La natura che non ti aspetti nel cuore di Roma

Se ne parla poco, ma la natura nella Capitale ha un ruolo da protagonista e negli ultimi anni sta riconquistando il suo spazio. Roma è la città della selva, qui spieghiamo perché con gli scatti di Alessandro Imbriaco, miglior fotografo italiano 2022

A me invece Roma piace moltissimo: una specie di giungla, tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene”. È Marcello a dirlo, ne La dolce vita, mentre parla con Maddalena. Poche parole intrecciate e così dense di energia evocativa. Una frase che mi riecheggia nella mente, da quando ho visto il film di Fellini e che nel tempo ha accompagnato la mia continua scoperta di questa città così difficile da trattare e da trattenere. Da cui voler fuggire, giorno dopo giorno, e da cui non si può restare lontani.
Roma la vivo a piedi. Sono ormai diversi anni che non uso la macchina. Mi piace perlustrarla, osservarla, guardarla nei più piccoli particolari. A volte evitando la visione totale, che è una vertigine assoluta. In questo vagabondare, con o senza meta, mi trovo spesso a studiare il ruolo degli elementi vegetali (e animali), in relazione con il costruito. Marcello parla di giungla in senso figurato, io inizio a pensare invece che lo sia davvero. Una giungla, specie di questi tempi in cui termini come boschi, foreste o giungle urbane sembrano parole d’ordine a volte vuote di significato. E invece Roma è selvaggia davvero. La città è sempre sul punto di implodere, collassare su stessa, diventare una immensa trappola di complessità, e nel mentre la natura si fa spazio, si riprende il suo ruolo, invade e mangia lo spazio artificiale. Gioca e ci provoca.
Una natura a volte spaventosa, se non altro spaesante. Densa di stupore. Eppure non se ne parla mai. Roma è tutta grande bellezza. Colosseo, Fori Imperiali, Appia Antica, Fontana di Trevi, mai natura. E invece basta leggere un libro, Roma Selvatica di Antonio Canu, per aprire altri scenari.

Alessandro Imbriaco, dalla serie Roma, 2018-21. Courtesy l’autore

Alessandro Imbriaco, dalla serie Roma, 2018-21. Courtesy l’autore

ROMA E LA NATURA NASCOSTA

Quante cose si possono comprendere di questa città-territorio, a partire da alcuni dati semplici e diretti: di 129mila ettari di estensione, 86mila sono aree verdi, tra giardini, parchi pubblici, ville storiche, riserve naturali, aree archeologiche e agricole. Con un indice incredibile di biodiversità. Roma è abitata non solo da noi, ma da specie vegetali e animali spesso nascoste, invisibili, in continuità e coesistenza. Alcune straordinarie e sconosciute anche agli stessi romani, come la colonia di granchi di fiume che da un tempo imprecisato – presumibilmente dall’antichità – vive indisturbata tra le acque che scorrono sotto la zona archeologica dei Fori Imperiali, tra i Mercati Traianei e la Basilica Ulpia.
Basta sapere aspettare ed esercitare lo sguardo. Ovunque vi troviate, fate questo esercizio. Vedrete un’altra città. Spesso mi fermo a guardare le Mura Aureliane, ammantate da varie specie di piante, come quella del cappero che si moltiplica, una superfetazione organica, quasi una seconda architettura aggettante. Un processo di metamorfosi e coesistenza che maschera l’elemento architettonico, lo trasforma, offrendo a Roma un tempo nuovo dove natura e cultura smettono di separarsi.
Come accadeva alla fine del Settecento, prima delle grandi campagne di scavi e restauri ottocenteschi. A chi veniva in quel periodo, il Colosseo si mostrava come un grande giardino, con orti, alberi di fico, olmi, ciliegi, olivi, e una grande varietà di piante che cresceva sull’intera struttura, con l’arena occupata da pecore al pascolo. Un ecosistema unico, anche per i molteplici usi nei secoli, in una città da sempre crocevia di culture e popolazioni, come ben raccontava la mostra Frondose arcate: il Colosseo prima dell’archeologia, curata nel 2000 da Italo Insolera e Alessandra Maria Sette.

Alessandro Imbriaco, dalla serie Roma, 2018-21. Courtesy l’autore

Alessandro Imbriaco, dalla serie Roma, 2018-21. Courtesy l’autore

FLORA E FAUNA A ROMA

Anche per questa immagine, Roma ai miei occhi continua ad apparire come un laboratorio misterioso, in cui la natura dialoga sempre con il costruito. Un unico corpo pulsante scolpito da piante capaci di sovrastare architettura e spazio urbano, fino a trasfigurarne l’aspetto. Una città che si presenta come un luogo sacro dedicato a flora e fauna, per interrompere il nostro ritmo svelto, disegnare silenzi, pause mentali e materiali. È così che la vedo. Un indefinito esperimento metamorfico che ci invita a mondeggiare altrimenti, come direbbe Donna Haraway.

Emilia Giorgi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #69

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Emilia Giorgi

Emilia Giorgi (Roma, 1977) è critica e curatrice di arti visive e architettura contemporanee. Dal 2002 al 2009 collabora con il MiBACT, tra le altre attività alla definizione del programma culturale del museo MAXXI di Roma, dove poi lavora dal…

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