Gli artisti e la ceramica. Intervista a Cleo Fariselli

Dalla performance alla terra e ritorno. Cleo Fariselli racconta origini ed evoluzioni del suo legame con la ceramica come materia artistica.

Cleo Fariselli (Cesenatico, 1982), artista che combina la concettualità a una dimensione esperienziale, da anni lavora anche con la ceramica. L’abbiamo incontrata per confrontarci con lei su come questo linguaggio sia diventato parte integrante della sua pratica.

Hai dichiarato che per te le opere sono degli “intensificatori di vita” e che per questo motivo cerchi di coltivare un’“intimità con esse”. Per molti artisti intervistati la ceramica garantisce un contatto di vicinanza e di intimità. È così anche per te? È stata una delle ragioni che ti hanno spinto a sceglierla come materiale?
Il rapporto con la terra, con l’argilla, è qualcosa che ammalia, quando lo si vive con una certa intensità, e che crea un legame capace di suscitare nostalgia quando viene a mancare. L’approfondimento del mio rapporto con la ceramica (e la creta come materia di partenza nella realizzazione di sculture in altri materiali ‒ penso in particolare alla serie Gran Papa) ha coinciso con un graduale moto di attrazione verso la scultura che per me è avvenuto piuttosto lentamente, con dei picchi di accelerazione nel corso degli ultimi anni. È stato un progressivo avvicinamento. Se ripenso ai miei primissimi contatti con l’argilla, ai tempi dei liceo, non ne ricavo particolare piacere: da adolescente il tocco della terra fredda e umida, odorosa e a tratti viscida, vissuto collettivamente nell’atmosfera scolastica sotto gli occhi e le indicazioni del professore, mi creava a dirla tutta una certa repulsione. La sensualità della manipolazione è qualcosa che ho riscoperto più avanti, da sola, guidata dal desiderio, dalla necessità interiore e da una progettualità che fosse solo mia. Allora sì, con queste altre premesse il materiale mi si è come schiuso davanti, consentendo un contatto realmente intimo. Credo sia così per ogni materiale al quale ci si avvicini con un’attitudine curiosa e disponibile all’innamoramento, specialmente per quelli che, come la ceramica, coinvolgono i sensi (e la tattilità in particolare) in modo così profondo.

Pensando al tuo lungo rapporto con la performance mi viene da chiederti: la manipolazione dell’argilla si lega per te alla pratica del corpo e del suo movimento? 
Sì, moltissimo. Nella fase di lavorazione l’argilla si muove insieme al corpo, assecondandolo, cedendo, creando resistenze e rispondendo alle forze che vengono impresse su di essa. Controllo del gesto e controllo dell’argilla vanno di pari passo, anche se più che di controllo del materiale parlerei di “muoversi con esso” in un incontro tra corpi: uno mobile ma stabile, quello dell’artista, e uno immobile ma malleabile, quello della creta. Ci sono momenti, durante la lavorazione, in cui si entra in una sintonia tale con la terra da rendere indistinguibile chi stia lavorando cosa; è come un danza, che culmina in momenti di grande trasporto e unità. Nella lavorazione della ceramica, così come nella performance, possiamo parlare di intenzione, di gestualità, di qualità del movimento, di presenza, dinamiche che senz’altro ritroviamo anche nel disegno o in pittura, ma che nella manipolazione si esprimono con un maggior coinvolgimento fisico. L’argilla collabora e al tempo stesso registra questi movimenti, conservando la memoria dei gesti, siano questi impressioni, pressioni, pieghe, tagli, curve, strappi… spesso guardo alle mie sculture come cristallizzazioni del tempo che ho trascorso con quello specifico pezzo di creta; in quest’ottica le vedo come dei film agglomerati in un unico blocco tridimensionale, o dei sentieri battuti, modellati dalle impronte che li hanno percorsi.

