Le storie degli artisti che fanno anche altro nella vita

Per necessità o per passione. In ambiti limitrofi come la moda e la musica oppure apparentemente lontani come lo sport e la viticoltura. Vi raccontiamo le tante storie di artisti-che-fanno-anche-altro. Con un fil rouge che torna con insistenza: la natura

La storia dell’arte ha tramandato numerose storie di artisti che nella vita sposavano alla pratica un altro mestiere. Dacché il mondo è moderno e la formazione in ambito creativo è passata dalle botteghe alle scuole, questo è sempre avvenuto, vuoi per una questione meramente economica, vuoi per rispettare le tradizioni di famiglia, vuoi ancora per una vocazione sopita o giunta in maniera tardiva a bussare alla porta del maestro di turno.

ARTISTI E CONTEMPORANEAMENTE MEDICI O TAPPEZZIERI

Il medico Alberto Burri, per citarne uno, che mutuò dal dolore delle proprie esperienze sul campo in guerra la lacerazione dei sacchi e delle plastiche che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Medico è anche Ernesto Tatafiore, tra i pittori della storica galleria di Lucio Amelio, con un linguaggio in armonia con quello della Transavanguardia, ma anche dottore in psichiatria, nonché il più giovane Dario Neira, urologo e psicoterapeuta.
Moltissimi sanno che Pino Pascali era, anche grazie agli insegnamenti di Toti Scialoja e l’ingresso in RAI, abile scenografo e pubblicitario. Pubblicitario era pure Andy Warhol, che collaborava con diverse, importanti testate di moda. Lee Krasner è stata decoratrice, modella e anche cameriera in un ristorante, ma questo prima ancora di diventare la star della pittura che tutti conosciamo. E ovviamente c’è poi Kim Gordon, la quale, oltre che artista, molto amata anche da Dan Graham, è pure imprenditrice e star indiscussa dei Sonic Youth.
Più vicino alla pratica e motivato dalla necessità, ma anche dalla voglia di imparare, c’è Robert Mangold, che negli Anni Sessanta si trasferisce a New York lavorando come custode e poi bibliotecario al MoMA di New York: il “secondo lavoro” è qui occasione di apprendimento e di incontro con altri che, negli stessi anni, stavano producendo lavori, discorsi e linguaggi in sintonia con il suo operato.
Tra le storie più singolari ci sono anche quella di Mario Schifano, studente scapestrato che lascia la scuola per fare il commesso e poi il restauratore col padre, prima di diventare chi sappiamo, o Franco Angeli, che passa da magazziniere a carrozziere e a tappezziere, portando poi tali esperienze nella sua opera.
E d’altra parte, se nell’arte la “doppia vita” è più nascosta, in letteratura diventa epica, con il Charles Bukowski postino o il Fernando Pessoa corrispondente estero, solo per citarne due.

Gabriele De Santis, Donald Jump, 2016 2023. Tappeto elastico, opere differenti. Dimensioni Variabili. Courtesy of the artist

Gabriele De Santis, Donald Jump, 2016 2023. Tappeto elastico, opere differenti. Dimensioni Variabili. Courtesy of the artist

QUANDO GLI ARTISTI GUARDANO AL MONDO ACCANTO

Ma il mondo delle arti visive, si sa, non ha mai amato troppo l’autofiction, lasciando che fossero le opere a portare avanti il discorso in vece dell’autore, e che il tutto, salvo alcuni casi specifici, viaggiasse su binari completamente paralleli, non sempre destinati a incrociarsi.
Con l’avvento poi della figura dell’artista “imprenditore di se stesso” è diventato sconveniente mostrarsi con più facce, a meno che queste non siano perfettamente integrate con il discorso principale all’interno della pratica. Stefano Arienti, ad esempio, ha sempre rivendicato la sua laurea in Agraria, Andrea Conte (Andreco), con le proprie ricerche sugli ecosistemi che spesso coinvolgono interi staff di specialisti e scienziati, è orgogliosamente artista e ingegnere, Tomás Saraceno è anche architetto, ma non costruisce case, quanto mondi. E così via.
Ovviamente sono numerose le liaison con altri universi culturali, come la moda o il cinema o l’editoria, la grafica o la musica. Un esempio, in tal senso, è Marco Raparelli, che è anche dj, spesso in coppia con dj Baro dei Collederfomento di Roma, e instancabile nelle produzioni editoriali, con libri, edizioni limitate eccetera, che vanno a inserirsi perfettamente nel percorso che da anni porta avanti come artista, lasciando che i vari campi si arricchiscano l’uno con l’altro. Non mancano le intersezioni con il mondo dell’impresa: Giuseppe Stampone con le Ceramiche Marca Corona, Nico Vascellari – Codalunga con Seletti (e la carriera musicale che interseca e abbraccia quell’artistica), la famosa e lunghissima serie delle vetrine d’artista di Louis Vuitton, la sfilate e i progetti di Maria Grazia Chiuri per Dior che chiamano in causa maestri vecchi e giovani. Mondi che si incontrano e danno vita a nuove produzioni.

