Ora bisogna rivoluzionare il modo di concepire le mostre

Parte dalla relazione fra mostra, opera e pubblico la necessità di rivedere le dinamiche espositive, che devono giocoforza rispondere all’incontro con l’altro

Nel corso di queste prime presentazioni del libro L’arte rotta, spesso la conversazione/discussione si concentra – insieme al tema della likeability – sul discorso della ‘mostra’ e del ‘mostrare’. In fondo, queste sono occasioni preziose di incontro, utilissime per confrontarsi su quelli che sono i temi della riflessione portata avanti nel corso degli ultimi anni. Perché infatti la mostra, l’atto dell’esporre, non dovrebbe andare bene? O non dovrebbe andare più bene?
(Ritornare sempre sullo stesso punto, da direzioni diverse, approfondire, deviare, e poi arretrare e avanzare di nuovo…) Perché il dispositivo della mostra implica non solo lo spazio espositivo – un luogo deputato, orientato a questa precisa funzione – ma anche tutta una serie di atteggiamenti e comportamenti che rispondono a istruzioni implicate dall’esporre, dall’esibire l’opera. Vale a dire, non ci sono molte cose che uno spettatore possa fare all’interno di una mostra, eccetto contemplare l’opera e girarci intorno.

MOSTRA E PUBBLICO

La sensazione è che ci siano molte occasioni, molte opportunità che vadano perse all’interno di questo sistema chiuso: le opportunità fanno riferimento in particolare alla costruzione di relazioni, e alla possibilità che l’opera stessa diventi una piattaforma di questa costruzione. Perché ciò avvenga, è importante e necessario smantellare gran parte dei codici che regolano ancora oggi la fruizione di un’opera (: d’altra parte, se ci pensiamo, la mostra stessa è un oggetto storico, che ha avuto un inizio neanche particolarmente lontano, e che dunque non è destinato a durare per sempre; essa rappresenta cioè un modo, non l’unico, per entrare in rapporto con un’opera d’arte).
Il nostro punto di partenza è sempre lo stesso, non sappiamo mai niente di niente, non c’è niente di cui abbiamo un’idea sia pur minima, così diceva, pensai. Non appena esaminiamo un argomento qualsiasi, rischiamo di soffocare nell’enorme quantità di materiale che in ogni campo è a nostra disposizione, la verità è questa, così diceva, pensai. E pur sapendo tutto ciò, riesaminiamo continuamente da capo i nostri cosiddetti problemi intellettuali e ci lasciamo sedurre da un’idea impossibile: creare un prodotto intellettuale. Questa sì che è follia!” (Thomas Bernhard, Il soccombente, Adelphi 2022, p. 69).

Emanuela Barilozzi Caruso, Il mondo Fiore, 2022, Palermo

Emanuela Barilozzi Caruso, Il mondo Fiore, 2022, Palermo

MOSTRE E IMPREVISTI

Dunque, lo spazio espositivo impedisca all’opera – e al suo autore/autrice – di provare a inoltrarsi nella realtà, a perdere parte dei suoi confini identitari e a mescolarsi con l’altro. Soprattutto, lo spazio espositivo corrisponde in tutto e per tutto al Programma, cioè a un sistema artistico che fa della prevedibilità il suo perno. Ogni gesto, ogni scelta, ogni potenzialità deve essere prevista e codificata. Nella realtà questo non è possibile: il processo che attraversa l’opera, il tipo di circuito in cui essa è immersa, risulta completamente diverso. E a generare questa differenza è la dimensione dell’imprevisto, cioè dell’incontro con l’Altro – un Altro che non ha nulla di retorico e, per così dire, intellettualmente e culturalmente già digerito.
Il processo è controintuitivo: più l’opera cerca di affermare se stessa, di imporsi all’attenzione in quanto opera, più essa decade; più invece l’opera e l’artista non hanno paura di smarginarsi, di sfrangiarsi, di confondersi con l’esistenza, più l’opera riesce a funzionare, nelle condizioni attuali. “Wertheimer non era capace di vedere se stesso come un essere unico al mondo, mentre in effetti è così che ciascuno di noi può e deve concedersi di vedere se stesso se non vuole cadere in balìa della disperazione, ogni essere umano, comunque sia fatto, è un essere unico al mondo, io stesso me lo dico di continuo e con questo son salvo” (ivi, p. 94).

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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