I musei sono davvero inclusivi?

Tempo fa abbiamo indagato il rapporto fra musei e accessibilità. Il tema è però ancora più ampio, perché rendere un museo accessibile non significa che sia anche inclusivo. Qui approfondiamo la questione, insieme al racconto di tante best practice

Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”. La nuova definizione di museo, elaborata dall’ICOM – International Council of Museums (organizzazione internazionale fondata nel 1946 che rappresenta i musei e i suoi professionisti) durante la 26esima Assemblea Generale Straordinaria tenutasi a Praga, mette in luce – rispetto alla precedente formulazione – come i musei di oggi siano chiamati ad assumersi un ruolo di responsabilità nei confronti della società, non solo come luoghi di conservazione, valorizzazione e promozione della cultura, ma anche come luoghi che partecipano attivamente alle dinamiche della comunità e del territorio in cui sono inseriti, contribuendo al loro sviluppo sociale ed etico, oltreché culturale. “Accessibili e inclusivi”, sottolinea l’enunciato dell’ICOM, due termini molto vicini dal punto di vista concettuale, ma non sempre dal punto di vista della fattibilità: un museo accessibile (ovvero la cui fruizione è pensata per tutti) è (automaticamente) anche inclusivo?

Lavori in serigrafia della Cooperativa Rio Terà dei pensieri per il bookshop del Teatro Olimpico di Vicenza

Lavori in serigrafia della Cooperativa Rio Terà dei pensieri per il bookshop del Teatro Olimpico di Vicenza

COSA SIGNIFICA “INCLUSIVO”

Per rispondere a questa domanda, proviamo intanto ad approfondire il significato della parola “inclusività”: secondo la Treccani, inclusività è la “capacità di includere più soggetti possibili nel godimento di un diritto, nella partecipazione a un’attività o nel compimento di un’azione; più in generale, propensione, tendenza ad essere accoglienti e a non discriminare, contrastando l’intolleranza prodotta da giudizi, pregiudizi, razzismi e stereotipi”, attraverso “una revisione critica delle categorie convenzionali che regolano l’accesso a diritti e opportunità”. Il concetto di accessibilità sarebbe dunque sotteso a quello di inclusività, sebbene con la prima si intenda comunemente l’atto fisico del varcare una soglia per fare ingresso in un determinato luogo o l’apprestarsi a compiere un’attività. Le soglie, a volte, per alcune persone sono vere e proprie barriere, architettoniche e intellettive, limiti che i musei stanno provvedendo ad abbattere adeguando gli spazi e le modalità di fruizione delle proprie collezioni affinché possano essere, per l’appunto, accessibili (in tal senso, in Italia, parte dei fondi del PNRR riservati ai musei è destinata alla “rimozione delle barriere fisiche e cognitive”).
Questi sono gli obiettivi che i musei di oggi si prefissano affinché al loro “interno” l’esperienza culturale possa essere godibile da tutti. Ma i musei hanno anche una dimensione “esterna”, che li rende parte di un tutto più complesso, ovvero di una società in continuo divenire, con le sue potenzialità e fragilità, contraddistinta da una collettività spesso frammentaria. Tornando alla definizione dell’ICOM, due parole sono connesse al concetto di inclusività: “partecipazione” e “comunità”, sottolineando così il ruolo etico che il museo è chiamato ad assumersi nei confronti della società, facendo della fruizione delle proprie opere non solo il fine della propria principale missione, ma anche lo strumento attraverso il quale intervenire per contribuire allo sviluppo della società.

