasciata da Munari e l’architettura compositiva di Gabriel Orozco; sono tre grandi che hanno saputo giocare con grande serietà.
Non ci sono divergenze metodologiche per me, bensì declinazioni diverse. Non è stato sempre così.

In che senso?
I lavori di design che ho concepito tra la fine degli Anni Ottanta e il ’93 sono esercizi compositivi. È solo dopo quella data che ho smesso di impedirmi di compiere ricerche artistiche e, allo stesso tempo, cominciato a cercare un linguaggio, o meglio una metodologia progettuale che mi permettesse di portare avanti entrambe le ricerche. I rapporti con le aziende per me hanno senso solo se riesco a trasferire nella logica del prodotto un cortocircuito linguistico, un pensiero che può interagire con la funzione, negandola, sottolineandola, sabotandola e arricchendola di altri significati. Affronto le ricerche artistiche con lo stesso atteggiamento e spesso utilizzo oggetti o manufatti come materie prime per trasformarli in immagini.

Ci fai qualche esempio?
Ad Amman, per il progetto realizzato per la Giornata del Contemporaneo con il MiBACT e con la Fondazione Darat al Funun, ho lavorato su tappeti kazaki prodotti industrialmente in Turchia; li ho forati e borchiati con anelli da tappezzeria in un laboratorio artigiano nella bergamasca e successivamente posati su foulard curdi prodotti in Giappone. La disposizione dei fori è data dalle traiettorie dei percorsi domestici da stanza a stanza. Il risultato offre molteplici letture e ha un forte impatto visivo. Allo stesso tempo, la composizione è dettata da un approccio sintatticamente molto rigoroso e vuole essere, in primis, una riflessione sulle merci e sul mercato odierno, sui manufatti tradizionali che vengono replicati industrialmente in aree geografiche totalmente indipendenti dalle origini e dalla storia di quei manufatti stessi. Nella stessa mostra, che vedeva alle pareti i lavori su carta e su tela antipolvere di Stefano Arienti, ho esposto dei lavori nati dalla manipolazione di ceramiche faentine, trasformate con un approccio simile a quello dei tappeti.

Andrea Anastasio, Sismi, 2019

Andrea Anastasio, Sismi, 2019

Collabori stabilmente con la Ceramica Gatti di Faenza: in cosa consiste questo tuo progetto e come è nato?
Ho cominciato a eseguire lavori nella Bottega Gatti nel 2017 e dall’autunno del 2018 ne sono diventato direttore artistico. Questo fa sì che io mi trovi nella condizione migliore per apprendere molte tecniche sia della lavorazione dell’argilla, sia della cottura e della smaltatura. Con Davide Servadei c’è una profonda intesa; la sua lunga e preziosa esperienza con artisti di varia formazione e di generazioni diverse lo rende straordinariamente capace di comprendere e di interpretare i progetti di autori che operano con modalità molto diverse tra loro. Al momento stiamo portando avanti due temi principali: una riflessione sulla tradizione faentina, cercando designer capaci di interpretarla senza ripeterne gli stilemi e allo stesso tempo senza tradirla, e l’individuazione di autori che sappiano dialogare con le tecniche e le materie caratteristiche della bottega Gatti, declinandole in proposte inedite. Il tema della tradizione faentina e come far transitare nel XXI secolo suoi stilemi, sue forme per me è molto importante, perché si parla di una eredità culturale complessa e stratificata nel tempo che non può e non deve essere lasciata al caso, alla sterile replica caratteristica del souvenir, né tantomeno rimossa.

La tua vita, sia artistica che personale, è stata estremamente legata all’India, della quale hai spesso indagato complessità più che esotismi, penso ad esempio al lavoro Check Point (del 2012) o al più recente progetto per l’Italian Embassy Cultural Centre (presentato nel gennaio del 2019). Quali saranno i tuoi prossimi progetti tra India ed Europa?
In India sto lavorando a diversi progetti che mi permettono di interagire, dialogare e progettare in diversi contesti. Nel distretto di Bishnupur, in West Bengal, famoso per l’unicità dei templi in terracotta costruiti tra il XV e il XVIII secolo, stiamo lavorando a un programma di rivalutazione e incentivazione dell’artigianato locale, soprattutto della terracotta e del tessuto. In Italia, invece, sono a Roma con una mostra di ceramiche alla galleria Giustini/Stagetti e a Bologna, in un progetto espositivo con Arienti che ci è stato commissionato da Corraini sull’opera di Bruno Munari. Per il 2020 sto anche lavorando alle scenografie di un’opera contemporanea, Mare Nostrum, di Mauricio Kagel, in un appassionante progetto insieme ad Alessandro Sciarroni e a Luciana Galliano, curato da Davide Quadrio, che debutterà a Marsiglia.

Irene Biolchini

LE PUNTATE PRECEDENTI

Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri
Gli artisti e la ceramica #15 – Concetta Modica
Gli artisti e la ceramica #16 – Paolo Gonzato
Gli artisti e la ceramica #17 – Nero/Alessandro Neretti
Gli artisti e la ceramica #18 – Bertozzi & Casoni
Gli artisti e la ceramica #19 – Alberto Gianfreda
Gli artisti e la ceramica # 20 – Sissi
Gli artisti e la ceramica #21 – Chiara Camoni

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Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

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