L’arte sudafricana e la questione dell’identità: la Joburg Contemporary Art Foundation

La nostra ricognizione sul panorama artistico-culturale africano fa tappa a Johannesburg, dove è stata da poco inaugurata la Joburg Contemporary Art Foundation

Nel dinamico panorama culturale sudafricano nascono continuamente nuove realtà. Fra queste, anche la Joburg Contemporary Art Foundation di Johannesburg. Il direttore Clive Kellner racconta una scena artistica contemporanea che ancora combatte le ombre dell’Apartheid e lavora per affermare e raccontare una complessa identità multiculturale.

Come è nata e come viene finanziata la Fondazione?
La Fondazione è stata creata per un impegno filantropico a sostegno dell’arte contemporanea sudafricana attraverso la creazione e la diffusione della conoscenza prodotta nel e dal Sud del mondo. Il modello istituzionale per la JCAF è nato da un rigoroso processo di indagine sui vari esempi di musei e fondazioni d’arte che riflettono sulla domanda: “Come dovrebbe essere un nuovo museo in Africa, oggi?”. Questo processo ha portato a un approccio innovativo che comprende un organismo senza una collezione permanente che presenta mostre curate da personale interno, affiancate dalla ricerca e utilizzando la tecnologia interattiva per presentare l’arte e le idee del team al nostro pubblico. JCAF si trova a Johannesburg, una città dinamica che si reinventa costantemente. È il principale centro economico del Sudafrica e una porta d’accesso al continente africano. La Fondazione è divisa in una società e in un’organizzazione senza scopo di lucro, ed è sostenuta finanziariamente dai soci fondatori.

Quali sono gli scopi della Fondazione?
In quanto nuova istituzione artistica, situata a Johannesburg e nel continente africano, l’obiettivo della Fondazione è creare e presentare un discorso artistico e culturale di respiro globale nel Sud del mondo. Per raggiungere questo obiettivo, la Fondazione è stata pensata come una nuova istituzione modello che unisce mostre di livello museale alla tecnologia e alla ricerca. Abbiamo cominciato l’attività nel febbraio 2020 con la conferenza Lecture from the Global South, tenuta dall’accademico Arjun Appadurai. JCAF ha successivamente curato e presentato la mostra inaugurale, Contemporary Female Identities in the Global South (2020), e adesso ospitiamo la seconda mostra, Liminal Identities in the Global South. La terza mostra, Modernist Women’s Identities in the Global South, è prevista per il 2022. Le tre mostre costituiscono il nostro primo tema di ricerca: Female Identities in the Global South, che in questi tre anni si concentra esclusivamente sulle artiste donne.
Nello sviluppo di un nuovo modello istituzionale per la Fondazione, abbiamo voluto un approccio che favorisca un incontro “personalizzato” tra il singolo visitatore e le nostre mostre. Di conseguenza non ci sono pannelli didattici o testi murali a mediare fra opera esposta e individuo; preferiamo invece impiegare una metodologia che dia la precedenza al guardare le opere d’arte e rifletterci in autonomia; a questo il visitatore può aggiungere un’eventuale visita guidata e un’app per ogni mostra che fornisce contenuti specifici su ciascun artista e opera d’arte, consentendo così un coinvolgimento molto più profondo per i visitatori.

L’edificio che ospita la Fondazione ha una storia particolare: qual è?
Si tratta di un palazzo storico classificato, che fra il 1906 e il 1961 ospitava l’officina per le riparazioni dei tram elettrici di Johannesburg, dopodiché è diventato una stazione di smistamento dell’energia elettrica. Nel loro progetto di restauro, gli architetti di StudioMAS hanno preservato le caratteristiche storiche dell’edificio, mentre intervenivano con delicatezza aggiungendo nuovi elementi architettonici, determinando così un interessante dialogo tra passato e presente. La ristrutturazione dell’edificio è durata tre anni. Abbiamo mantenuto molte delle caratteristiche originali, tra cui il suo particolare colore rosso ossidato, le grandi porte in acciaio (ora utilizzate per gli uffici) e le “teste a tramoggia” sui tubi di scarico. Lo spazio della galleria principale risponde agli standard museali e comprende un sistema di ventilazione speciale HVAC, un impianto antincendio a gas inerte e la sorveglianza digitale.