Stand Up For Africa, Cantastorie, raccontare le migrazioni, 2022. Un momento della residenza, HYmmo Art Lab, Pratovecchio Stia (AR). Foto Enrica Quaranta

Stand Up For Africa, Cantastorie, raccontare le migrazioni, 2022. Un momento della residenza, HYmmo Art Lab, Pratovecchio Stia (AR). Foto Enrica Quaranta

LA MISSIONE DEI MUSEI: LA CULTURA COME QUESTIONE ETICA

Ai musei viene chiesto di assumere nuovi ruoli e sviluppare nuovi modi di lavorare, in generale, per chiarire e dimostrare il loro scopo sociale e più specificamente per reinventarsi come agenti di inclusione sociale. […] Quale posto dovrebbe occupare il museo nel panorama in rapida evoluzione delle politiche di inclusione sociale? In che misura il concetto di inclusione sociale dovrebbe richiedere un nuovo approccio da parte dei musei e in che modo essi possono iniziare a contribuire alle politiche di inclusione? Fondamentalmente, nella lotta all’esclusione sociale, cosa si può ottenere attraverso l’azione dei musei?”: sono le domande poste da Richard Sandell – professore della School of Museum Studies dell’Università di Leicester e co-direttore del Research Centre for Museums and Galleries – nell’articolo pubblicato nel 1998 su “Museum Management and Curatorship” dal titolo Museums as Agents of Social Inclusion. Dal 1998 a oggi è trascorso un quarto di secolo, ma le parole di Sandell sono più che mai attuali, soprattutto alla luce dei fatti accaduti negli ultimi anni (tra tutti, pandemia e guerra in Ucraina) che hanno scardinato certezze ed equilibri su cui si reggeva il mondo contemporaneo. Quella di “bello e bene”, ovvero di estetica ed etica, intesi come concetti affini e interdipendenti è una visione sulla quale poggiava il sistema filosofico degli antichi Greci – da cui poi deriva il sistema di pensiero occidentale –, con la locuzione καλός καὶ ἀγαθός (kalós kai agathós); risulta quindi del tutto naturale che tra gli obiettivi di un museo, luogo destinato alla custodia e alla valorizzazione del bello, vi sia anche quello della pratica del “bene”. E tra queste buone pratiche è, anche e soprattutto, quella dell’inclusione.

MUSEI E INCLUSIONE. CHI, COME E PERCHÉ “INCLUDERE”?

Oltre a considerare l’inclusione come un obiettivo generale, i professionisti dovrebbero lavorare per comprendere meglio le specificità della diversità sociale, indagando il potenziale per l’utilizzo del museo insieme alla più ampia gamma di modelli di pratica e differenze culturali vissute dagli individui e dai gruppi nella società che li circonda”. Questa frase di Kevin Coffee – tratta dall’articolo Cultural inclusion, exclusion and the formative roles of museums pubblicato nel 2008 su “Museum Management and Curatorship” – mette in luce una condizione necessaria affinché i musei possano essere inclusivi: la conoscenza del territorio di cui fanno parte, altrimenti non sarebbe possibile esserne parte attiva. “Quali sono le peculiarità del quartiere o della città in cui ci troviamo?”, “da chi è vissuto e/o attraversato questo territorio?”, “ci sono criticità dal punto di vista sociale e/o fasce di popolazione che necessitano di particolare supporto?”: sono queste le domande che dovrebbe porsi un museo che ambisce a definirsi “inclusivo”. Non solo quindi professionisti del settore, appassionati, turisti e scolaresche – ovvero target di pubblico cui generalmente un museo si rivolge – ma anche persone che vivono, per svariate ragioni, situazioni di svantaggio sociale, e la dimensione dell’arte potrebbe contribuire all’avvio di un processo di inclusione.
Abitanti di periferie difficili o a rischio di povertà educativa, anziani, migranti, detenuti nelle carceri sono alcune delle tipologie di persone su cui incombe lo stigma dell’esclusione, perché considerate fuori tempo o fuori luogo (a volte entrambe le cose). Ma una società sana, per definirsi tale, necessita che a stare bene siano tutte le parti di cui si compone, e non solo alcune di esse, e i musei in questo possono avere ruolo determinante.

