Tra architettura e arti visive: parola a Paul Robbrecht e Hilde Daem

Dal 1975 Paul Robbrecht e Hilde Daem lavorano insieme nel loro studio di Gent, in Belgio. Nell'intervista curata da Itinerant Office per il ciclo "Past, Present, Future" illustrano i progetti più rilevanti della loro carriera, tra cui l'estensione del Boijmans van Beuningen Museum di Rotterdam

L’architettura? “Si è rivelata molto più tecnica di quanto mi aspettassi”, ammette lucidamente l’architetta Hilde Daem, che dal 1975 guida con Paul Robbrecht lo studio identificato dai cognomi di entrambi. Una scelta doverosa ed esemplare, sottolinea la progettista, che negli anni dell’università si trovò in un microcosmo a trazione maschile. “Ora abbiamo il movimento ‘Me too’, ma a quel tempo era meglio stare con la bocca chiusa. Era una vita abbastanza pesante per le donne. Mio padre lo diceva sempre, sottolineando che l’architettura non era per le donne. Ma volevo dimostrare che si sbagliava.” E così, accantonata la curiosa prima denominazione – “Architecture and Music”, riflesso del comune interesse verso entrambe le discipline – “ho insistito affinché anche il mio cognome fosse nel nome dello studio”. Una prassi non così comune all’epoca, quando in molti ritenevano che si sarebbero trovati di fronte due maschi.

OSSERVANDO L’EVOLUZIONE ARCHITETTONICA DELLE FIANDRE

Attivi nella progettazione di edifici per la cultura e le arti (tra cui il Padiglione di Documenta IX a Kassel, in Germania, e il più recente complesso che circonda la Casa di Rubens ad Anversa), nell’allestimento, negli interni e nell’architettura del paesaggio, Robbrecht e Daem lavorano con un numero variabile di collaboratori, “tra i trentacinque e i quarantacinque giovani. Cominciano subito dopo la laurea e sebbene inizialmente prevedano di rimanere tra i sei mesi e un anno, ciò che scopriamo è che in realtà stanno più a lungo del previsto”. In questi anni di pratica professionale, hanno osservato i cambiamenti in atto nel loro paese: “Dieci anni fa in Belgio nessuno voleva costruire grattacieli”, afferma Robbrecht. “tutti volevano sposarsi e costruirsi una casa in campagna. L’intero paese venne popolato da queste case e oggi non abbiamo più una campagna. Ora penso che sia giunto il momento per gli architetti di pensare a modi totalmente nuovi di vivere insieme e di porsi la domanda: che ne sarà delle nostre comunità?”.

PER UN’ARCHITETTURA SOSTENIBILE

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche Daem, che lancia un’esortazione a “tutti gli architetti, ma anche gli utenti e soprattutto i politici affinché pensino a lungo termine e non a breve termine. Sono molto pessimista sul modo in cui vanno le cose adesso. Dobbiamo trovare modi sostenibili per rallentare il riscaldamento della Terra”. E in relazione all’uso dei materiali e ai nostri consumi ammonisce: “Quando ho viaggiato in Africa, ho visto intere montagne di rifiuti formati da cellulari e televisioni. Il modo in cui gestiamo i nostri rifiuti e pensiamo alla produzione di materiali non è sostenibile. Viene richiesto di usare pannelli solari che dopo dieci anni smettono di funzionare. Devi rinnovarli, ma nessuno ha pensato a cosa succederà a quelli dismessi.”

– Valentina Silvestrini

L’intervista integrale è visibile sul sito
www.pastpresentfutureproject.com


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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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