Architettura ludica. Intervista a Italo Rota

Con un percorso professionale poliedrico, avviato negli studi di Albini e di Gregotti, l’architetto Italo Rota ha a lungo lavorato in Francia, per poi rientrare in patria. Quarto protagonista dell’indagine sull’architettura ludica, sul metaverso è netto: “Non inciderà sull’evoluzione dell’architettura"

Italo Rota, milanese, classe 1953, è un architetto che si distingue per una ricerca che incrocia differenti discipline. Punta all’innovazione muovendosi in diversi ambiti, dall’arte contemporanea alla robotica. Dopo aver vinto il concorso per gli spazi interni del Musée d’Orsay, trascorre un lungo periodo in Francia; poi, di nuovo in Italia, dal 1996 ha dato il via a una fase fortemente creativa con opere che spaziano dalle installazioni museali a quelle per la Maison Cavalli (con gli showroom café di Miami, Milano e Mosca). Tra i suoi progetti: la ristrutturazione di Palazzo Forcella – De Seta e della Stazione Marittima al porto di Palermo; un tempio indù e una villa privata a Bombay; una serie di piazze e spazi pubblici in diverse città italiane. E, ancora, il progetto per il Museo del Novecento a Milano, i Musei Civici di Reggio Emilia, la Fabbrica di robot Elatech a Brembilla (BG), il Teatro dei bambini a Milano, il Padiglione laboratorio Noosphere alla Triennale di Milano, il Padiglione Kuwait a EXPO Milano 2015 e, più di recente, il Padiglione Italia a Expo 2020 Dubai. È stato professore di Progettazione presso l’École d’Architecture UP8 Paris-Belleville, la Facoltà di Architettura di Ferrara e lo IED di Milano. Ha tenuto seminari in varie facoltà e scuole di architettura, come la Columbia University, il Politecnico di Milano, la Facoltà di Architettura di Losanna e la Facoltà di Architettura di Ginevra. Attualmente è Direttore del Dipartimento di Design della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Fra gli interventi in corso, si segnala il polo culturale AGO Modena Fabbriche Culturali, ancora una volta insieme a CRA – Carlo Ratti Associati.

Italo Rota, foto Massimo Listri

Italo Rota, foto Massimo Listri

INTERVISTA ALL’ARCHITETTO ITALO ROTA

Che cosa significa “gioco” nel tuo lavoro di architetto?
Nella mia storia personale non ho mai fatto differenza tra gioco e lavoro. Fin da piccolo ho considerato tutto ciò che facevo un lavoro.

Esiste nei tuoi progetti una componente ludica?
Bisogna mettersi d’accordo su cosa si intende per ludico. Se ludico è la capacità di immaginare, sì, c’è. Se invece vuol dire imitare le cose che si fanno da grandi, che acquistano una identità creativa a causa delle semplificazioni che fanno i bambini, o delle interpretazioni che i bambini fanno del mondo degli adulti, allora non è il mio caso.

Che cosa pensi dei giochi di costruzioni creati da architetti famosi?
Ce ne sono di due tipi: i più interessanti sono quelli che compongono la città a grande scala. Quelli a piccola scala, come il gioco del figlio di Wright, sono un po’ caricaturali. Poi ci sono casi unici, come il gioco creato da Bruno Taut, che fa parte della sua storia di progettista e che serve anche per capire la Glasarchitektur di Scheerbart.

Hai mai pensato di progettare un gioco di costruzioni?
No, perché per fare i giochi bisogna proporre delle strategie che valgano per tantissime persone. I giochi di maggior successo legati alla città sono il Monopoly e il Lego. Hanno avuto un grande riscontro per motivi diversissimi, ma anche perché sono comunque interpreti della città. Un altro gioco importante è Sim City.

Studio Italo Rota, Mediateca Sabdro Penna, San Sisto, 2004, foto Tomas Clochiatti

Studio Italo Rota, Mediateca Sabdro Penna, San Sisto, 2004, foto Tomas Clochiatti

L’ARCHITETTURA LUDICA SECONDO ITALO ROTA

Il discorso del ludico è più legato al design o all’architettura?
Il design è sempre stato legato ai giochi che implicano una miniaturizzazione della casa. Penso alla Kaleidoscope Doll House, i cui autori invitarono molti giovani designer a fare i mobili, da Ron Arad a Barbara Kruger. Dentro ci sono tutti i prototipi degli arredi.