Clive Kellner, direttore JCAF. Photo Graham Lacy

Clive Kellner, direttore JCAF. Photo Graham Lacy

GLI ARTISTI AFRICANI E L’APARTHEID

Pensa che la vergogna dell’Apartheid abbia ancora un’influenza sulla vita quotidiana in Sudafrica?
Purtroppo gli effetti dell’Apartheid sono ancora evidenti nella società sudafricana contemporanea, socialmente e strutturalmente. Per molti versi la situazione odierna è una combinazione dell’eredità del colonialismo, degli effetti dell’Apartheid e della ricerca di una nuova identità nazionale africana. Dall’inizio della nostra democrazia nel 1994, il Sudafrica ha attraversato diversi fasi politiche: la “Nazione Arcobaleno” di Mandela, il “Rinascimento” di Mbeki e, più recentemente, una forma di realpolitik in cui vengono affrontati molti dei precedenti effetti del colonialismo e dell’Apartheid, che vanno dalle questioni economiche e sociali fino alla questione della razza. Il Sudafrica ha undici lingue ufficiali e altrettante etnie. Pertanto, la questione predominante oggi ha a che fare con la rappresentazione (e i diritti ‒ il diritto all’informazione, all’istruzione, ecc.). È una nazione in trasformazione, e sebbene ci siano molte sfide, credo che l’arte e la cultura possano svolgere un ruolo significativo nella trasformazione della società dando espressione a un insieme più profondo di valori umani che sono centrali per la nostra democrazia multietnica e multiculturale.

Cosa sta facendo, in generale, li governo sudafricano per sostenere la cultura nel Paese?
Preferisco non commentare l’impegno della politica per la cultura, tuttavia è importante notare che c’è stata una crescita esponenziale della sensibilità e dell’impegno del settore privato a favore della cultura, in particolare sono sorti nuovi musei d’arte, diverse case d’asta, fiere d’arte e gallerie.

Quanto è forte il neocolonialismo? Ci sono giovani artisti africani che stanno affrontando questa nuova emergenza attraverso il loro lavoro?
In termini di neocolonialismo, credo che gli artisti ne siano meno colpiti, a causa delle più ampie politiche macroeconomiche in atto tra gli Stati nazionali rispetto a un’influenza più diretta esercitata sui singoli artisti. Tuttavia, l’effetto del neocolonialismo è ancora presente in parti dell’Africa che hanno ancora forti legami con le loro ex potenze coloniali. Al contrario, il Sudafrica è colto in un momento postcoloniale, in cui le idee, le istituzioni e la cultura della decolonizzazione sono diventate più forti. Ciò si manifesta nelle opere di molti giovani artisti in cui è evidente la messa in discussione dei rapporti di potere, a volte in forme di attivismo o protesta, altre volte in rappresentazioni più poetiche di queste precise questioni.

La sede della Joburg Contemporary Art Foundation a Johannesburg. Photo Graham Lacy

La sede della Joburg Contemporary Art Foundation a Johannesburg. Photo Graham Lacy

I TEMI AFFRONTATI DAGLI ARTISTI AFRICANI

Avete programmi specifici dedicati ad alcuni temi centrali della nostra epoca, come i diritti umani, la democrazia, l’immigrazione, la tutela dell’ambiente?
Curiamo le nostre mostre e ricerche in base a un tema, all’interno di questo tema ci occupiamo di una serie di questioni e argomenti, sia di natura politica sia di natura civile, ad esempio migrazione, ambiente, colonialismo, ecc. Piuttosto che presentare questi problemi in un modo apertamente didattico, sono invece presentati poeticamente all’interno della programmazione curatoriale, ed emergono dalle idee e dalle pratiche dei singoli artisti. Inoltre, alcuni di questi problemi saranno ulteriormente esplorati nel nostro prossimo progetto a partire dal 2023.

