Lavorare con Renzo Piano. Il racconto di due partner dello studio RPBW

Gli architetti Antoine Chaaya e Joost Moolhuijzen sono due dei nove partner dello studio RPBW - Renzo Piano Building Workshop. Intervistati per il ciclo di incontri “Past, Present, Future” di Itinerant Office ricostruiscono i rispettivi esordi, gomito a gomito con l'architetto genovese, e delineano possibili traiettorie future dell'architettura.

Nati entrambi nel 1960, uno in Libano, l’altro nei Paesi Bassi, gli architetti Antoine Chaaya e Joost Moolhuijzen lavorano nella sede parigina di RPBW – Renzo Piano Building Workshop rispettivamente dal 1987 e dal 1990. Divenuti negli anni Duemila partner dello studio fondato da Piano, hanno raccontato le rispettive esperienze all’interno di questa realtà professionale, presente anche a Genova e a New York, in occasione della video-intervista inclusa nel progetto Past, Present, Future: about being an architect yesterday, today, and beyond di Itinerant Office. Ispirati dal linguaggio architettonico dell’architetto e senatore a vita già prima di iniziare a lavorare al suo fianco, ricordano gli esordi. “Quando sono arrivato in ufficio, nel 1987, eravamo vicini a Rue des Archives. L’ufficio era molto piccolo, eravamo circa 12 o 13 persone ed era come lavorare in famiglia. Ricordo il giorno in cui abbiamo deciso di espanderci a 15 persone: Renzo diceva sempre che voleva resistere ed evitare di diventare un grande ufficio. Diceva che non saremmo stati in grado di controllare la qualità del lavoro. Quando abbiamo fatto il concorso di Osaka, immediatamente l’ufficio è esploso e siamo cresciuti fino a diventare qualcosa come 30 persone. Sembrava una grande rivoluzione! Renzo ovviamente è ancora vicino a tutte le persone che lavorano nello studio, ma in quel momento la sensazione era diversa. Incontrarlo per la prima volta e avere l’opportunità di parlargli è stato come un sogno. Sa davvero ascoltare e dare fiducia ai giovani”, ricorda Chaaya. A fargli eco è l’architetto Moolhuijzen, che fra gli altri interventi seguiti in questi anni si è occupato del percorso che ha portato fino alla costruzione del grattacielo Shard, a Londra. Nei suoi primi anni di lavoro, “l’ufficio era completamente diverso; era molto più piccolo ed eravamo tutti molto più giovani! I principi sono sempre gli stessi e questo è l’importante. Quando ho iniziato a lavorare con Renzo, era un giovane di 60 anni. Il nostro rapporto di lavoro è cambiato ma è rimasto una persona molto stimolante: è sempre stato un grande piacere lavorare con lui”.

L’ARCHITETTURA SECONDO RPBW

Vogliamo che i team seguano i progetti dalla A alla Z; crediamo che se conosci il progetto, se lo conosci fin dall’inizio e nei minimi dettagli, portarlo fino in fondo, al completamento, sia davvero un processo molto interessante. Questo vale tanto gli architetti quanto per il cliente, e anche in termini di coerenza del progetto stesso”, afferma Moolhuijzen, identificando così una delle caratteristiche del metodo di lavoro adottato in RPBW. Pur contando oltre un centinaio di dipendenti, al momento, lo studio tende a mantenere una dimensione volutamente contenuta in confronto a realtà altrettanto affermate. “Rispetto ad altri grandi uffici, non siamo cresciuti tanto quanto loro e questa è stata una nostra scelta. Preferiamo non continuare ad espanderci”, aggiunge Moolhuijzen. Dagli anni Ottanta ai giorni nostri, nonostante il rapido sviluppo della tecnologia applicata alla disciplina, un aspetto sembra essere ancora peculiare all’interno di questa pratica: “Si devono assolutamente realizzare plastici e quindi studiarli per capire le proporzioni reali, come funzionano le cose. È essenziale toccare davvero il progetto. Ai giovani che vengono qui per lavorare piace sedersi davanti allo schermo e non tanto fare i modelli. Ma è assolutamente essenziale che conserviamo questa attività. È parte integrante del nostro lavoro”, conclude l’architetto olandese. Ragionando sul futuro della disciplina, Antoine Chaaya assegna assoluta centralità alla questione ambientale. “Penso che una delle grandi sfide di questo secolo sia davvero la fragilità della nostra terra, il nostro ambiente e la sostenibilità delle nostre azioni. Mi aspetto che gli architetti siano più sensibili nella progettazione degli edifici, cioè che siano davvero fautori di scelte sostenibili, rispettando l’ambiente, lavorando con il sole, la luce, il vento, prevedendo aree verdi e continuando a umanizzare il spazio. Non mi aspetto una rivoluzione nel senso che costruiremo solo sull’acqua. Ma le nostre esigenze si stanno evolvendo e anche la nostra ricerca e il modo in cui esprimiamo l’architettura si stanno evolvendo”. Ricorre infine a un modo di dire francese – “C’est un beau métier mais ce n’est pas un bon métier” – (“È una bella professione, ma non è una buona professione”) Joost Moolhuijzen rispondendo all’invito a recapitare un messaggio alle prossime generazioni di progettisti. “L’architettura è un lavoro duro, ma è una professione fantastica. Gli studenti dovrebbero perseverare e andare avanti perché le ricompense arriveranno”, conclude.

Valentina Silvestrini

L’intervista integrale è visibile sul sito

www.pastpresentfutureproject.com

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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