Vedere doppio. Giulio Paolini a Napoli da Alfonso Artiaco

Quella del conoscere l’essenza (eídēsis), percependo con l’intelletto anche quanto sfugge ai sensi, e quella dell’essere testimone (theáomai) dei fenomeni con cui essa si rivela, ricevendone il calore, oltre la razionalità. Giulio Paolini riallaccia le radici etimologiche della mente, del pathos e dell’arte tutta. A Napoli, per la prima mostra post-lockdown da Alfonso Artiaco.

Teatro ed eidetica. È dagli Anni Sessanta che il cantore dell’idea dell’arte Giulio Paolini (Genova, 1940) intesse collaborazioni teatrali, ma è da sempre che i confini del sipario si allargano nella sua ricerca.
Libertà e creazione rendono il suo un concettuale musicalmente caldo, teatralmente coinvolgente, in cui la referenzialità metalinguistica non resta meramente tautologica, ma si apre a campi esterni rispetto alla semantica dell’enunciato artistico, pur investigandone le fondamenta come scienza della visione.
Ratio e motus emozionale recitano dunque fluidamente complici la loro parte nelle sue opere, attribuendo lucidità, ma anche fascinazione e dilemma esistenziale, all’analisi sulla dialettica perennemente in scena tra presentazione e rappresentazione del reale. E caratterizzano non a caso questo specifico episodio espositivo con un succedersi cadenzato tra diverse temperature cromatiche, le calde oro/brune da un lato, e le più terse cerulee dall’altro.

GIULIO PAOLINI E RICHARD WAGNER

Giulio Paolini rompe la quarta parete in modo subitaneo e ipnotizza il fruitore in modo quasi inavvertito verso una dimensione altra in cui tutto, nel continuum wagneriano dell’arte – non a caso, le sue recenti collaborazioni scenografiche sono per Wagner – può accadere, in cui si invalida il senso di qualunque distinzione tra pittura, scultura, architettura o ambiente, e in cui anche citazionismo postmoderno e neoclassicismo postconcettuale rimescolano i tempi, nell’acronico presente del linguaggio creativo. Di cui vengono rivelati – e quasi celebrati – grammatica e strumenti, ma configurando forse l’unico caso in cui lo svelamento dei trucchi, da parte del prestigiatore/artista, non attenua, ma amplifica, la suggestione.

Giulio Paolini. Fuori quadro. Exhibition view at Alfonso Artiaco, Napoli 2021. Courtesy Alfonso Artiaco

Giulio Paolini. Fuori quadro. Exhibition view at Alfonso Artiaco, Napoli 2021. Courtesy Alfonso Artiaco

LE OPERE DI PAOLINI IN MOSTRA A NAPOLI

Se Vis-à-vis, Fuori tempo e La caduta di Icaro gettano le fondamenta metodologiche del percorso, sconfessando il caleidoscopio – formale e tematico – dell’infinito scomporsi, ricomporsi e riflettersi degli elementi costitutivi del codice, in cui tempo e spazio, illusione e reale sono materie e strumenti quanto tavolozza e prospettiva, è nel volo pindarico di Piazze d’Italia, cuore dell’allestimento, che Storia o Cronos attuale, icone artistiche passate agenti nella memoria quasi come loghi o design recente, conoscenza o suo affrancamento verso l’immaginazione si scompaginano, liberi come i fogli d’album su parete e pavimento.
Ed è infine nella serie Pompei – preziosa ouverture del progetto Pompeii Commitment – che mito e reale del costruito umano, e le segrete leggi del Cosmo, rivelano la loro unità, mostrandosi sovrapposti e compresenti, in una visione quasi da realtà aumentata nella consapevolezza artistica. La nuova estetica antropologica del mezzo tecnologico si salda al millenario afflato panico dell’euritmia comune a uomo-natura-arte, dalle colonne greche, a Vitruvio, a Leonardo.

LA SINTONIA CON DE CHIRICO E WATTEAU

Gli orologi citati – da de Chirico all’aroma in tutti noi più vicino di Marclay – nelle altre opere del percorso, come variazioni e oscillazioni perfette o imperfette del diacronico e sincronico, sfondano qui come cerchi senza istanti la loro vera natura ontologica, aprendo la soglia e stargate dell’arte, acronica.
Interrogativo e malinconico, ma senza tristezza, Gilles da Watteau ci fissa nell’ultima sala: oltre il citazionismo, tra teatro e poesia, pensiero e passioni, anche l’arte ci guarda, chiedendosi il suo senso, finché noi non la vediamo, partorendola fenomenologicamente al mondo.

– Diana Gianquitto


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Diana Gianquitto

Diana Gianquitto

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea.…

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