IL LEGAME FRA GLI ARTISTI E L’INSEGNAMENTO

Ma ci sono anche i tanti artisti che affiancano alla carriera creativa quella dell’insegnamento, soprattutto nelle Accademie di Belle Arti, ma anche nelle scuole superiori, formando coloro che faranno gli artisti in futuro. E naturalmente, in molti altri casi, non è tutto oro quello che luccica, perché diverse inchieste che hanno trovato ospitalità su queste pagine, e nel rapporto AWI – Art Workers Italia, hanno dimostrato che molti artisti, anche midcareeer e con una ottima carriera in corso, per assicurare la propria sostenibilità e quella delle loro famiglie devono affiancare altri mestieri alla strada maestra, poiché la vendita delle opere, la partecipazione a mostre e bandi non riescono da soli a garantire la totale autosufficienza.

Angelo Bellobono, Il Mondo dal buco, 2021, olio su tela, 100x100 cm

Angelo Bellobono, Il Mondo dal buco, 2021, olio su tela, 100×100 cm

ARTISTI E POTERE

Un altro capitolo è costituito dagli “artisti al potere”, cioè coloro che hanno deciso di intraprendere carriere istituzionali, in parallelo al proprio lavoro creativo.
Le cronache recenti ci raccontano dell’artista politico, Edi Rama, il nome per eccellenza in questo contesto, con il percorso più lungo e coerente, dapprima sindaco di Tirana e poi primo ministro dell’Albania. Ma anche l’Italia non manca di figure impegnate, quali Cesare Pietroiusti, che di recente ha lasciato il suo incarico di Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, succeduto dal fotografo Marco Delogu, o Gian Maria Tosatti, alla direzione della Quadriennale di Roma, o ancora, a Polignano a Mare, Giuseppe Teofilo, prima Presidente e poi direttore della Fondazione Pino Pascali.