Famiglie partecipanti alle attività di Affido Culturale

Famiglie partecipanti alle attività di Affido Culturale

MUSEI E PRATICHE INCLUSIVE. DA DOVE COMINCIARE (E DOVE ANDARE)

Quello dell’inclusione non a caso è uno dei punti trattati nell’ambito dell’International Museum Day 2020, dal tema Musei per l’eguaglianza: diversità e inclusione. “Le potenzialità dei musei nel creare esperienze significative per persone di qualsiasi origine e condizione sono al centro del loro valore sociale”, sottolinea ICOM Italia. “In quanto agenti di cambiamento e Istituzioni riconosciute e rispettate, oggi più che mai i musei possono dimostrare la loro importanza impegnandosi in maniera costruttiva nelle realtà politiche, sociali e culturali della società moderna”, al fine di “contribuire nel promuovere inclusione, nel superare stereotipi, contrastare fenomeni di emarginazione e mettere a punto iniziative di outreach per raggiungere pubblici impossibilitati a partecipare alla vita culturale della comunità (ad esempio i detenuti), nonché sviluppare valori pluralisti e democratici, costruendo narrazioni condivise e rappresentative”.
Per ottenere questi risultati, i musei devono dotarsi di contenuti e programmazione che tengano conto della natura complessa del territorio e della comunità in cui si trovano, ponendosi in una posizione critica e allo stesso tempo di apertura. Conditio sine qua non affinché tutto questo possa concretizzarsi è la relazione, “intrapresa con modalità in grado di includere altri punti di vista, con/tra diverse tipologie di pubblici, rappresentanti-portavoce dei bisogni e delle attese delle differenti realtà che interpretano. Siano essi cittadini di altre culture, rifugiati politici o richiedenti asilo, carcerati, appartenenti alla comunità LGBTQ+, cittadini che vivono in aree di marginalità economico-sociale, spesso associate a povertà educativa e a depauperamento culturale”.
Tra gli step fondamentali per avviare questo processo è la formazione del museo stesso, pianificando “incontri con esperti per far conoscere e sensibilizzare al tema/ai temi gli operatori museali, da condividere con i referenti dei differenti target di appartenenza”, e invitando presso le loro sedi “una o più comunità di riferimento e compiere un percorso esplorativo al fine di individuare insieme elementi cogenti relativi alle tematiche d’interesse delle persone appartenenti ad ‘altri’ pubblici”. E nel caso in cui per alcuni membri della comunità non fosse possibile andare nei musei, saranno questi ultimi a “organizzare un’uscita ‘fuori di sé’, incontrandoli e presentando il proprio patrimonio e le proprie attività per iniziare un processo di dialogo e di relazione costruttiva; ciò vale anche per gli abitanti di zone marginali e periferiche”, oltre agli ospiti delle case circondariali. È questa la visione, che nasce dalla consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo, che trasforma i musei da luoghi ad agenti di cambiamento.

