L’arte di Lucio Fontana incontra la critica di Carla Lonzi

Alla Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma, vanno in scena non solo le opere di Lucio Fontana, ma anche la preziosa intervista da lui rilasciata a Carla Lonzi, rivoluzionaria della critica d’arte

La mia scoperta è stata il buco e basta: io son contento anche di morire dopo quella scoperta”.
È una frase pronunciata da Lucio Fontana (Rosario di Santa Fe, 1899 – Comabbio, 1968) nel corso di un’intervista concessa a Carla Lonzi (Firenze, 1931 – Milano, 1982) il 10 ottobre 1967. Ed è pure la frase conclusiva dei pannelli che illustrano la mostra Lucio Fontana. Autoritratto alla Fondazione Magnani Rocca, a pochi chilometri da Parma.
È merito di uno dei curatori, Gaspare Luigi Marcone, aver recuperato l’intervista integrale, poi pubblicata nel 1969 tra le pagine di Autoritratto della stessa Lonzi, volume che ha ispirato evidentemente il titolo della rassegna. La registrazione, presa con un allora avanguardistico magnetofono, dura un’ora e mezza, può essere ascoltata per intero in una saletta della villa di Mamiano ed è il punto di partenza di un progetto espositivo solido, che ricostruisce i pensieri espressi dall’artista attraverso le sue opere, molte delle quali provenienti dalla Fondazione Lucio Fontana, che non è stata certo avara nella concessione dei prestiti.
La Fondazione ci ha offerto il suo imprescindibile supporto e il prestito di opere capitali”, dichiara Stefano Roffi, direttore scientifico della Magnani Rocca. “Ma l’esposizione consente di far conoscere anche importanti presenze ‘fontaniane’ nel nostro territorio. Il progetto ha fin dall’inizio riscontrato l’adesione di istituzioni e collezionisti privati che non hanno esitato a far uscire lavori importantissimi dalle proprie sale, in particolare lo CSAC dell’Università di Parma che la signora Teresita, vedova dell’artista, individuò come destinatario di una importante donazione; e poi la Biblioteca Fondazione Cariparma di Busseto, Donazione Corrado Mingardi, che ha prestato il prezioso libro di Sinisgalli contenente due ‘Concetti spaziali’ di Fontana; la Collezione Barilla di Arte Moderna, con uno spettacolare ‘Taglio’ dei primi Anni Sessanta, e infine Giampaolo Cagnin, che offre alla pubblica ammirazione la grandezza di Fontana plastico con la ‘Trasfigurazione’”.
Allestita nella dimora dove si conserva l’eccellente raccolta d’arte di Luigi Magnani, la mostra può essere considerata un nuovo capitolo di approfondimento del Novecento italiano: “Magnani amava tanto Morandi e Cézanne perché pura forma”, precisa Roffi, “pura ricerca concettuale, senza contenuto narrativo. Si può pensare a Fontana come completamento ideale della sua ricerca: l’abbandono definitivo della materia in favore di una sintesi artistica e di una scoperta della luce che permette di scorgere il divino senza antitesi con la scienza, ma con il suo ausilio”.

Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese, 1961, idropittura su tela, 100x84 cm. Collezione Barilla di Arte Moderna, Parma

Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese, 1961, idropittura su tela, 100×84 cm. Collezione Barilla di Arte Moderna, Parma

FONTANA IN MOSTRA A PARMA

Negli Anni Trenta, Lucio Fontana era ancora un artista figurativo: la sua esperienza nell’atelier del padre in Argentina, dove realizzava sculture per monumenti funebri, lo rese padrone nella lavorazione della materia. La mostra prende così il via con una testa di ragazza del 1931 che fa capolino sotto la magnifica Sacra conversazione di Tiziano, ma muovendo qualche passo nella prima sala ci si rende subito conto del progressivo abbandono, da parte di Fontana, della riproduzione fedele della figura, privilegiando forme organiche smaltate, colorate e lucide, come dimostra la già citata Trasfigurazione del 1949. Nelle vetrine si espongono i manifesti scritti da Fontana, a partire dal Manifiesto Blanco del 1946, che pose le basi dello Spazialismo, quel movimento che lo consacrò maestro di una rivoluzione artistica imprescindibile dalle scoperte scientifiche dei decenni precedenti: la relatività di Einstein, la fisica quantistica, l’affermazione dell’atomismo. Tutt’attorno si dispongono alcune sculture “astratte” realizzate su vari materiali, dalla terracotta alla latta, e uno dei primi Concetti spaziali, del 1949, in cui Fontana pratica i buchi direttamente sulla tela grezza.
Chi allestisce le mostre alla Fondazione Magnani Rocca sa bene dove collocare il capolavoro dall’impatto visivo e semantico più importante: sulla parete di fronte alla scala che scende nel cuore del percorso espositivo. Ebbene, quel punto strategico e magnetico è oggi occupato da Attesa del 1965, opera non solo straordinaria, ma che nasconde una storia assai interessante: esposta alla Biennale di Venezia del 1966 come parte di un Ambiente spaziale, fu poi donata dallo stesso artista subito dopo l’alluvione che devastò Firenze nel medesimo anno; l’invito venne da Carlo Ludovico Ragghianti, intenzionato a organizzare una mostra e un museo di arte contemporanea. Ma a proposito di questo e degli altri “tagli” di Fontana, un passaggio dell’intervista con Carla Lonzi è illuminante: “Il taglio lo faccio perché poi, sai, c’è un mercato al quale noi siamo soggetti purtroppo, ancora, perché ci sono i mercanti, i collezionisti li cercano e io li faccio…”.