LA SCELTA DELLA DOPPIA PROFESSIONE

Poi ci sono coloro che hanno scelto di prenderla in un verso completamente diverso e che assomigliano maggiormente ai nomi citati all’inizio di questo nostro ragionamento. Persone che, non necessariamente per sostenersi, o per integrare la pratica artistica, portano avanti con soddisfazione due carriere.
È il caso di Angelo Bellobono, artista e maestro di sci. O di Gabriele De Santis, alle redini del negozio di piante Palma. Eppure le due cose, anche se non si compenetrano, nemmeno si ignorano. Molti ricorderanno infatti il progetto Linea 1201 di Bellobono, una mappa pittorica degli Appennini, realizzata nel 2020. “La routine giornaliera si adatta alle nuove condizioni, ogni azione occupa un tempo più lento e più lungo”, raccontava allora Bellobono, dimostrando la profonda affezione e conoscenza della montagna (in quel caso le Mainarde, in Molise). L’assenza di acqua corrente, comunque disponibile nella vicina sorgente, e di elettricità, riporta ai ritmi propri della natura. Svolte le faccende legate alla sussistenza, restano le tante ore dedicate alla pittura, alle escursioni, alle corse in montagna e ai nuovi amici pastori, anche se solo consumare i pasti e bere il caffè appollaiato su una roccia diventano momenti carichi di senso. Nessuna straordinarietà, al contrario, la meraviglia di scoprire la facilità con cui posso adattarmi a un nuovo modello di ‘comfort’”.
Il mondo delle piante è sempre stato una presenza importante nel mondo di Gabriele De Santis. Qualcuno si ricorderà il progetto Ortica, realizzato nel 2018 da Frutta Gallery a Roma, nel quale l’artista – insieme ai colleghi Santo Tolone, Alek O., Ditte Gantriis, Isabell Heimerdinger, Laurek Keeley, Jacopo Miliani, Alessandro Vizzini, Spring, Gundam Air e altri ancora – trasformava gli spazi della galleria in un temporary shop, con piante in vendita e pausa caffè. Il mondo delle piante torna poi nel progetto Palma, che prende vita a San Giovanni, nella Capitale, con una selezione realizzata dall’artista. Non si tratta però di un progetto d’arte, ma di una attività commerciale vera e propria. Nel 2022 era lo stesso De Santis a ribadirlo ad Artribune: “Ma queste non sono da considerare mie opere”, dichiarava descrivendo gli allestimenti all’interno del negozio, solo degli accessori funzionali che ho progettato per Palma. In realtà ne sto facendo parecchi, ad esempio ho già messo a punto alcune ampolle in vetro con mio supporto in plexiglas utili a far riprodurre i polloni di piantine in acqua”.
E c’è ancora l’esempio di Hilario Isola, artista e produttore di vini. “Gestisco una piccola azienda agricola in Piemonte”, racconta ad Alex Urso per Artribune, “dove realizzo prevalentemente due tipi di vini naturali autoctoni di montagna. Si tratta di una piccola produzione di poche migliaia di bottiglie, dove faccio tutto o quasi manualmente e personalmente. I miei vini sono distribuiti in Italia e prevalentemente in America, in diversi ristoranti stellati. Seppur non ci traggo vantaggi economici, è una professione, o meglio una passione, che mi dà molte soddisfazioni”. Una passione, quella che fa incontrare arte e vino, che Hilario Isola condivide almeno idealmente con il collega Sandro Chia, artista e viticoltore a Montalcino, in Toscana, dove sorge la cantina Castello Romitorio, di proprietà della famiglia del maestro della Transavanguardia dal 1984. E sulla stessa lunghezza d’onda abbiamo un altro importante artista: Luca Francesconi che non solo ha lanciato una quotata cantina di vini artigiani ma fa anche il ‘forager’ raccogliendo erbe selvatiche con le quali rifornisce ristoranti. O c’è ancora il caso dell’illustratrice Costanza Coletti, che da anni pratica lo Yoga Kundalini e lo insegna.

Hilario Isola (con Enrico Ascoli), Auspicio, 2018, mosto fermentante, gorgogliatori e richiami da caccia. Courtesy Galerie Jocelyn Wolff. Photo Hilario Isola

Hilario Isola (con Enrico Ascoli), Auspicio, 2018, mosto fermentante, gorgogliatori e richiami da caccia. Courtesy Galerie Jocelyn Wolff. Photo Hilario Isola

LA NATURA COME TRAIT D’UNION

È chiaro che molte di queste esperienze, alle quali si aggiungono quelle di artisti che offrono ospitalità, o degli artisti agricoltori, nascono da fattori differenti: in parte da una esigenza talvolta economica, talvolta semplicemente dalle vicende che ognuno vive nel proprio tracciato personale, coltiva e conserva. Oppure da desideri e passioni, dalla voglia di sfuggire alla pratica, altre volte invece per completarla e arricchirla di ulteriori stimoli e sensazioni.
Non si possono definire queste storie che vi raccontiamo come un fenomeno che rende simili più artisti, quanto di casi singolari e personali. Ciò che forse però mette insieme queste esperienze, accomunando i percorsi di questi artisti a quelli dei colleghi, è la necessità un po’ bulimica, un po’ esistenziale di abbracciare la vita in tutte le sue forme e possibili spazi di creatività. Di andare un po’ alla sorgente delle cose. Non è un caso, infatti, che sia proprio la natura, forse, la relazione con l’ambiente, le piante, siano esse in vaso, o nei grandi paesaggi delle montagne, o incanalata nei filari delle viti, o nel rapporto con il corpo alla ricerca del sé, il termine medio di questa ricerca alternativa. Qui l’arte si incrocia con il senso delle cose più profondo e diventa pensiero, fuori dai racconti del sistema, in un contatto più epidermico con la vita e con le sfide naturali che ogni giorno essa pone.

Santa Nastro

Alex Urso, Dipingere con le nuvole. Courtesy l'artista

Alex Urso, Dipingere con le nuvole. Courtesy l’artista

DISPACCI DALL’INTERNO

Breve storia raccontata da lui medesimo di un nostro redattore che fa anche l’artista. Alex Urso è infatti membro interno della redazione di Artribune, e al tempo stesso è anche un artista. Pregi e difetti di questa situazione li racconta senza remore.

