La Vucciria di Renato Guttuso a Palermo. Il nuovo allestimento

Il critico e curatore Antonio Grulli mette in luce pregi e soprattutto difetti dell’allestimento dell’opera di Renato Guttuso nella sede dell’Università di Palermo

Ho visitato di recente Palazzo Chiaramonte-Steri a Palermo per vedere il dipinto della Vucciria (1974) di Renato Guttuso. C’ero già stato quest’estate, assieme a un gruppo di pittori con cui stavo realizzando una mostra. L’opera si trova all’interno della sede dell’Università di Palermo, a cui il pittore l’aveva donata negli Anni Settanta.
Il palazzo è quanto di più legato alla storia degli ultimi secoli della città: è come una gigantesca spugna architettonica e urbanistica che ha assorbito, rilasciando solo in parte, tutta la sua gloria, la sua miseria e i suoi umori. Nasce come palazzo fortilizio e quartier generale dell’allora famiglia più potente di Palermo, i Chiaramonte, e dopo la caduta in disgrazia di questi ultimi diventa carcere dell’Inquisizione (è ambientato al suo interno il capolavoro Morte dell’inquisitore, scritto da Leonardo Sciascia nei primi Anni Sessanta), archivio e moltissime altre cose, prima di essere recuperato dall’Università con un magistrale restauro grazie a un team di architetti di cui ha fatto parte Carlo Scarpa. Circa un secolo fa è stato rinvenuto nelle celle dell’Inquisizione un ciclo di graffiti unico e quasi incredibile realizzato dai carcerati.

LA VUCCIRIA DI GUTTUSO A PALERMO

La Vucciria è probabilmente il più famoso dipinto di Guttuso e il suo capolavoro. È l’opera simbolo della città e per Goffredo Parise un simbolo dell’Italia intera. Renato Guttuso è da considerare uno degli artisti storicamente più significativi in Italia nella seconda metà del secolo scorso. Siamo di fronte quindi a una vera opera canonica, in grado di andare oltre le proprie qualità artistiche per farsi anima di una collettività.

Il dipinto è stato inserito in una parete che lo incornicia, in una stanza completamente nera.

Ma veniamo al punto di questo articolo. Di recente è stato inaugurato il nuovo allestimento. La collocazione, in un vano ricavato nell’ex sala d’armi del palazzo, è perfetta e risale se non sbaglio al 2004. Il dipinto è stato inserito in una parete che lo incornicia, in una stanza completamente nera. La soluzione cromatica è convincente, il quadro ne beneficia, e si crea la giusta atmosfera. Si tratta di una scelta perfetta anche considerando la “temperatura” dell’opera: Cesare Brandi in un suo famoso testo parla di “quadro nero”, in cui il nero diventa lo sfondo psicologico su cui sono adagiate tutte le cose e in cui si muovono le figure presenti. La ricchezza della scena si accompagna quindi a un profondo senso di morte. Sulle pareti circostanti una fitta serie di apparati e piccoli video contestualizza e spiega l’opera e la sua storia; forse si poteva mantenere una qualche distanza di rispetto dal quadro, ma tutto sommato non disturbano troppo.

I PUNTI DEBOLI DELL’ALLESTIMENTO

Il vero punto drammatico del nuovo allestimento riguarda tutto ciò che è stato fatto sulla “pelle” dell’opera. Nella stanza un impianto audio trasmette senza sosta la registrazione di voci campionate molti anni fa in Vucciria, con i caratteristici strilli dei venditori del mercato. Ma non solo: un’illuminazione dinamica si accanisce sul dipinto cambiando continuamente, accendendosi su alcune zone e lasciandone altre in ombra, per poi dopo pochi secondi spostarsi su nuovi punti. È praticamente impossibile concentrarsi sul quadro in mezzo a tutto questo “rumore”.

Un’illuminazione dinamica si accanisce sul dipinto cambiando continuamente.

Penso sia importante sottolineare (mai dare nulla per scontato) che se Guttuso avesse voluto la Vucciria immersa in un ambiente teatrale lo avrebbe fatto. Se non ha donato all’Università anche un set di luci e dei nastri audio un motivo doveva esserci. Ma non è la prima volta che assisto a questo trattamento per un’opera e un artista. Mi è capitato molte volte negli ultimi anni (soprattutto nel ripensamento dell’illuminazione di monumenti ed edifici importanti dei centri cittadini), e penso sia qualcosa da affrontare proprio per il suo essere sintomatico dei tempi.

PITTURA VS MULTIMEDIALITÀ

Si intuisce in questo tipo di allestimenti come la fissità e la bidimensionalità delle opere d’arte vengano viste come un limite, una deficienza rispetto a nuovi linguaggi come il cinema, internet o le proiezioni multimediali (magari basate sul mapping) tanto amate dalle amministrazioni comunali d’Italia.
Raffaello non è vecchio perché è “fermo”: la stasi della pittura è la sua forza, è proprio ciò che ci permette di andare a fondo in quegli abissi insondabili che sono i grandi capolavori arrivati fino a noi, senza essere distratti da luci e suoni. È come sostenere che i romanzi siano una forma d’arte minore del cinema perché privi di immagini, di suoni e di movimento. I limiti di ogni arte sono ciò di cui è fatta l’arte, ciò che la fa grande, e non il suo punto debole.

È giusto sperimentare negli allestimenti: si può e deve essere talvolta coraggiosi.

Nel caso della pittura, poi, la “stasi”, unita alla bidimensionalità, è ciò che ci permette di entrare in contatto con il profumo dell’eterno: vi è un mondo in continuo cambiamento ma qualcosa di immutabile è presente, e alcune persone speciali, i pittori, riescono a squarciare il velo e a mostrarci davvero la permanenza dell’anima delle cose. L’allestimento di un dipinto di tale portata dovrebbe permetterci di cogliere questo. Lasciare il dipinto “da solo”, lasciare che parli da sé, non è poco, è proprio quello che dobbiamo fare; ne ha la forza, non abbiate paura.
Non intende essere un attacco all’operato dell’Università di Palermo. In primis bisogna anzi lodarla per la scelta fatta nel dare una collocazione appropriata all’opera. È giusto sperimentare negli allestimenti: si può e deve essere talvolta coraggiosi. Ma penso sia giusto che attorno a questi esperimenti nasca un dibattito e che sia possibile e doveroso ricalibrare alcune scelte. Credo che l’Università possa accettare questa riflessione come onesto contributo intellettuale, anche in quanto luogo pubblico di ricerca, dibattito ed evoluzione.

Antonio Grulli

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