Visita alla Pinacoteca di Brera

Visita alla Pinacoteca di Brera

ARTE COME STRUMENTO DI INCLUSIONE SOCIALE. ALCUNI ESEMPI ITALIANI

La vocazione a farsi portavoce e “incubatore” di azioni che possano attivare dinamiche di inclusione sociale è una missione che contraddistingue la pratica di numerosi musei italiani, e non solo: molte associazioni e istituzioni infatti decidono di affidarsi ai linguaggi dell’arte – e soprattutto alla sua capacità di generare riflessioni e consapevolezza – per intraprendere percorsi che coinvolgono fasce di popolazione che, per diverse ragioni, non possono fruire dell’arte e della cultura.
Pensata per chi vive nelle periferie, Ti porto al Museo è un’iniziativa nata dalla collaborazione tra il MArRC – Museo Archeologico Reggio Calabria e ATAM, il servizio di trasposto pubblico della città. Fino al 4 giugno 2023, ogni prima domenica del mese i cittadini che vivono in periferia potranno raggiungere il museo noto per custodire al suo interno i Bronzi di Riace per mezzo di un servizio bus di andata e ritorno, “un connubio perfetto per consentire ai cittadini di raggiungerci anche dalle zone periferiche”, sottolinea il direttore del MArRC Carmelo Malacrino. “È una sperimentazione che può diventare modello di riferimento per tutta la città, pensando alla cultura come strumento di riconnessione del tessuto territoriale. Visitare il MArRC la prima domenica del mese è diventato per i reggini un vero e proprio appuntamento fisso. Grazie alla solida sinergia con l’ATAM, adesso sarà ancora più agevole trascorrere una giornata alla scoperta della bellezza della Calabria e delle proprie radici culturali”.
Effettua un percorso inverso rispetto al MArRC, uscendo dalle proprie mura e andando incontro alle periferie, la Pinacoteca di Brera con il progetto N(u)ove strade per Brera, attraverso il quale il museo milanese favorisce “la fruizione del patrimonio del museo nelle zone periferiche della città valorizzandone, allo stesso tempo, il patrimonio culturale e naturale”, organizzando percorsi guidati in diversi quartieri della città, alla scoperta di luoghi di importanza storico-artistica che hanno un legame con opere delle collezioni del museo. Ideato da Cristina Moretti di Alfabeti d’Arte per Pinacoteca di Brera, con il contributo di Alice Bocca, N(u)ove strade per Brera lo scorso anno ha collegato il Municipio 9 al museo, grazie alla collaborazione con istituzioni dei quartieri Niguarda, Affori e Bruzzano, “coinvolgendo attivamente pubblici diversi (scuole, famiglie, giovani, anziani) e privilegiando, in particolare, utenti che incontrano difficoltà ad inserirsi nel tessuto sociale del quartiere e a fruire delle risorse culturali della città, in sintonia con la politica di inclusività e accoglienza della Pinacoteca di Brera e delle istituzioni partecipanti al progetto”, sottolineano gli organizzatori. Per il 2023, il museo sta già lavorando alla nuova edizione del format.
Si pone come obiettivo la capillarità, trasformando in sedi museali luoghi che solitamente non aprono le proprie porte alle opere d’arte, il Museo Novecento di Firenze con il progetto Outdoor, nato nel 2018 su idea del direttore artistico Sergio Risaliti e realizzato dall’Associazione MUS.E. Outdoor finora ha portato dipinti e sculture delle collezioni novecentesche in numerose scuole e anche in un carcere, quello di Sollicciano. Tra le prime scuole coinvolte nel progetto, l’Istituto comprensivo Oltrarno e la Scuola primaria Collodi hanno ospitato, rispettivamente, Natura morta con carpa e conchiglie e limoni nel paesaggio di Pomposa di Filippo de Pisis e Albero viola e casa bianca di Severo Pozzati, per una esperienza che ha visto i bambini assistere all’arrivo dell’opera, al suo disimballaggio, a un’analisi del suo stato conservativo da parte del restauratore e al racconto da parte di storici dell’arte e mediatori. Lo stesso iter si è poi ripetuto al carcere di Sollicciano, dove i detenuti si sono confrontati con il dipinto di Renato Paresce La casa e la nave e la scultura di Severo Pozzati Maternità. “La nostra è una funzione pubblica, lavoriamo per accrescere la sensibilità e la possibilità di arricchire il bagaglio creativo delle persone”, ci racconta Sergio Risaliti. “Ci sono persone che non posso accedere al museo e, con la stessa filosofia e volontà con cui siamo andati nelle scuole (sfatando un tabu e invertendo la rotta, perché in questo caso sono le opere ad andare nelle classi dei bambini), siamo entrati anche nelle carceri. A Sollicciano è stata un’esperienza fortissima, sia per chi l’ha messa in pratica sia per chi l’ha fruita”, continua Risaliti. “150 donne e uomini si sono avvicinati alle opere, qualcuno di loro ha aperto le casse, e tutti hanno potuto guardarle da vicino e ascoltare il racconto delle vite degli artisti”. I prossimi progetti che vedranno coinvolte nuovamente le carceri saranno due laboratori, condotti dagli artisti Chiara Bettazzi e Andrea Francolino. Tra le future tappe di Outdoor, Risaliti spera di includere anche le aziende, “per permettere, almeno per un’ora, di interrompere il ciclo alienante del lavoro con un’esperienza di godimento estetico. E poi, perché no, anche i condomini, dove chi vi abita possa non solo fruire delle opere ma anche esserne custodi”.