Which job artists do, when they are (not) artist? È questa la domanda da cui ha preso piede Dipingere le nuvole, uno dei miei ultimi progetti, nato con l’intento di indagare le vite parallele e spesso sottaciute di quel 99% degli artisti che si trova sotto la punta dell’iceberg. Quel progetto, fotografico e performativo, consisteva in una serie di scatti – uno per ogni giorno dell’anno. Nelle 365 immagini che lo compongono sono ritratto di spalle, nell’atto di colorare il cielo con un rullo da imbianchino tra le mani, emulando e traducendo in un contesto poetico un gesto che a lungo ha segnato il mio passato.
Per diverso tempo, prima e dopo l’Accademia, ho infatti pitturato case per mantenermi e portare avanti la mia ricerca. A quel lavoro è seguito l’insegnamento (cinque anni di docenza in una scuola privata e due anni in un liceo di Varsavia), mentre, facendo un salto indietro, la staffetta di professioni nelle quali mi sono imbattuto in giovinezza è lunga e non sempre gloriosa: lavapiatti, promoter per corsi di lingue, traduttore, operaio in una falegnameria.

ARTE, LAVORO E PRECARIETÀ

Al di là dell’idea romantica e deviata che spesso e volentieri condiziona il nostro pensiero sull’artista (come se questo fosse immune dalle richieste e dalle incombenze del mondo fuori dal suo studio), ogni autore – emergente o midcareer – si trova prima o poi costretto a interrogarsi sugli effettivi ritorni (monetari) del proprio lavoro.
Il tema non è certamente nuovo; semmai la novità sarebbe parlarne finalmente senza timore o addirittura vergogna. Sì, perché se da una parte il modello culturale in cui siamo incastrati non aiuta l’artista a definirsi in termini giuridici e sindacali – aspetto primario per legittimarne la professione –, dall’altro è l’artista stesso che cade nella buca, evitando di affrontare con lucidità un argomento che invece è dominante nella propria routine e nella gestione del proprio tempo. È raro, infatti, che un artista parli serenamente delle proprie attività lavorative al di fuori dell’ambito artistico, tanto più se si tratta di attività di sussistenza; come se il rivelarsi operativo anche su altri fronti dequalificasse quello che, invece, si sta cercando di costruire nella sfera creativa.

Alex Urso, Dipingere con le nuvole. Courtesy l'artista

Alex Urso, Dipingere con le nuvole. Courtesy l’artista

UN FRAGILE EQUILIBRO

Oggi la mia situazione lavorativa è molto diversa rispetto a quella di qualche anno fa, ma la ricerca di un equilibrio tra le diverse anime professionali resta un impegno dispendioso. Dal 2018 sono parte dello staff di redazione di Artribune e la scrittura – che in passato era accessoria – è diventata prominente. La scrittura ha creduto in me più di quanto non abbia fatto l’arte, in un certo senso, e l’accettare di dedicarmi full time a essa non è stata una sfida, né ha richiesto particolari calcoli o riflessioni da parte mia: semplicemente è stata la naturale conseguenza di un percorso nel quale immagini e parole si sono sempre fronteggiate e completate, scambiandosi di posto, in una danza che ho accettato di ballare senza la paura di rimanere invischiato nell’abbraccio di una o dell’altra.

ESSERE ARTISTI IN MANIERA PLURALE

Sarebbe scontato se ribadissi le difficoltà che ogni giorno provo nel calibrare il tempo che dedico alla mia ricerca di artista con quello che invece destino al giornalismo. Il timore che un giorno qualcuno mi chiederà il conto, spingendomi a scegliere in quale direzione andare, è costante. E so che quel qualcuno potrei essere io.
Nel frattempo l’imperativo è che queste due sfere, per quanto interconnesse e distanti, complementari eppure opposte, non si pestino i piedi a vicenda. In altre parole, puoi fare quello che vuoi e puoi essere operativo su più fronti, ma devi farlo bene senza il rischio di deludere chi sta scommettendo su di te. Assodato ciò, si può essere tutto quello che si vuole, finché l’energia – fisica e mentale – consente di essere attivi in maniera plurale. Non esiste un sistema dell’arte al quale adeguarsi, ma infiniti sistemi per ognuno di noi.