La componente ludica in un’architettura giocattolo coincide con un’idea di racconto?
In genere il racconto principale è l’immagine che sta sulla scatola: è una sintesi della filosofia e dà “il gusto” di quello che si potrebbe fare. Da lì in poi scatta l’interpretazione. Ultimamente però le cose sono cambiate: sono uscite le “megascatole” della Lego che arrivano a 10mila pezzi, dove il gioco consiste nel seguire le istruzioni. Ovviamente le istruzioni sono vagamente imprecise, così puoi stare due ore su un dettaglio. Qui non c’è più interpretazione.

Robot giocattolo nello studio di Italo Rota, foto Sofia Volpi

Robot giocattolo nello studio di Italo Rota, foto Sofia Volpi

In un’architettura vera il senso del gioco può aiutare a suggerire un racconto?
Penso di no. Nell’architettura ci sono troppe componenti che non possono essere simulate nel gioco. Ci sono stati però dei giochi, soprattutto negli Anni Sessanta e Settanta, che hanno simulato i sistemi, con la rete elettrica e idraulica. Ma poi si rivelavano estremamente complicati e i risultati formali erano ipervincolati.

L’idea di ludico nell’architettura implica pure un’idea di teatralità. C’è anche nell’architettura vera?
Dipende. La casa di bambole è un teatro: la facciata che togli è il sipario e va in scena il dramma o la commedia.

Come si conferisce una personalità divertente a un’architettura senza togliere nulla all’autorevolezza del progetto?
Un’architettura è automaticamente divertente quando viene usata. È la vita che la rende divertente. Oggi si può dire che un’architettura è divertente perché ci si trova bene.

Studio Italo Rota, Just Cavalli, Via della Spiga, Milano, 2008. Foto Giacomo Giannini

Studio Italo Rota, Just Cavalli, Via della Spiga, Milano, 2008. Foto Giacomo Giannini

IL FUTURO DELL’ABITARE DOMESTICO E IL METAVERSO IN ARCHITETTURA

Le case più all’avanguardia hanno una vena imprevedibile che può essere legata in qualche modo al senso del gioco?
Bisogna capire queste nuove case dominate dall’intelligenza artificiale, dai big data. Creeranno incomprensioni tra la proposta e l’uso, un po’ come si è visto nei film sull’arrivo della robotica. Un film molto bello su una casa robotica è Bigbug: è molto ironico ed evidenzia le problematiche legate alle macchine che fanno delle scelte indipendentemente dalle nostre richieste.

Ci sono già case o addirittura città di questo tipo?
In Cina stanno terminando la prima città prototipo e presto nasceranno delle città enzimatiche, concepite come fasi pedagogiche per le città dominate dai big data, con le strade intelligenti e reti di servizi all’avanguardia.

Studio Italo Rota, Chameleon Dubai, 2011, foto Gary Mc Goven

Studio Italo Rota, Chameleon Dubai, 2011, foto Gary Mc Goven

L’evoluzione delle nuove tecnologie, in particolare quelle legate al metaverso e ai videogame, può offrire nuove potenzialità alle architetture vere?
Il metaverso non inciderà sull’evoluzione dell’architettura, anzi. L’architettura è in cerca di forma, di materiali, di risposte all’emergenza climatica, alla viabilità. Sono forme che devono essere testate e prototipate. Siamo nella fase scientifica dell’architettura, dobbiamo dimostrare che funzioni, non simulare. Il metaverso, come gli NFT, è un prodotto generato dalla tecnologia, che l’economia cerca di cavalcare.

Vedi quindi un’inflessione del virtuale?
Mi sembra che adesso le persone stiano capendo la fisicità. Penso che l’epoca del “sit at work” stia per finire: chi continua avrà allevato delle macchine che prenderanno il posto di chi ha fatto “sit at work”. Vedere le gambe significa avere di nuovo una visione totale anche della relazione tra la macchina e noi, una visione intima in cui il corpo riprende la sua identità. Lo stesso avviene nei musei: la gente si avvicina molto alle opere, proprio per avere un rapporto fisico. I musei che propongono i quadri online non fanno aumentare i visitatori. I musei più attivi sono quelli che fanno vedere cosa fanno con le opere, come le restaurano, come le spostano.

Mario Gerosa

www.instagram.com/studioitalorota/

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Mario Gerosa

Mario Gerosa

Mario Gerosa (1963), giornalista professionista, studioso di culture digitali, cinema e televisione, si è laureato in architettura al Politecnico di Milano. È stato caporedattore di AD e di Traveller e ora è freelance. Dopo aver scritto il primo libro uscito…

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