Lucio Fontana. Autoritratto. Exhibition view at Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo 2022. Photo Tommaso Crepaldi

Lucio Fontana. Autoritratto. Exhibition view at Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo 2022. Photo Tommaso Crepaldi

SCATTI MEMORABILI E UNA COLLEZIONE DI PRIMIZIE

Accanto ad altri capolavori, non si possono non notare due serie di fotografie scattate da Ugo Mulas e che il terzo curatore, Walter Guadagnini, approfondisce in catalogo. Fontana sta per tagliare una tela o sta facendo i suoi buchi, e si scopre che la prima serie non è ripresa dal vivo bensì mediante una messinscena: “Se mi riprendi mentre faccio un quadro di buchi”, dice l’artista al fotografo, “dopo un po’ non avverto più la tua presenza e il mio lavoro procede tranquillo, ma non potrei fare uno di questi grandi tagli mentre qualcuno si muove attorno a me”.
Non ci si può non fermare e meditare sull’infinito e sulla divinità, di fronte alle opere di Fontana”, ci confida ancora Stefano Roffi, e la grande sala centrale della mostra, con il perfetto equilibrio dei lavori scelti tra il Fiocinatore del 1933, Natura del 1959-60, il luminosissimo New York su rame del 1963, è l’ambiente perfetto per una comprensione profonda ed empatica delle ricerche dell’artista.
La conclusione del percorso spinge lo sguardo in due diverse direzioni: al futuro, grazie ad alcune opere provenienti dalla collezione privata di Lucio Fontana, il quale ai suoi tempi acquistava – con evidente intuito – numerose “primizie” di quei giovani artisti che oggi consideriamo giganti: Piero Manzoni, Alberto Burri, Giulio Paolini, Paolo Scheggi. L’ultima direzione, che a dire il vero apre ulteriori percorsi di riflessione, è la Fine di Dio: un grande ovale, un uovo perfetto che inevitabilmente richiama la vita, con la sua superficie luccicante e purpurea, ma che con i suoi buchi riporta a una spiritualità e a una tensione verso l’infinito, a un nuovo “divino” da cui le opere di Lucio Fontana non possono prescindere.

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1951, olio, sabbia e buchi su tela, 60 x 59 cm. Milano, Fondazione Lucio Fontana. © Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2022

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1951, olio, sabbia e buchi su tela, 60 x 59 cm. Milano, Fondazione Lucio Fontana. © Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2022

CARLA LONZI INTERVISTA LUCIO FONTANA

L’incontro tra Lonzi e Fontana è davvero una soglia, entrambi dopo poco tempo lasceranno in modo diverso il mondo dell’arte donando però un’eredità monumentale”, commenta Gaspare Luigi Marcone nel catalogo della mostra. Carla Lonzi infatti abbandonò poco dopo la critica d’arte per dedicarsi a istanze femministe, ma prima intervistò numerosi artisti, consentendo loro di parlare liberamente e ponendo solo di rado domande puntuali. Nel flusso narrativo che ne deriva, Lucio Fontana non si risparmia e rivela la sua poetica, il rapporto con l’arte contemporanea (quella dei giovani che stimava, ad esempio), gli aspetti tecnici ma soprattutto filosofici del suo lavoro. Non risparmia nemmeno giudizi a dir poco tranchant, e che ora sono spassosissimi da leggere e da ascoltare: Jackson Pollock è un “macaco”, Emilio Vedovail primo elettricista d’Italia”. Ma quel che davvero emerge è la necessità di andare oltre la materia dell’opera d’arte, un’esigenza dettata dalla “scoperta del cosmo”, dalle riflessioni su Dio, dal senso di solitudine dell’uomo che solo da pochi anni era capace di esplorare uno spazio ricolmo di silenzio atroce e angosciante. “E allora io buco questa tela, che era alla base di tutte le arti, e ho creato una dimensione infinita”, chiosa l’artista.

Marta Santacatterina

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #28

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua 
inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

Scopri di più