“La poesia è la mia aspirina”. Intervista a Daniela Attanasio 

La sua nuova raccolta di poesie “Vivi al mondo” è nella dozzina finalista al Premio Strega. Abbiamo incontrato Daniela Attanasio per parlare di questo e molto altro

Che Daniela Attanasio (Roma, 1947) fosse una grande autrice lo si intuiva dal numero di premi e collaborazioni presenti in biografia. Premio Dario Bellezza nel 1999, Premio Camaiore nel 2005, premio Sandro Penna nel 2010, presente con i suoi versi in numerose antologie quali Poesia italiana 1970/2000 (Garzanti), Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi). Durante quest’intervista abbiamo scoperto anche il suo valore come persona e l’amore travolgente che la lega alla poesia. Il suo ultimo libro, Vivi al mondo, uscito nel dicembre 2023 per Vallecchi, è in dozzina al Premio Strega Poesia di quest’anno ed è proprio riguardo quest’opera che le abbiamo esposto le nostre principali curiosità.  

Daniela, è un piacere conoscerti. Inizierei con un aspetto che è già stato evidenziato in diverse recensioni, ovvero l’aderenza del tuo libro – per temi e stile – al filone classico, con un effetto che risulta al tempo stesso quasi inedito. È una constatazione che trovi giusta? E se sì, come si arriva a questo equilibrio? 
Il piacere è anche mio, e grazie. Non saprei, sai, io non ho mai pensato a come dovrei o potrei scrivere, credo peraltro che in poesia non lo faccia nessuno. Certo, avrò subito l’influenza di tutte le letture che nei decenni ho fatto le quali non riguardavano, in genere, la poesia sperimentale. A me, nonostante riconosca che sia un fattore essenziale nonché l’unico modo per andare avanti come autrice, la sperimentazione non interessa. Tant’è che quando, un paio d’anni fa, ero stata invitata a un incontro presso l’Università di Siena su Andrea Zanzotto, mi ero stupita di ricevere delle domande sul suo stile poiché ritengo di non averci niente a che fare. Eppure ieri, rinvenendo sul computer un intervento che avevo scritto su di lui, mi sono stupita di trovarlo molto bello e intenso: senza volerlo mi ero trovata coinvolta da un autore con il quale – se ci riferiamo alla scrittura – non ho da condividere quasi nulla. Questo perché un poeta resta un poeta, e Zanzotto è un poeta. E questo trascende qualsiasi definizione ci venga data.  

Mi è venuto spontaneo chiedermi, di fronte all’ampiezza e alla varietà delle tue opere, se tu conosca dei limiti in poesia, e se quindi esistano registri o argomenti ai quali ritieni di non poter accedere. È così? 
Sinceramente non so nemmeno dire di preciso quali siano, gli argomenti della poesia. Ritengo che il poeta sia un individuo che riesce a profittare della sua capacità di allargare i propri sensi e che la poesia sia una questione di accogliere le percezioni che arrivano dalla realtà. Per me, quindi, è tutto accettabile ed è bene in primo luogo non porseli da soli, i limiti. Per esempio: ultimamente mi sto divertendo a scrivere delle bagattelle, delle cose da niente, senza nessun senso particolare. Ecco, prima si diceva che io sarei nella linea della classicità, ma la verità è che si contengono più cose in un poeta, più tracciati da seguire, e in questo caso l’aspetto di una poesia ironica è un qualcosa che può incuriosire e su cui si può sperimentare. D’altronde se uno legge Montale, che si può apprezzare o meno ma indubbiamente è stato un grande poeta, troverà tanto umorismo. E a me questo non dispiace per niente. 

Daniela Attanasio
Daniela Attanasio

Un’annotazione che mi è venuta fin da subito è la seguente: Vivi al mondo, rispetto ad altre tue raccolte, ha delle sonorità che la fanno sembrare concepita per essere letta ad alta voce. Ti capita di sperimentare con la parola detta oppure resta sempre e solo tutto su carta? 
A me leggere le poesie ad alta voce piace. Mi è sempre stato detto, fin da quando ero alle elementari, che leggevo bene e che avevo una bella voce. Adesso, certo, con l’età un po’ è mutata, però ai tempi ero quella che a scuola “Attanasio, leggi tu!”. Quando scrivo una cosa la rileggo più volte e sì, anche a voce alta perché mi metto di fronte al testo con la postura di chi l’ha scritta e non solo di quello che la leggerà. 

Vivi al mondo è in dozzina allo Strega Poesia e tu stessa, durante la tua carriera, hai ricevuto diversi premi per ciò che hai scritto. Un genere come la poesia può essere valutato e premiato? Che significato hanno per te questi riconoscimenti? 
Perché non si dovrebbe poter premiare la poesia? È il risultato di una mente che pensa, di un corpo che sente, di un individuo che ha la necessità di scrivere e di dare ad altri qualcosa che è suo. La poesia fa bene: io stessa, quando non mi sento al meglio della mia condizione psicofisica, leggo Emily Dickinson e subito mi riprendo, mi fa bene come mi fa bene l’aspirina, e questo è un aspetto fondamentale. Se io prendessi il premio Strega, incrociamo le dita, sarei felice! Perché mai non dovrei esserlo? Perché mai dovrebbe farmi schifo un premio? Intanto mi darebbero dei soldi, che al poeta non glieli dà nessuno! Che venga premiato un poeta, a parte le battute, mi sembra una cosa importante e io la accetterei molto volentieri perché sarebbe un riconoscimento. Qualcuno che mi dice “brava”. A te darebbe fastidio se ti dicessero “brava” per quello che fai? 

Una citazione della poeta Amalia Rosselli, che riporti nell’ultima porzione del libro, fa così: “Avessi la leggerezza della prosa!”. Esiste un criterio qualitativo o quantitativo che consenta di distinguere con precisione i due generi oppure il limite tra essi è più vago? 
È una frase che diceva sempre Amelia, sì… Il fatto è che il romanzo e il racconto hanno una storia lineare, così come è lineare la vita: si arriva da un punto a un altro passando per altri punti che sono in relazione tra di loro. Nella poesia questa linea è fratturata. Perché il poeta va a capo? Perché il pensiero va in frantumi e la linearità viene a mancare. Molti dicono “io la poesia non la capisco” perché cercano di comprenderla, così come sono abituati a fare quando leggono prosa. Io nella mia vita ho sempre letto tantissima narrativa, non mi sfuggiva un libro, ma adesso non ce la faccio più, mi sono esaurita. Penso che il cervello sia una scatola nella quale a un certo punto non entra più niente e io la narrativa fatico, ormai, a farcela entrare. Mi stufa. Leggo invece molta poesia, che non satura mai poiché non dà la soluzione del fatto, non c’è un personaggio che alla fine muore né un assassino che viene scoperto. Prendo sempre a esempio L’Infinito, che secondo me è il modo che Leopardi ha scelto per darci la definizione della poesia e dello sguardo del poeta. Lui comunica quello che in modo più volgare dico io, ovvero che – mentre sta dietro quella siepe – a lui si aprono i sensi, gli si allargano, sente i suoni, sente la voce di lei, come se il pensiero andasse troppo velocemente e per questo si spezzasse, lasciando scritte solo le cose indispensabili. Questa è, per me, la poesia. La poesia ti dà i frammenti della vita. 
 
Maria Oppo 

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