Alex Urso

PAROLA AGLI ARTISTI

Qual è la tua professione al di fuori dell’ambito artistico? Come ci sei arrivato/a? Quali sono i limiti e le possibilità di questa doppia anima lavorativa? Sono le domande che abbiamo rivolto a otto artisti ed ecco cosa ci hanno risposto.

Ludovica Clorophilla Basso. Photo Giulia Bernardi

Ludovica Clorophilla Basso. Photo Giulia Bernardi

LUDOVICA “CLOROPHILLA” BASSO ‒ ILLUSTRATRICE E TITOLARE DI UN B&B

Da più di dieci anni gestisco Casa A Crêuza, un’antica casa di pietra incastonata all’interno di un borgo saraceno. Un luogo di ospitalità che ha la particolarità di essere una casa d’artista arredata da me, un luogo molto intimo dove creativi e non solo negli anni si sono rifugiati alla ricerca di ispirazioni e pace, e allo stesso tempo un posto di condivisione dove organizzo vari eventi.

Quando ancora frequentavo l’università fuori sede, quando la mia attività artistica era ancora agli albori e non era un vero e proprio lavoro, ho trovato questa casa nel mio paese natale, dove vi era già un’attività di B&B e che all’inizio ho gestito durante le stagioni estive, tra un esame e l’altro.

Casa A Crêuza mi dà l’opportunità di viaggiare stando ferma, infatti ho il piacere spesso di ospitare e conoscere persone speciali. Inoltre ho potuto dedicarmi all’arredamento anche ideando e costruendo pezzi unici che vanno a valorizzare l’abitazione. Svolgendo il lavoro in parallelo di artista e illustratrice a tempo pieno a volte è difficile riuscire a far combaciare i miei impegni con la gestione della casa.

Angelo Bellobono

Angelo Bellobono

ANGELO BELLOBONO ‒ ARTISTA E MAESTRO DI SCI

Oltre all’attività artistica svolgo quella di maestro/allenatore di sci, preparatore atletico e guida escursionistica. Negli anni è aumentato il tempo dedicato all’arte, ma lo sci e la montagna hanno continuato a rappresentare un elemento importante della mia vita, diventando parte integrante dell’arte stessa. Procedo trasformando l’arte in montagna e la montagna in arte, e usando il corpo come strumento per abitare e costruire le mie opere.

Da bambino amavo disegnare e sciare; disegnare era fattibile, lo sci invece, abitando a Nettuno ed essendo di famiglia modesta, non fu facile. Cominciai a praticarlo a 13 anni, in modo rocambolesco e faticoso, lavorando in estate per permettermi un po’ di sci d’inverno. Con passione e impegno cominciai a competere e a 22 anni, mentre studiavo all’ISEF, superai le selezioni di ammissione al corso maestri di sci e nel 1988 divenni maestro, dopo allenatore e quindi guida escursionistica.

Nessun limite, ma solo possibilità, grande libertà e indipendenza. Trovo questa condizione ideale alla mia natura, mi muovo fluidamente da un contesto all’altro percependo una piacevole sensazione di costante spaesamento. Sentirsi “fuori luogo” non provoca attaccamento, evita confortevole stasi e permette di incontrare luoghi, cose, persone e pensieri senza cercare. Gioco con la gravità, controllandola in discesa e accogliendo la fatica per oppormi a essa in salita.

Sabrina Casadei

Sabrina Casadei

SABRINA CASADEI ‒ ARTISTA E ATELIERISTA

Sono arrivata a Reggio Children ormai due anni e mezzo fa, e lì ho cominciato questa nuova esperienza come atelierista. Sentendo la parola “atelierista” spesso le persone sgranano gli occhi, la maggior parte pensa sia un lavoro relativo alla moda, quando invece è legato al campo dell’educazione. La figura dell’atelierista nasce alla fine degli Anni Settanta nelle scuole comunali dell’infanzia e nei nidi di Reggio Emilia. L’idea è di integrare nelle scuole una persona con formazione artistica che progetti contesti di apprendimento insieme alle insegnanti.

A Roma conducevo alcuni laboratori nelle scuole, in collaborazione anche con la Fondazione smART. Eppure ero in cerca di altro, che non fosse determinato dal tempo del laboratorio stesso. Immaginavo di poter far parte di un processo più lungo di conoscenza, così ho iniziato a cercare informazioni sugli approcci educativi esistenti, finché non sono approdata al Reggio Emilia Approach; mesi dopo, sul loro sito è apparso un avviso pubblico per l’assunzione di due atelieristi.

