Arte contemporanea e religione: un dialogo possibile?

Sono tanti e non sempre lineari i modi in cui gli artisti si sono misurati con l’idea di sacro. Da Leonardo a Bernini fino a Warhol e Vanessa Beecroft, una riflessione che attraversa i secoli

La frattura tra arte contemporanea e religione ha radici lontane. Avviata nel Rinascimento, è stata la Rivoluzione francese a portarla a compimento in Occidente nei confronti della tradizione giudaico-cristiana. Nel 1965 Papa Paolo VI, in chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, esorta a ristabilire l’alleanza durata oltre un millennio fra artisti e Chiesa. Da allora questa esortazione è stata spesso citata ma è rimasta nei fatti lettera morta. Certo, opere commissionate da religiosi ad artisti laici non sono mai mancate: Matisse, Cocteau, Rothko, lo stesso Warhol: a partire da Jacques-Louis David, è lungo l’elenco di artisti che si sono dedicati all’arte religiosa… per convenzione. James Elkins, in Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea (2004) e Re-Enchantment (2007), ha proposto disamine ragionate sulle ragioni della reciproca diffidenza.
Dal 4 ottobre scorso, nella navata centrale del Duomo di Cosenza, sono stati esposti 16 arazzi eseguiti su commissione da Jan Fabre e Vanessa Beecroft, Ugo La Pietra e Michelangelo Pistoletto, Grazia Toderi e Stefano Arienti, Mariella Bettineschi, Michele Ciacciofera, Giuseppe Gallo, Goldschmied & Chiari, Debora Hirsch, Maurizio Orrico, Alfredo Pirri, Luigi Presicce, Giuseppe Stampone e Vedovamazzei. Un’apertura del genere costituisce una novità: non siamo di fronte a una delle mille chiese sconsacrate dove si tengono allestimenti effimeri. Gli arazzi commissionati per commemorare gli 800 anni della Cattedrale diverranno permanenti.
Qualcosa si è di nuovo messo in moto? Si sta aprendo una nuova era di dialogo? Alessandro Beltrami (brillante penna critica del quotidiano Avvenire) nel suo bel saggio Sacro cristiano: quattro equivoci per una critica informata tuttavia pone in evidenza una serie di nodi irrisolti. Ad esempio l’equivoco tra “immagini cristiane” e “immagini di derivazione cristiana”. Scrive: “La Crocifissione (1941) di Guttuso non è un dipinto sacro ma piega il soggetto religioso a metafora. […] diventa denuncia della violenza e del sopruso nella storia”. E Guttuso non è un’eccezione, anzi. Nel campo della “metafora laica” rientrano gran parte delle crocifissioni dipinte nel Novecento. A partire dalla Crocifissione (1912) in cui Emil Nolde prova a rappresentare non la particolare sofferenza di Gesù, ma quella fisica universale. Così, nel Cristo di San Giovanni della Croce, Salvador Dalí dà sfogo alle sue personali visioni (paranoiche?), mentre è un’accusa diretta nei confronti dell’utilizzo colonialista della religione quella di León Ferrari ne La civilizaćion occidental y cristiana (1964), dove Gesù è crocifisso a un caccia bombardiere.

Grazia Toderi per il Duomo di Cosenza

Grazia Toderi per il Duomo di Cosenza

“La religione giudaico-cristiana è una verità rivelata, e perciò assoluta, incontrovertibile. L’arte contemporanea nelle sue migliori espressioni è uno stato di grazia capovolto: è indagine, scavo, dubbio, forse disperazione

IL SACRO DA LEONARDO A NITSCH

La riduzione dell’immagine sacra a dispositivo è stata frequentissima. Pensiamo all’Ultima Cena di Leonardo. In Last supper (1986) Warhol utilizza l’affresco di Leonardo come dispositivo altrettanto popolare di quello di un lucido da scarpe inserito tra gli scaffali di uno store di periferia. Anche Jesus is my homeboy (2003) di David LaChapelle è un dispositivo collocato questa volta nel mondo del fashion che il fotografo americano frequenta da sempre. Più di recente è arrivata un’Ultima cena (2022) in NFT, opera di Giuseppe Veneziano: che si tratti di Leonardo, Raffaello o Botticelli, per Veneziano il repertorio dell’iconografia cristiana fa parte delle forme della storia dell’arte occidentale da cui attingere senza alcuna differenza.
È ancora Beltrami nel suo saggio a suggerire un altro spunto notevole: “Vale la pena sottolineare come le dimensioni del sacro abbiano svolto un ruolo importante nella storia delle performance. È centrale, ad esempio, in Gina Pane, in cui ritornano in modo costante il motivo della croce, il dono di sé, il corpo sofferente del martirio. Il suo è il concettuale più incarnato che si possa immaginare”. Il termine “sciamanico” è certamente più appropriato di “sacro” per definire i rituali di Hermann Nitsch? Autentiche azioni misteriche, le stesse “performance” che il cristianesimo nei secoli ha provato a controllare sovrapponendo i racconti di santi a magie popolari o a mitologie mediterranee o celtiche.

Debora Hirsch per il Duomo di Cosenza

Debora Hirsch per il Duomo di Cosenza

DAL BAROCCO ALL’ARTE CONTEMPORANEA

Una riflessione conclusiva va fatta infine a partire dall’Estasi di Santa Teresa di Bernini. Alla Controriforma e al Barocco è impossibile negare una straordinaria serie di evoluzioni rispetto al dettato precedente. Nella scultura di Bernini, Dio si rivela attraverso il fremito di un corpo femminile, fremito in precedenza negato all’icona assoluta del cristianesimo, la “misteriosa” Maria che vergine dà alla luce un bambino. Diviene quindi naturale interrogare opere prodotte da artiste contemporanee, “donne” a cui in passato il pregiudizio religioso ha impedito di esprimersi pubblicamente. Due esempi. Nell’arazzo preparato da Debora Hirsch per la Cattedrale di Cosenza un corpo giacente con il petto scoperto è raggiunto da un raggio proveniente dall’alto. Difficile discernere se il raggio che attraversa in diagonale l’intera opera sia prodotto da un miracolo o dalla tecnologia. Al centro della composizione una forma organica interpretabile come un fiore o una vagina. Né si creda che la sovrapposizione tra soprannaturale e tecnologico sia una sua intuizione esclusiva. Lo straordinario arazzo di Grazia Toderi posto lì a fianco presenta su fondo rosso due puntatori bianchi, quelli che i droni da guerra prima di scegliere la traiettoria distruttiva utilizzano per identificare l’obiettivo. Il titolo dell’opera è Il miracolo della peste. Ma in un caso e nell’altro la riflessione si svolge intorno alla traiettoria che un’entità “superiore” rivolge verso il basso.

Aldo Premoli

Versione integrale dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #69

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua 
inserzione sul prossimo Artribune 

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

Scopri di più