E poi cosa succede?
Poi, concluso il processo scultoreo, c’è il movimento del fruitore attorno all’oggetto finito che, non potendolo mai cogliere nella sua interezza, aggiunge un altro livello di corporeità stabilendo un rapporto nuovo e personale con l’oggetto. Un ulteriore incontro tra corpi, mediato dallo sguardo (e non solo, se pensiamo ad esempio alla mia mostra-performance U. dove le opere sono passate di mano in mano tra gli spettatori, coinvolgendo anche tatto, olfatto, udito…). È una fase su cui ragiono molto e che considero fondamentale, anche dal punto di vista performativo.

Cleo Fariselli, Senza titolo, dalla serie Sculture Impugnate, 2014, stampa Inkjet su carta cotone, cm 28x42

Cleo Fariselli, Senza titolo, dalla serie Sculture Impugnate, 2014, stampa Inkjet su carta cotone, cm 28×42

LA CERAMICA SECONDO CLEO FARISELLI

Quando hai capito che la ceramica poteva diventare una parte importante all’interno della tua ricerca?
Come per la maggior parte dei medium con i quali mi sono ritrovata a lavorare, è qualcosa che è venuto da sé, assecondando le necessità espressive del momento. Per la ceramica, come dicevo prima, è stato un progressivo avvicinamento che ha coinciso con il mio approfondimento del linguaggio scultoreo.

Negli anni sembra che il tuo rapporto con la ceramica sia diventato sempre più legato al corpo, al ritratto, alla rappresentazione di parti dello stesso. Eppure il legame arto-opera sembrava centrale già dal tuo lavoro del 2014 Handled Sculptures. Come è cresciuto questo legame?
Il corpo è sempre stato per me un importante strumento di misura e in generale, come per chiunque, la condizione fisica di partenza per relazionarmi al mondo. Che si parta dal proprio o che si considerino quelli degli spettatori nell’atto della fruizione, il rapporto con il corpo è qualcosa da cui il pensiero artistico non può prescindere; era inevitabile che in una pratica come la mia, che pone al centro la valorizzazione dell’esperienza, diventasse un cardine, uno strumento e un punto di partenza. La serie che citi, Handled Sculptures, è tratta da un progetto più ampio (U., 2012-ongoing) che definisco “mostra-performance” perché le opere vengono mostrate agli spettatori tramite un display performativo, creando un’esperienza immersiva che unisce più mondi espressivi. Qui i corpi (quelli degli spettatori, il mio come performer, quelli delle opere) costituiscono l’habitat all’interno del quale si svolge l’esperienza, diventandone al contempo contesto, soggetto e veicolo. Questa promiscuità, o labilità, tra corpo e ambiente, e l’uso del corpo sia come soggetto che come strumento per raggiungere altro (una visione, uno stato, una nuova prospettiva) è centrale nel mio approccio ed è stata uno dei capisaldi anche della mia produzione scultorea.

Ci fai qualche esempio?
La serie di ceramiche Raku Untitled, ad esempio, sono in questo senso piuttosto emblematiche: partendo da calchi life-cast di alcune porzioni del mio corpo, ho plasmato delle forme che ne conservassero il soggetto, ma in negativo. La parte anatomica è riconoscibile e modella l’interno della scultura, ma di fatto esiste come assenza, come vuoto. Questo vuoto non lo intendo in alcun modo come una mancanza, ma piuttosto come un nuovo spazio, un ambiente fisico e immaginifico ricco di potenzialità, una cassa di risonanza fisica e mentale, un visore attraverso cui guardare per innescare occasioni di visione. Più che come soggetto in sé possiamo dunque dire che il mio interesse nell’uso e nella rappresentazione del corpo è per me un veicolo, uno strumento funzionale ad aprire nuove strade all’esperienza estetica e di immaginazione.