Progetto Outdoor del Museo Novecento alla Casa Circondariale di Firenze Sollicciano

Progetto Outdoor del Museo Novecento alla Casa Circondariale di Firenze Sollicciano

RECLUSIONE E INCLUSIONE. IL PROGETTO GRAFFITI ART IN PRISON E L’IMPEGNO DI MARSILIO ARTE

Se il verbo “includere” implica concettualmente un “attirare a sé”, la parola inclusione spesso spinge chi si prefigge questa missione ad andare oltre i propri usuali confini, e nel caso dei musei a uscire dalle proprie mura per varcarne altre che, per loro natura, sono rigide a ogni forma di apertura. È questo il caso delle carceri, luoghi che possono trovare una dimensione più umana e inclusiva grazie ai linguaggi dell’arte, con progetti rivoli alla riqualificazione delle case di reclusione e al reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro e nella società.
GAP – Graffiti Art in Prison è un progetto nato a Palermo che vede artisti, docenti e studiosi di tutto il mondo collaborare alla realizzazione di “percorsi di apprendimento e di inclusione sociale attraverso i linguaggi delle arti contemporanee in grado di sollecitare nuove forme di recupero alla socialità” delle persone detenute. Promosso dal Simua-Sistema Museale d’Ateneo dell’Università degli Studi di Palermo, in partnership con Kunsthistorische Institut in Florenz – Max-Planck- Institut, il Dems dell’Università degli Studi di Palermo, l’Università di Saragozza e l’Accademia di Arte e Design – Abadir di Catania, e finanziato nell’ambito del programma europeo Erasmus+ (Strategic Partnerships for Higher Education), col patrocinio del Ministero della Giustizia, DAP-Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Cultura, GAP “si basa sul valore dell’inclusione e, attraverso processi di partecipazione attiva, sperimenta modalità di relazione e apprendimento ‘empatico’ tra soggetti diversi, senza distinzioni di provenienza”, spiega  Laura Barreca, coordinatrice artistica del progetto, cui partecipano anche la coordinatrice scientifica Gabriella Cianciolo e la project manager Gemma La Sita. “L’obiettivo è di avvicinare ambiti sociali solo apparentemente distanti, come quello dell’alta formazione universitaria con il delicato contesto delle carceri, a cui è rivolta tutta la nostra attenzione”. Matilde Cassani, Stefania Galegati ed Elisa Giardina Papa sono le artiste coinvolte in GAP, con interventi e workshop pensati per la Casa di Reclusione Ucciardone, Casa Circondariale Pagliarelli e l’Istituto Minorile Malaspina di Palermo, mentre ad aprile la Casa Circondariale di Sollicciano a Firenze assisterà all’intervento dello street artist David Mesguich. Il racconto di GAP è affidato a Giovanna Silva, che darà vita a un progetto fotografico sulle architetture delle carceri palermitane, pubblicato da Humboldt Books, e Chiara Agnello, con un film-documentario realizzato con la promozione di Sky Arte.
Sono tote bag artigianali, inclusive e sostenibili quelle che nascono dalla collaborazione tra Marsilio Arte e la cooperativa sociale Rio Terà Dei Pensieri di Venezia: la società specializzata nella progettazione e realizzazione di mostre e iniziative culturali affida infatti la realizzazione delle borse in vendita presso i bookshop museali di propria gestione ai reclusi del carcere maschile di Santa Maria Maggiore. All’interno dell’istituto penitenziario opera un laboratorio in cui vengono prodotti accessori e borse dal nome Malefatte, un’ironica allusione al lavoro fatto dai carcerati e ai materiali utilizzati, ovvero il PVC, che viene recuperato dai banner pubblicitari dismessi e riciclato per dare vita a manufatti ecosostenibili. Grazie al laboratorio di serigrafia, attivo dal 1995, i detenuti intraprendono un percorso di inserimento lavorativo, che inizia con un periodo di formazione professionale per poi sfociare nell’assunzione. In particolare, Marsilio Arte affida a Malefatte la produzione delle tote bag delle mostre di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, e anche la shopper istituzionale de Le stanze della Fotografia, nuovo spazio nato dalla collaborazione tra Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini sull’Isola di San Giorgio Maggiore. “L’arte può divenire un modello di inclusione sociale”, dichiara ad Artribune Emanuela Bassetti, presidente di Marsilio Arte. “La storica collaborazione di Marsilio Arte con la cooperativa Rio Terà dei pensieri, che vede la realizzazione di borse fatte a mano dai detenuti del carcere maschile di Santa Maria Maggiore, rappresenta un’occasione per costruire un percorso di riscatto, formazione e autonomia rivolto a persone fragili. La nostra visione della cultura e dei progetti ai quali crediamo s’inserisce in questa prospettiva di condivisione di esperienze, vicinanza e dignità come possibilità di cambiamento”.