Più che una doppia anima lo vedo come un intreccio tra la ricerca fatta in studio in solitaria e quella condivisa con il mio gruppo di lavoro a Reggio. Un gruppo riccamente eterogeneo con cui coltivo la relazione tra saperi ed esperienze, all’interno del Centro Internazionale Loris Malaguzzi, sede di RCH. In questo centro di ricerca progettiamo e accogliamo negli atelier bambini, ragazzi e adulti in formazione. Questa filosofia educativa sicuramente ha portato nel mio campo di indagine studi e interessi a cui non sarei altrimenti arrivata. Per certo è un lavoro immersivo: non è sempre facile emergere senza rischio di apnea.

Costanza Coletti

Costanza Coletti

COSTANZA COLETTI ‒ ILLUSTRATRICE E INSEGNANTE DI YOGA

Da dodici anni pratico lo Yoga Kundalini e da sette lo insegno. Questa tradizione fonde il lavoro sul corpo con la meditazione, il respiro e i canti sacri. Lo yoga è una parte fondamentale della mia vita, un rifugio e un supporto per affrontare ogni sfida. Condividere con gli altri le tecniche che ho appreso è per me un lavoro che ha valenza politica oltre che spirituale.

Praticando tutti i giorni, iniziare a insegnare è stato naturale: gli amici volevano fare yoga con me e così ho cominciato. Nel 2018 sono tornata a vivere in Italia e ho iniziato a insegnare in modo più regolare a Milano. Poi la pandemia ha aperto le porte alla pratica online, e da allora i gruppi si sono allargati al di là dei limiti geografici. Da due anni conduco cicli di meditazione mattutina su Zoom.

Le immagini che creo sono molto legate alle esperienze meditative, e spesso dico che la meditazione è il mio motore creativo. Nonostante questo, all’inizio mi sembravano due mondi separati e inconciliabili, e mi sono sentita spesso insicura su come presentarmi professionalmente. Con il tempo ho compreso che tra queste due parti di me e del mio lavoro non c’è contraddizione, ma una sinergia profonda.

Luca Cutrufelli

Luca Cutrufelli

LUCA CUTRUFELLI ‒ ARTISTA E TITOLARE DI COCKTAIL BAR

Nel 2015 ho fondato un club nelle Isole Eolie, Il Giardino di Lipari, che nel 2021 è stato inserito tra i migliori 30 cocktail bar d’Italia. Negli anni è diventato un brand a tutti gli effetti con il quale realizzo una grappa (come Cattelan!) aromatizzata con le scorze di mandarino degli alberi del locale. È aperto solo in estate, il che mi permette di dedicarmi ad altro nei mesi restanti.

Diciamocelo, vivere d’arte, in Italia in particolare, non è sempre sano, né per l’artista né per la sua ricerca. I compromessi sono sempre dietro l’angolo e solo le top gallery sono in grado di supportare a 360 gradi un artista. Crearsi un percorso parallelo credo sia importante per mangiare restando fedeli alla propria ricerca. Il mio mi ha portato in un’isola, a un giardino abbandonato.

Il limite: lo scetticismo altrui, anche se ti sforzi di spiegare che un’anima non esclude l’altra. Di conseguenza la carriera può subire battute d’arresto. Le possibilità: senza dubbio aver maggiore controllo della propria vita e delle proprie scelte, incrociare mondi che altrimenti avresti ignorato, per poi portare la crescita interiore che ne deriva all’interno della propria ricerca artistica.

Gabriele De Santis

Gabriele De Santis

GABRIELE DE SANTIS ‒ ARTISTA, FARMER E BOTANISTA

A febbraio 2022 ho fondato Palma: un negozio di piante (e tutto il resto) contemporaneo che al momento ha tre punti vendita a Roma, Torino e Milano.

Ho cominciato a collezionare piante nel 2016, da quel momento la mia passione per la botanica è cresciuta sempre di più e così lo scorso anno ho deciso di provare a trasformare questa passione in lavoro.

I limiti sono solo temporali. Le possibilità di interconnessione tra i due mondi invece sono infinite. La direzione artistica di Palma non differisce molto dal mio lavoro in studio o negli spazi espositivi. È solo un modo diverso di essere creativo.