State sviluppando il progetto Female Identities in the Global South. Cosa sta emergendo da questa ricerca? E quali sono i suoi scopi?
Si tratta di un progetto di ampio respiro, della durata di tre anni, e si concentra sulle artiste, principalmente riflettendo sull’importanza crescente dei ruoli delle donne all’interno della società. In secondo luogo riflettendo sulle sfide che le donne affrontano anche nell’arte, come la disuguaglianza e la violenza. Inoltre, dal nostro punto di vista, è importante raccontare lo straordinario contributo intellettuale e artistico delle artiste e delle donne architetto del Sudafrica e del Sud del mondo. Alla fine del progetto, pubblicheremo un diario che racconterà la tematica e le mostre annesse, con testi critici e saggi di studiose selezionate.

Più nello specifico, qual è il ruolo delle donne africane nell’arte?
Apparentemente uguale a quello degli artisti uomini, cioè produrre opere d’arte capaci di comunicare idee ed emozioni a un certo pubblico. Molte artiste del Sudafrica, del continente africano e della diaspora stanno producendo lavori critici che riflettono su una serie di questioni che sono in prima linea nel mercato dell’arte contemporanea. I problemi con cui si confrontano vanno da questioni globali più ampie come l’ambiente, la migrazione e la democrazia a quelle più personali, tra cui, fra le altre, la violenza di genere, l’identità e la mitologia. Ad esempio, il lavoro dell’artista di origine nigeriana Otobong Nkanga esamina le relazioni sociali e topografiche con l’ambiente attraverso fotografie, installazioni, sculture e performance. Gli interessi di Kapwani Kiwanga (nata in Canada) includono l’afrofuturismo e l’anticolonialismo. All’interno della mostra Liminal Identities in the Global South esponiamo Flowers for Africa di Kiwanga, un progetto che ha avviato nel 2011 e che guarda all’idea delle piante come osservatrici di eventi storici (come le cerimonie dell’indipendenza dei Paesi africani). Altre due importanti artiste sudafricane sono Berni Searle, la quale lavora con video, lens-based performance, installazioni e fotografie che scavano nella memoria dello spettro dell’Apartheid e riflettono su un più ampio paradigma post-coloniale; e Nandipha Mntambo, che produce installazioni, dipinti, sculture e fotografie che combinano il corpo dell’artista (riprodotto con manichini di pelle di vacchetta modellata) con la mitologia (greca e africana) per realizzare opere d’arte particolarmente suggestive e impattanti.

Ci sono urgenze cui gli artisti sudafricani sono particolarmente interessati? Ad esempio i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la tutela dell’ambiente?
L’arte contemporanea sudafricana, in linea generale, si concentra sulle questioni dell’identità. In molti casi gli artisti producono opere che riflettono sul corpo attraverso gesti performativi che evocano narrazioni politiche e poetiche. Si tratta in parte di opere “confessione”, che parlano di esperienze personali o esperienze altrui, toccando argomenti come genere, razza, antenati e immigrazione. Queste opere ritraggono il soggetto come centrale per la narrazione, spesso attraverso linguaggi come la fotografia, la performance e il video. Altri temi rimandano alla storia politica in Sudafrica e in Africa attraverso una lente postcoloniale esplorata con installazioni e archivi. Credo che ciò sia dovuto alla transizione politica dall’Apartheid al post-Apartheid, dove le questioni di identità e rappresentazione sono profondamente radicate e sono altamente simboliche. C’è stato un periodo dopo l’Apartheid in cui un numero significativo di artisti sudafricani si occupava delle questioni razziali, ambito in cui da un punto di vista curatoriale venivano formalmente inquadrati. Ci sono state diverse mostre internazionali che hanno cercato di ritrarre l’arte contemporanea sudafricana attraverso il punto di vista della “Nazione arcobaleno”, come Liberated Voices a New York e Colors a Berlino. Oggi, tuttavia, c’è una varietà assai più ampia nell’arte contemporanea sudafricana e una maggiore enfasi sulla pratica soggettiva individuale; è oggettivamente difficile definirla come qualcosa di omogeneo.

Niccolò Lucarelli

https://jcaf.org.za/

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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