https://graffitiartinprison.it/
https://www.marsilioarte.it/

Foto di Giovanna Silva del laboratorio Operazione grigi cortili di Matilde Cassani, Ucciardone, Palermo, maggio 2022, GAP Graffiti Art in Prison

Foto di Giovanna Silva del laboratorio Operazione grigi cortili di Matilde Cassani, Ucciardone, Palermo, maggio 2022, GAP Graffiti Art in Prison

AFFIDO CULTURALE. CONSTRASTARE LA POVERTÀ EDUCATIVA VISITANDO MUSEI (E NON SOLO)

Uno strumento per combattere la povertà educativa, coinvolgendo le famiglie e facendo dei musei luoghi di elezione per superare barriere sociali e culturali: sono queste le basi su cui regge Affido Culturale, progetto nato nel 2018 dalla selezione al bando Un passo avanti dell’impresa sociale Con I Bambini nell’ambito del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile, che consiste nell’affidare a una famiglia abituata a frequentare luoghi di cultura un altro nucleo familiare non avvezzo a questo tipo di esperienze. Affido Culturale ha attualmente all’attivo convenzioni con oltre trenta istituzioni culturali italiane, tra cui musei, teatri e cinema, tra Napoli, Bari, Roma e Modena, arrivando anche a Milano (con la Pinacoteca di Brera), Cagliari, Andria, Arezzo, Teramo e di recente anche Palermo. “Il progetto nasce da questa idea: chiedere a famiglie che frequentano i luoghi della cultura di portare con loro anche famiglie che solitamente non fanno questo tipo di esperienze”, ci spiega Ivan Esposito, responsabile di Affido Culturale. “Dopo essere state abbinate – di solito cerchiamo di associare famiglie con figli della stessa fascia di età –, le famiglie affidatarie e affidate vengono fornite di una app con un credito finanziario da utilizzare nei luoghi di cultura convenzionati. Una volta giunte in biglietteria, le famiglie selezioneranno sulla app il tasto corrispondente all’attività che stanno svolgendo, generando così un QRcode che verrà letto dalla biglietteria. A questo punto il credito fornito alla famiglia scalerà – ovvero tre biglietti gratuiti per ogni bambino affidato – e aumenterà quello dell’ente culturale. A quest’ultimo verrà poi corrisposto il valore dei voucher digitali utilizzati”. Le famiglie quindi sono non soltanto l’“obiettivo” del progetto, ma diventano anche strumento di inclusione e di sviluppo educativo capillare, favorendo la socializzazione e la conoscenza del patrimonio culturale. “Ciò che spinge le famiglie a proseguire nell’esperienza”, conclude Esposito, è “la relazione e l’amicizia che si instaurano nel corso di queste uscite culturali”.

https://affidoculturale.org/

Famiglie partecipanti alle attività di Affido Culturale

Famiglie partecipanti alle attività di Affido Culturale

RESIDENZA D’ARTISTA E MIGRANTI. IL PROGETTO “STAND UP FOR AFRICA”

