The Soft Moon è il progetto solista fondato nel 2009 a Oakland, in California, dal musicista, compositore e produttore americano Luis Vasquez. Con sonorità tra post-punk, darkwave, minimal wave e rock industriale, il progetto si è ampliato nella performance dal vivo con una vera band. Il suo ultimo album, pubblicato nel 2018 con la rinomata etichetta statunitense Sacred Bones, è stato registrato in Italia a Bassano del Grappa, dopo un lungo soggiorno a Venezia. L’artista, che suona chitarra, sintetizzatori e percussioni, ha collaborato, infatti, con i musicisti italiani Matteo Vallicelli (batteria) e Luigi Pianezzola (basso). Con lunghi tour internazionali, aperture per band celebri come gli scozzesi rock alternative The Jesus and Mary Chains e gli statunitensi industrial metal Nine Inch Nails, collaborazioni importanti come John Foxx, fondatore della band new wave britannica Ultravox, e remix per celebri musicisti come la band post rock scozzese Mogwai, il danese Trentemøller e la band post-punk turca She Past Away, The Soft Moon è riuscito a inserirsi in un nuovo contesto stilistico e immaginifico in cui si sentono echi del duo synthpunk newyorkese Suicide, degli stessi Nine Inch Nails, e di una sperimentazione più malata.
La tua definizione di arte.
È la passione innata all’interno di ogni individuo di lasciare un segno nel mondo e un’eredità. Impattare e creare il prossimo capitolo evolutivo affinché l’umanità possa spingersi oltre mentre ci evolviamo nel nostro futuro.
La tua definizione di musica.
È un’espressione primordiale, un linguaggio universale che si estende ad altre dimensioni che sopravvivranno a noi.
Ti definisci un “artista”?
Sì, perché creo musica. È così che ho scelto di esprimermi. Potrebbero esserci altri modi per farlo, ma la musica mi permette di andare più in profondità ed esprimere sentimenti che sono altrimenti difficili da trasmettere.
L’opera di arte visiva che più ami.
Arnold Böcklin, L’isola dei morti [dipinto a olio, 1880-86, di cui esistevano cinque versioni, una distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, N.d.R.]. Sembra infondermi pace.
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PAROLA A MARK FERNYHOUGH
Mark Fernyhough è un musicista e artista visivo londinese con base a Berlino. La sua musica richiama echi elettronici Anni Ottanta e sonorità new romantic vicine al gruppo glam rock britannico Roxy Music fondato da Bryan Ferry, con cui Marc condivide un’estetica dandy. Invitato ad aprire più volte il palco per la storica band britannica britpop Suede capitanata da Brett Anderson, la sua musica è entrata in rotazione in numerose radio tedesche e alla BBC. Marc è conosciuto anche per il suo lavoro di fotografo e videomaker, pubblicato regolarmente su testate come Vogue e Vice, e utilizza il mezzo performativo in luoghi d’arte come gallerie, per lanciare i suoi lavori musicali, spesso in collaborazione con danzatrici e modelle. Nell’attesa di un suo album in lavorazione, è stato lanciato il suo ultimo singolo dedicato alla pittrice svedese Hilma Af Klint. Di prossima uscita anche la sua soundtrack per un film diretto da Julia Obst che sarà proiettato sul ponte di Brooklyn a New York.
La tua definizione di arte.
Città come Londra o Berlino possono vivere respirando opere d’arte in evoluzione, adoro girovagare e perdermi in esse. Inoltre le persone possono scolpire le loro vite come opere d’arte. Vedo la mia esistenza attraverso una lente artistica che aiuta a darle un senso e le dà scopo, contesto e significato, sia attraverso il mio lavoro visivo concettuale che attraverso la mia musica. Mi ha portato in molte avventure affascinanti.
La tua definizione di musica.
La musica è soprannaturale, trasmette messaggi e sentimenti inesprimibili attraverso le parole. Il mio lavoro combina musica e arte in modo così ideologico che non faccio distinzione tra le due forme. Sono entrambi mezzi per una comunicazione più elevata. Le mie canzoni sono contestualmente dense e composte da arte, cultura e letteratura. Voglio che siano immediatamente potenti, brani musicali intrisi di livelli più profondi di significato.
Ti definisci un “artista”?
Sì. La vita senza arte è solo esistenza. Vivo la mia vita come un bellissimo esperimento artistico e mi circondo di coloro che mi ispirano. Tuttavia, gli artisti dovrebbero anche essere outsider che possono offrire una prospettiva alternativa sulla vita, la società e la condizione umana essendo parzialmente distanziati da essa.
L’opera di arte visiva che più ami.
Attualmente il Pierrot Le Fou di Godard (Il Bandito delle Undici, film di Jean-Luc Godard, 1965), mi sta estasiando. La sua estetica Pop Art, il suo montaggio radicale, la ricerca della libertà intellettuale da parte del suo protagonista ‒ qualcosa a cui posso davvero relazionarmi.
https://www.facebook.com/mark.fernyhough
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‒ Samantha Stella