Chi era Piranesi? Un nuovo libro racconta il Rubens delle rovine 

La vulgata lo vuole visionario pre-romantico, ma Piranesi era invece un archeologo attento, un uomo del suo tempo ben inserito nel dibattito dei tempi, un teorico dell’architettura. Con un figlio che ne ha fatto una più di Bertoldo…

Per la memoria collettiva Giovanni Battista Piranesi (Mogliano Veneto, 4 ottobre 1720 – Roma, 9 novembre 1778) è il pazzo romantico autore delle Carceri. PierLuigi Panza, nei suoi molteplici studi e libri dedicati all’artista, rivela invece una figura molto diversa. Un uomo pieno di talento, un virtuoso incisore, un erudito, un polemista che parteggiava per il primato dell’arte etrusco-italica su quella delle altre civiltà, un archeologo, un teorico dell’architettura. La sua pratica ha influenzato molti artisti del presente ma anche il cinema di Christopher Nolan e di Ridley Scott. Oggi Electa pubblica il nuovo libro di Panza (dal titolo Piranesi gli scritti), critico d’arte e architettura, studioso e nota penna de Il Corriere della Sera, illuminando, attraverso parole vergate dall’artista di propria mano, il lettore sul pensiero dietro la sua opera. Ce lo siamo fatti raccontare dall’autore… 

PierLuigi Panza, Piranesi gli scritti, Electa, 2023
PierLuigi Panza, Piranesi gli scritti, Electa, 2023

Nel corso degli anni hai molto lavorato sulla figura di Piranesi. Come nasce il tuo amore e il tuo interesse per l’artista? 
Anche se il mio primo amore fu Leon Battista Alberti, da giovane vidi in Piranesi uno dei pochi architetti veramente romantici, fuori dagli schemi, visionario. Durante il dottorato, studiai alla Columbia University il manoscritto di cantiere della sua ricostruzione della chiesa di Santa Maria del Priorato, sede dei cavalieri dell’ordine di Malta. Per questo intervento fu nominato cavaliere dello Speron d’oro, come Mozart. Insomma, Piranesi fu dapprima anche per me il Rubens delle rovine, l’amante dell’antico assaltato dai rovi, dai serpenti, da archeologi predatori… un ragazzo veneziano divenuto cavaliere a Roma dalla vita anche bizzarra… 

Nel 2017 hai pubblicato il libro Museo Piranesi, un inventario delle opere della casa-museo dell’artista, oggi invece torni a raccontare Piranesi attraverso i suoi scritti. Ci sono dei punti in comune nel metodo e nel lavoro di indagine svolto per queste due pubblicazioni? 
Presto sono passato dalla infatuazione romantica alla filologia. In tanti anni ho cercato di studiare di Piranesi ciò che gli altri prima di me avevano lasciato un po’ indietro. Il “Museo Piranesi” è un catalogo filologico di tutti i marmi che passarono per la sua bottega. Il libro che esce ora, invece, è l’edizione critica dei suoi scritti. Piranesi, infatti, durante gli anni Sessanta ha sempre preposto ai suoi cataloghi di stampe incise dei testi di erudizione poco noti ma celebri ai suoi tempi perché si inserivano nel dibattito sulle diverse tradizioni artistiche. Piranesi, quasi da sovranista, parteggiava per il primato dell’arte etrusco-italica su quella delle altre civiltà, come la greca o la egizia.  

Quale ritratto di Piranesi emerge dai suoi scritti? Quale era la sua visione dell’arte e dell’architettura? 
Piranesi è quasi sempre stato interpretato, a partire dai grandi scrittori inglesi (come De Quincey) e francesi (come la Yourcenar) come il visionario pre-romantico autore della Carceri. Nei miei studi ho messo in luce altri punti di vista: fu un archeologo attento misuratore di reperti romani; fu uno scavatore e commerciante di antichità restaurate e passò questa attività mercantile al figlio. Infine, con l’aiuto di altri eruditi, fu uno storico di Roma, un polemista ben inserito nel dibattito dei suoi tempi e anche un teorico dell’arte e dell’architettura. L’architettura deve essere, per lui, composizione armonica di elementi diversi e sempre nuovi per non diventare un vil mestiere da muratore. Piranesi già preconizzava la differenza tra edilizia e architettura nonché l’importanza di creare un proprio marchio per l’artista, che per lui furono i pastiches all’antica”. 

