Francia. La Collezione Pinault è in mostra a Rennes

Dopo il successo di “Debout!”, che nel 2018 ha visto circa 100mila visitatori entrare negli spazi rinnovati del Couvent des Jacobins a Rennes, la Pinault Collection rilancia quest’anno con un nuovo percorso espositivo.

Au-delà de la couleur. Le noir et le blanc dans la Collection Pinault propone una selezione di 107 opere di 57 artisti, francesi e stranieri, molte mai presentate finora nelle mostre organizzate dal collezionista bretone François Pinault.

IL COLORE NELLA STORIA DELLE MOSTRE

Il tema proposto – una riflessione sul valore simbolico del bianco e del nero e la capacità dei due colori di dar vita alle sperimentazioni più varie in campo artistico – ha permesso a Jean-Jacques Aillagon, direttore generale di Pinault Collection e curatore dell’esposizione, di spaziare dalla pittura alla scultura, dal disegno alla fotografia, dalla videoarte alla moda (con quattro modelli di Balenciaga e Saint-Laurent). La ricerca sulla simbologia e i valori veicolati dai colori è un tema non nuovo, basti pensare alle ricerche di Michel Pastoureau o alle mostre organizzate negli ultimi anni, come Le noir est une couleur alla Fondation Maeght nel 2006 o L’Aventure de la couleur a Metz nel 2018, e più recentemente Soleils noirs al Louvre Lens.
A Rennes il bianco e nero si carica di ulteriori significati emotivi perché sono i due colori che sventolano nella Gwenn-ha-Du, la bandiera della Bretagna, sempre fiera della sua autonomia, nello stemma della città e nei vestiti dell’Ordre des Jacobins, denominazione francese dei Domenicani.

Paul McCarthy, Bear and Rabbit on a Rock, 1992. Courtesy l'artista e Pinault Collection

Paul McCarthy, Bear and Rabbit on a Rock, 1992. Courtesy l’artista e Pinault Collection

IL CONVENTO DEI DOMENICANI IERI E OGGI

All’ingresso della mostra è Waiting (2006), il grande avvoltoio dalle piume bianche e nere di Sun YuanPeng Yu. Di fronte, due opere che testimoniano bene il ruolo che tradizionalmente, nelle società occidentali, è stato attribuito al bianco e al nero. Si fronteggiano a breve distanza Bourgeois Bust, Jeff and Ilona (1991) di Jeff Koons e Death’s Head (2011) di Damien Hirst. Il bianco della purezza, del legame felice da una parte, il colore della morte, del dramma, dell’addio dall’altra. Damien Hirst ritorna nello spazio successivo con una impressionante opera in nero: Cancer, the gates of hell. Le mosche nere evocano l’idea della decomposizione legata alla malattia e vanno a formare un logotipo che nella comunicazione visiva indica la tossicità.
Il percorso di visita segue gli spazi offerti dalla ristrutturazione dell’antico Convento dei Domenicani presenti qui dal 1369, che abitualmente funziona come centro congressi nel cuore della città. Siamo in place Sainte Anne, quartiere medievale di Rennes, dove a breve si incroceranno le due linee di metrò (una già esistente, l’altra in fase di completamento). I lavori per il recupero del convento che dopo la Rivoluzione è stato occupato dai militari e la costruzione del centro congressi sono durati quattro anni, dal 2014 al 2017. L’elemento più emblematico di questo cambio di destinazione – uno choc visuale fra volumetrie storiche e contemporanee – è la moderna torre di 26 metri di altezza che annuncia la programmazione di mostre ed eventi. In alto, uno schermo con 360mila led integrati sui supporti di alluminio per una superficie complessiva di 70 metri quadrati fa ormai parte dello skyline rennois.

Au delà de la couleur. Exhibition view at Couvent des Jacobins, Rennes 2021. Photo JF Molliere

Au delà de la couleur. Exhibition view at Couvent des Jacobins, Rennes 2021. Photo JF Molliere