Hilario Isola

Hilario Isola

HILARIO ISOLA ‒ ARTISTA E PRODUTTORE DI VINI

Gestisco una piccola azienda agricola in Piemonte, dove realizzo prevalentemente due tipi di vini naturali autoctoni di montagna. Si tratta di una piccola produzione di poche migliaia di bottiglie, dove faccio tutto o quasi manualmente e personalmente. I miei vini sono distribuiti in Italia e prevalentemente in America, in diversi ristoranti stellati. Seppur non ci traggo vantaggi economici, è una professione, o meglio una passione, che mi dà molte soddisfazioni.

È iniziato intorno al 2003, quando ho prodotto le prime bottiglie contemporaneamente ai miei primi passi da artista. La mia passione per la vita di cantina e di vigna è nata durante il liceo, quando in estate, per tirare su qualche soldo, andavo a vendemmiare nelle Langhe dove stava esplodendo il fenomeno dei grandi vini come il Barolo e il Barbaresco. In campagna dove vivevo, invece, c’erano molte vigne in abbandono o condotte molto male. Prima ho iniziato a gestire pochi filari di una di queste vigne e a scoprire l’incredibile patrimonio di vitigni autoctoni, e da lì pian piano mi sono allargato.

I limiti ci sono, infatti sia la vigna che la cantina richiedono una presenza costante e impegni improrogabili, essendo lavori legati al tempo, ai cambiamenti stagionali e climatici, e ai processi alchemici. Questi fattori inevitabilmente influenzano il mio lavoro come artista, in quanto spesso è difficile conciliare la mia agenda con mostre e attività artistiche. D’altra parte, però, da questa passione e da questo legame ancestrale con i tempi e le esigenze naturali in questi anni ho tratto molte conoscenze, arricchimento e ispirazione sia personalmente sia come artista. In alcuni lavori espressamente legati al vino tento di avvicinare e comprendere meglio questi due mondi di cui mi occupo.

Juan Eugenio Ochoa

Juan Eugenio Ochoa

JUAN EUGENIO OCHOA ‒ ARTISTA E MEDICO CHIRURGO

Nel 2007 ho conseguito la Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia presso l’Università Pontificia Bolivariana di Medellín in Colombia; nel 2010 mi sono trasferito in Italia, dove ho frequentato il corso di Dottorato di Ricerca in Prevenzione del Rischio Cardiovascolare presso l’Università di Milano Bicocca. Dal 2015 sono iscritto all’Albo dei Medici Chirurgi di Milano e lavoro come medico-ricercatore presso il Laboratorio Sperimentale di Ricerche Cardiologiche IRCCS dell’Ospedale San Luca di Milano. I miei interessi scientifici riguardano lo studio della variabilità intraindividuale della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca quali indici di funzionamento del sistema nervoso autonomo. Sono stato autore e coautore di numerose pubblicazioni su libri e riviste scientifiche.

Dopo gli studi in medicina mi sono avvicinato alla pittura spinto da un entusiasmo quasi romantico, senza la consapevolezza che si trattasse di una vocazione che chiedeva di essere realizzata, e senza la pretesa che un giorno potesse diventare una professione. Ho seguito piuttosto un mio bisogno “ludico”, fisiologico, che avevo sin da bambino, di entrare in contatto con la materia del colore e con gli strumenti della pittura.

L’arte ha messo in crisi la mia identità personale e professionale. Il tentativo di mettere insieme in un’immagine coerente i vari pezzi della mia vita rimane ancora fallimentare. La sensazione è spesso quella di aver smarrito il senso della mia vocazione. Il concetto contemporaneo di professione, che ci vuole spesso come “operatori”, contrasta con il senso della pratica artistica, che vede l’artista come un “creatore”. La medicina contemporanea, fondata su una visione positivistica del mondo, tende a oggettivare le persone, per rispondere a domande contingenti. L’arte invece deve promuovere l’individualità e la soggettivazione, e in tal senso è più vicina al concetto di vocazione. Il medico deve rispondere alla chiamata della vocazione al servizio, l’artista è al servizio di una vocazione talvolta egocentrica e autoreferenziale. Alla fine l’anima del professionista e quella dell’artista devono convivere in un territorio ambivalente di tensioni e di contrasti, apparentemente inconciliabili ma necessari a mantenere viva la ricerca di senso.

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #70

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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