L’arte contemporanea come strumento e veicolo di inclusione e integrazione, favorendo la sensibilizzazione ai temi dell’accoglienza, dei diritti umani e della convivenza: sono questi gli obiettivi che dal 2016 persegue Stand Up for Africa, progetto di residenza ideato da Paolo Fabiani e Rossella Del Sere che ogni anno si svolge a Pratovecchio (AR), negli spazi dell’HYmmo Art Lab, atelier fondato dalla coppia nel 2008 che nasce all’interno di un’ex fabbrica di pigiami degli Anni Sessanta, acquistata, ristrutturata e adibita ad abitazione e spazio espositivo. Stand Up for Africa è un progetto che mira a creare una relazione tra chi vive nel territorio e chi vi giunge, per colmare distanze non solo geografiche ma soprattutto umane e sociali. Il progetto “nasce con l’idea di creare un ponte per superare il gap esistente tra le persone del luogo e i migranti attraverso l’arte contemporanea, per approfondire la condizione dei rifugiati e attivare una riflessione”, ci racconta Paolo Fabiani. “A monte è il desiderio di aprire strade apparentemente chiuse, prima lo erano di più, adesso lo sono meno”. Tante le realtà coinvolte nel progetto, a sottolineare la sua natura impegnata e necessaria: l’Unione dei Comuni Montani, l’Ecomuseo del Casentino, la Regione Toscana, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna, il Comune di Pratovecchio Stia, Rete SAI – Sistema Accoglienza Integrazione. Dal 2018 Stand Up For Africa è a cura di Pietro Gaglianò e ogni anno cambia format, dalla residenza che vede artisti e migranti confrontarsi e lavorare insieme al laboratorio condotto per l’edizione dello scorso anno dall’artista afrodiscendente Maurice Pefura con gli emergenti Giovanni Bonechi, Gianluca Braccini, Gianluca Tramonti e Apo Yaghmourian. Altro protagonista della settima edizione di Stand Up For Africa è stato il regista somalo Zakaria Mohamed Ali, rifugiato in Italia dal 2008.

https://hymmoartlab2015.wixsite.com/hymmo

Stand Up For Africa, Cantastorie, raccontare le migrazioni, 2022 Inaugurazione della mostra di restituzione. HYmmo Art Lab, Pratovecchio Stia (AR), 24 settembre 2022. Foto Enrica Quaranta

Stand Up For Africa, Cantastorie, raccontare le migrazioni, 2022 Inaugurazione della mostra di restituzione. HYmmo Art Lab, Pratovecchio Stia (AR), 24 settembre 2022. Foto Enrica Quaranta

MUSEI INCLUSIVI CHE FANNO RETE. LE REALTÀ E LE INIZIATIVE INTERNAZIONALI

Il tema dell’inclusione è uno dei punti nevralgici della visione e della missione dei musei contemporanei, un campo che implica formazione e aggiornamento continui, in linea con le dinamiche sociali, politiche e culturali del mondo di oggi. Per queste ragioni, esistono associazioni che riuniscono professionisti del settore a livello globale, per un costante dialogo finalizzato alla condivisione di idee e buone pratiche. Fondato nel 2008, l’Inclusive Museum Research Network è una rete il cui obiettivo è quello di costruire strategie per fare dei musei luoghi sempre più inclusivi, attraverso “una comunità epistemica”, composta da studiosi ricercatori ed esperti “in cui possiamo creare collegamenti attraverso i confini disciplinari, geografici e culturali”, declama la missione del Network. Il momento in cui vengono convogliate visioni ed esperienze da parte di tutti i membri della rete è la conferenza annuale, la cui sedicesima edizione si terrà a Vancouver in Canada dal 18 al 20 settembre 2023, con il titolo Museum Transformations: Pathways to Community Engagement.
All’impegno dell’Inclusive Museum Research Network si unisce quello dell’International Institute for the Inclusive Museum (iiiM), organizzazione nata come Pacific Asia Observatory for Cultural Diversity in Human Development, come parte del Piano d’azione UNESCO della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale (2001). L’iiiM “promuove la democrazia culturale nel dominio digitale. È una rete globale di ricercatori, professionisti e istituti impegnati negli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni”; per mezzo di una rete di domini con hub in tutto il mondo, in collaborazione con diverse comunità, l’iiiM lavora al miglioramento e allo sviluppo di sistemi di ricerca, apprendimento e insegnamento online.

https://onmuseums.com/
https://inclusivemuseums.org/

Desirée Maida

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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