LE OPERE DI PINAULT NEL CHIOSTRO DEL CONVENTO

Gli scavi archeologici che hanno preceduto l’inizio dei lavori hanno portato alla scoperta del corpo mummificato e straordinariamente ben conservato della nobildonna Louise de Quengo, morta nel 1656 e seppellita in una bara di piombo. Un rinvenimento eccezionale che ha ispirato le opere esposte nella galleria del chiostro.
Qui la morte è evocata dal bianco. Il bianco dell’assenza, degli obitori, delle lenzuola che ricoprono i cadaveri, come in All (2007), opera di Maurizio Cattelan. I sudari drappeggiati nel marmo fanno intuire forme umane disposte in posizioni che si immaginano irrituali nella compostezza della morte. Nella stessa sala, a introdurre la moderna interpretazione dei gisants dell’artista italiano, c’è Gober Wedding Gown (1996) di Sturtevant. Un abito da sposa bianco, esposto come in una vetrina di boutique ma senza testa e corpo, a denunciare un’assenza.
Il giardino del chiostro è occupato da Threshold Menhirs (2000), due imponenti pezzi di legno carbonizzato dell’artista britannico David Nash che forse vogliono suggerire la sacralità del luogo, o forse sono in qualche modo un omaggio alla Bretagna, terra di menhir (Carnac).

Zanele Muholi, Mfana Philadelphia, 2019. Courtesy l'artista e Pinault Collection

Zanele Muholi, Mfana Philadelphia, 2019. Courtesy l’artista e Pinault Collection

DALLE QUESTIONI RAZZIALI ALLA TESTATA DI ZIDANE A MATERAZZI

I rimandi fra letteratura e arte, fra opere di diverse epoche si fanno più stringenti negli spazi successivi. I Calligrammes di Apollinaire e le opere di Roman Opalka, Christopher Wool e Paulo Nazareth. Il Quadrato Nero di Malevic e i lavori dei Suprematisti come fonte di ispirazione per Antoni Tapies, Robert Ryman e Anselm Reyle. C’è posto anche per Mario Merz, Francesco Lo Savio e Giulio Paolini. Quest’ultimo è presente con due opere molto note come L’Invenzione di Ingres (1968) e Mimesi (1975-76): due candide Veneri che si fronteggiano a dissimulare il vero dal falso o a giocare sul “più vero del vero.”
La sezione fotografica si annuncia con la bellissima serie di ritratti in cui Annie Leibovitz ritrae a colori e a figura intera e poi in bianco e nero a mezzo busto delle ballerine di rivista a Las Vegas. Viene sottolineato il contrasto fra l’immagine pubblica di donne truccate e abbigliate sontuosamente e l’intimità del ritratto in bianco e nero che rivela una personalità diversa da quella ostentata in scena.
Scatti ormai storicizzati come quelli di Man Ray (Noire et Blanche, 1926) con Kiki de Montparnasse affiancata a una maschera africana, e di Irvin Penn si confrontano con le immagini del (o tratte dal) fotogiornalismo contemporaneo di Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, Troy Brauntuch.
Au delà de la couleur. Exhibition view at Couvent des Jacobins, Rennes 2021. Photo JF MolliereNella stessa sala, Adel Abdessemed riprende in una statuetta in avorio, materiale prezioso per antonomasia, il celebre fotogramma del 1972 di Nick Ut, con la bambina vietnamita bruciata dal napalm in fuga dal suo villaggio.
Non poteva mancare uno spazio dedicato alla tensioni razziali fra bianchi e neri con le foto di reportage storici: Dorothea Lange, Henri Cartier-Bresson, Raymond Depardon dialogano con gli scatti militanti di John Edmonds, Zanele Muholi, La Toya Ruby Frazier.
Chiusura in tono ironico con l’abbraccio pop di Bear and Rabbit on a Rock (1992) di Paul McCarthy. Uscendo, nel cortile del convento, i visitatori incontrano un’ultima sorpresa: il colpo di testa più famoso degli ultimi anni. La statua di bronzo alta oltre cinque metri immortala Zinedine Zidane nell’atto di colpire Matteo Materazzi durante la finale di Coppa del Mondo di calcio nel 2006. Adel Abdessemed sceglie di colorare di nero il suo Coup de tête (2012) accentuando la drammaticità del gesto.

– Dario Bragaglia

Rennes // fino al 29 agosto 2021
Au-delà de la couleur. Le noir et le blanc dans la Collection Pinault
a cura di Jean-Jacques Aillagon
COUVENT DES JACOBINS
Place Sainte-Anne
www.pinaultcollection.com

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Dario Bragaglia

Dario Bragaglia

Dario Bragaglia si è laureato con Gianni Rondolino in Storia e critica del cinema con una tesi sul rapporto fra Dashiell Hammett e Raymond Chandler e gli studios hollywoodiani. Dal 2000 al 2020 è stato Responsabile delle acquisizioni documentarie e…

Scopri di più