Emerge anche un profilo umano dell’artista? 
Ho pubblicato una sua biografia, che vinse il Premio Selezione Campiello nel 2009 e, più recentemente per l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti la prima ed unica biografia del figlio Francesco, continuatore del padre. Assistiamo alla tipica costruzione di una bottega di artisti nella Roma del Settecento partendo quasi dal nulla, poiché il padre di Piranesi, Angelo, era un semplice spaccapietre a Venezia. Quindi assistiamo al trionfo della bottega quando diventa papa il veneziano Carlo Rezzonico, il trasformarsi di essa in attività mercantile con il figlio sino al suo trascolorare quando, a inizio Ottocento, il nuovo grande veneto a Roma è Canova e, al contempo, Francesco è esule a Parigi, la tecnica calcografica e lo studio e riproduzione dell’antico sono soppiantati da nuovi interessi in tutta Europa. 

Giovan Battista Piranesi, Veduta del Mausoleo di Elio Adriano, Roma, 1748-1778. Biblioteca Nazionale Braidense
Giovan Battista Piranesi, Veduta del Mausoleo di Elio Adriano, Roma, 1748-1778. Biblioteca Nazionale Braidense

Hai scoperto qualcosa di inedito negli scritti appena pubblicati? 
Sono una edizione critica dei suoi scritti che, complessivamente, possiamo quantificare in una decina. I cinque maggiori sono presentati con note, sebbene sia molto difficile capire i riferimenti di uno scrittore bizzarro come Piranesi e, per giunta, del Settecento. Leggendoli bene emerge che non era un pazzo-visionario bensì uno studioso indefesso. Ritiene che un artista possa affrancarsi dagli ordini del committente certamente attraverso la propria fantasia, ma anche se è in grado di competere sul piano culturale, scrivere testi, partecipare ai dibattiti e, se possibile, inserirsi nelle istituzioni del proprio tempo. 

Tornando al figlio dell’artista, Francesco Piranesi lo hai raccontato nel libro Nel nome del padre. Chi era? Che legame aveva con il più famoso padre Giovanbattista? 
Francesco, con anche il fratello Pietro, fu un “figlio di”, ma anche figura ingiustamente ignorata. Ovviamente non aveva il talento del padre nell’incisione e ne fece di ogni: continuò le pubblicazioni delle stampe, fu amico prima degli inglesi e del papa, poi fu spia al servizio degli svedesi, andò in causa con la madre per l’eredità, fu rivoluzionario bonapartista a Roma, mercante d’arte, docente d’architettura in accademia a Parigi, estetologo, giornalista, di tutto… Fu un importante commerciante d’arte sebbene svendette tutti i marmi del padre a Gustavo III di Svezia; infatti, ancora oggi sono a Stoccolma. Sta di fatto che in due sole generazioni brilla e si consuma la parabola dei Piranesi. 

Molto note sono le Carceri di invenzione. Quali sono a tuo parere le altre opere più rilevanti dell’artista? 
Tutti conoscono le Carceri e le Vedute di Roma: ce n’è una collezione anche alle pareti del Quirinale. La sua opera più impegnativa, però, furono Le antichità romane, uno studio archeologico in quattro tomi. Quelle che io ho maggiormente studiato sono le sue ultime raccolte, quella del Piranesi architetto e designer di camini e antiquario di vasi e monumenti antichi che scavava, restaurava e vendeva a inglesi e francesi del Grand Tour. Fu questa la sua principale attività dagli anni Sessanta, quella che diffuse lo stile Piranesi in Inghilterra, specie attraverso i fratelli Adam e sir John Soane. 

Se dovessi individuare, anche solo per gioco, un artista contemporaneo che oggi nella sua pratica rispecchia l’anima di Piranesi chi sarebbe? 
Molti. Nella pratica sono tutti quelli che hanno dell’arte l’idea che creato un proprio brand poi sviluppare un mercato di mass-market. Questo lo fanno anche Jeff Koons, Murakami e molti altri. Dal punto di vista stilistico ci sono sia italiani, come Luca Pignatelli, che stranieri, come Emily Allchurch, che addirittura rielaborano immagini di Piranesi. La sua opera continua a dare un forte imprinting ai registi come Ridley Scott per Blade Runner (1982) o Christopher Nolan per la trilogia dedicata a Batman e nel film come Inception (2010) e ai registi d’opera quando devono mettere in scena il Fidelio di Beethoven che è ambientato in un carcere. Anche gli architetti decostruttivisti, tipo Zaha Hadid, devono molto alle scomposizioni piranesiane delle Carceri mentre il Postmodern deve molto ai suoi Capricci e fantasie come quelle dei suoi bizzarri camini. 

Santa Nastro 

PierLuigi Panza 
Piranesi gli scritti 
Electa (30 novembre 2023) 
288 pagine 
ISBN-10 ‏ 8892823620 

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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