Cleo Fariselli, Senza titolo (fianco), dettaglio, 2019, ceramica Raku, cm 56x39x30. Photo Silvia Mangosio e Luca Vianello

Cleo Fariselli, Senza titolo (fianco), dettaglio, 2019, ceramica Raku, cm 56x39x30. Photo Silvia Mangosio e Luca Vianello

CERAMICA E NATURA

Nella sua intervista Liliana Moro ‒ una delle figure chiave nella tua formazione ‒ ha dichiarato che il recente interesse per la ceramica è probabilmente dipeso dal fatto che avevo iniziato a lavorare sulla natura morta nel senso, neanche troppo concettuale, di morte della natura“. Alcune tue ceramiche rimandano in maniera più o meno esplicita al mondo naturale, seppur non essendo nature morte. Come si consolida il legame natura-ceramica nella tua pratica?
Il legame con la natura è molto forte in tutta la mia produzione, ma è un argomento che mi risulta difficile da approfondire in questi termini perché ritengo che una separazione netta tra artificio e natura, o tra uomo e natura, sia possibile solo se si mantiene il discorso a un livello molto superficiale, o se si prendono per buoni preconcetti di separatezza tra il mondo antropico e la sfera della flora, della fauna e dei fenomeni della Terra che ormai risultano completamente inaccettabili. Dunque, più che di natura in sé, possiamo parlare di una certa “idea di natura”, e allora sì, ecco che la frase di Liliana ha perfettamente senso: l’idea di una natura separata dall’identità e dalle sorti dell’uomo è morta. In genere nella mia pratica non cerco mai di “trattare” un certo tema, ma piuttosto di esplorarne le applicazioni pratiche, mettendolo in atto. Nelle mie ceramiche (mi riferisco in particolare alla serie Raku Untitled) il mondo della flora, della fauna (marina, in questo caso), dei minerali e dei fenomeni della Terra ha riverberato in tutto il processo di ispirazione, progettazione e realizzazione dei pezzi esattamente quanto il rapporto con il mio corpo, ma non perché abbia scelto di rivolgermici scientemente, bensì perché esso è stato uno degli ingredienti fondamentali di quell’humus immaginifico-esperienziale nel quale il mio sentire è radicato.

Irene Biolchini

www.cleofariselli.com

LE PUNTATE PRECEDENTI

Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri
Gli artisti e la ceramica #15 – Concetta Modica
Gli artisti e la ceramica #16 – Paolo Gonzato
Gli artisti e la ceramica #17 – Nero/Alessandro Neretti
Gli artisti e la ceramica #18 – Bertozzi & Casoni
Gli artisti e la ceramica #19 – Alberto Gianfreda
Gli artisti e la ceramica # 20 – Sissi
Gli artisti e la ceramica #21 – Chiara Camoni
Gli artisti e la ceramica #22 – Andrea Anastasio
Gli artisti e la ceramica #23 – Michele Ciacciofera
Gli artisti e la ceramica #24 – Matteo Nasini
Gli artisti e la ceramica #25 – Luisa Gardini
Gli artisti e la ceramica #26 – Silvia Celeste Calcagno
Gli artisti e la ceramica #27 – Michelangelo Consani
Gli artisti e la ceramica #28 – Andrea Salvatori
Gli artisti e la ceramica #29 – Serena Fineschi
Gli artisti e la ceramica #30 – Antonio Violetta
Gli artisti e la ceramica #31 – Ugo La Pietra
Gli artisti e la ceramica #32 – Tommaso Corvi-Mora
Gli artisti e la ceramica #33 – Paolo Polloniato
Gli artisti e la ceramica #34 – Amedeo Martegani
Gli artisti e la ceramica #35 – Emanuele Becheri
Gli artisti e la ceramica #36 – Gianni Asdrubali
Gli artisti e la ceramica #37 – Arcangelo
Gli artisti e la ceramica #38 – Francesco Carone
Gli artisti e la ceramica #39 – Federico Branchetti
Gli artisti e la ceramica #40 – Aurora Avvantaggiato
Gli artisti e la ceramica #41 – Marco Ceroni
Gli artisti e la ceramica #42 – Enzo Cucchi
Gli artisti e la ceramica #43 – Liliana Moro
Gli artisti e la ceramica #44 – Luca Pancrazzi
Gli artisti e la ceramica #45 – Alberto Scodro

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Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

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