Faccia a faccia con la pittura. Nella mostra di Paolo La Motta a Napoli

La Andrea Nuovo Home Gallery di Napoli ospita le riflessioni sulla pittura di Paolo La Motta.

Finestre sul quadro è il titolo della personale di Paolo La Motta (Napoli, 1972) in corso alla Andrea Nuovo Home Gallery a Napoli. Di differenti dimensioni, i 32 dipinti disposti sui due livelli dello spazio espositivo in via Monte di Dio esprimono l’essenza della produzione artistica di chi ha trovato un equilibrio, non affatto scontato, fra tecnica e sensibilità per tradurre su tela i ricordi di una vita fatti di paesaggi, scorci e storie.
Il percorso artistico di La Motta, pittore e scultore, è il risultato conseguito all’Accademia di Belle Arti a Napoli, ma soprattutto è un lavoro introspettivo maturato nel corso del tempo, dal Museo e Real Bosco di Capodimonte, il primo museo che ha visitato da ragazzo, alle mostre di Lucio Amelio e all’Istituto Francese Grenoble della città, fino ad arrivare al Louvre di Parigi, “un museo dove si annullano le distanze e i tempi storici”, precisa l’artista nel suo studio nel quartiere Sanità a Napoli.

LA MOSTRA DI LA MOTTA A NAPOLI

Per la mostra napoletana, non a caso, oltre ai lavori più recenti sono state scelte opere di diversi periodi e in ciascuna si respira un senso di vuoto, di riflessione e silenzio con tracce di malinconia, dove “ogni dettaglio diventa la costruzione per vedere l’insieme”.
E l’artista continua: “C’è un grande lavoro sulla memoria, anche grazie al cinema, in particolare di Michelangelo Antonioni, una passione che mi ha trasmesso mia madre. In questo progetto ci sono frammenti che raccontano il Museo Archeologico di Napoli, il Museo e Real Bosco di Capodimonte e Pompei antica; infatti è molto presente la pittura romana”.
Giochi di ombre, sguardi assenti e finestre senza imposte culminano in un senso di distacco dalla realtà che si percepisce in ogni produzione, dove i ricordi vissuti in una Napoli verace prendono forma nelle architetture e nei colori; a impreziosire la storia di ogni lavoro è il dettaglio. Per scoprire ogni dipinto, infatti, bisogna scrutarlo da vicino per coglierne il peso e comprenderne l’atmosfera, come in Sanfelice e l’impluvium, Pomeriggio, Portale, Scavi o, ancora, Apparizione e Finestra (Sanfelice).

Paolo La Motta, Sanfelice e l'impluvium, 2019, olio su tavola, cm 80x60

Paolo La Motta, Sanfelice e l’impluvium, 2019, olio su tavola, cm 80×60

PAROLA A PAOLO LA MOTTA

In questa mostra ci sono le tue radici: c’è Napoli, in particolare molti dettagli che raccontano alcuni luoghi del Rione Sanità. Perché?
Il primo approccio con l’arte l’ho avuto a Palazzo Sanfelice dove, al secondo piano, ho frequentato le elementari in una scuola privata. Ricordo che di pomeriggio ascoltavamo i pianoforti suonare perché nelle vicinanze c’era chi li accordava e capitava spesso che proiettassero anche dei film nel cortile. Poi, per caso, a quattordici anni ho scoperto l’arte più da vicino quando, per una serie di circostanze, mi iscrissi al liceo artistico. Dopo qualche mese capii che dovevo fare l’artista e ricordo che comprai tre colori a tempera per fare i ritratti, e così iniziai a interessarmi sempre più alle Avanguardie.

Quanto è stato determinante il quartiere per la tua produzione?
Molto. Ci sono angoli e palazzi con gli impluvium che ogni volta mi fanno sentire un’emozione diversa. Sono una persona molto curiosa e nella mia ricerca metto insieme aspetti che magari sembrano lontani, ma che in realtà hanno un loro senso. Lavoro sul tono, sulla composizione, sul suono; infatti dico spesso che il ‘quadro suona’, segue leggi che non so codificare perché è un’espressione spontanea.

Cosa ti spinge a ritrarre un dettaglio piuttosto che un altro?
Mi piace il fatto che nella pittura ci sia una sorta di spiazzamento legato a figurazione o non figurazione. Esprimo questa contraddizione con la pittura, dove cerco un cortocircuito per far emergere un linguaggio nuovo, utile a trasmettere quello che voglio. Il rapporto tra immagine e conoscenza oggi è molto veloce grazie a internet, e non è un aspetto negativo, perché fa emergere una nuova forma di ricerca, di rapportarsi con l’apprendimento. In ogni mia produzione c’è un’attenzione importante allo spazio e alla costruzione delle immagini. Ci sono elementi geometrici costanti e poi c’è quel mistero, quella spazialità metafisica che dà l’idea di sospensione, come le figure che rappresento, i cui volti sono elementi di “passaggio”.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Mi piacerebbe realizzare una mostra con artisti anonimi e dare voce anche ai giovani; gli studenti del mio laboratorio di ceramica hanno molto talento e credo sia importante offrire loro un input giusto per sensibilizzarli all’arte. E poi in programma, ancora da definire, c’è una mostra a Bruxelles grazie alla Galerie Mercier, dove ho esposto nel 2019 a Parigi, e fino a settembre è in corso Capodimonte incontra la Sanità al Museo e Real Bosco di Capodimonte, in cui i volti dei ragazzi raccontano speranze e territorio. Tra i ragazzi c’è anche Genny Cesarano (vittima innocente della Camorra nel 2015), a cui dedicai nel 2007 un polittico e una scultura in terracotta acquistati poi dal Museo di Capodimonte.

Fabio Pariante

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Fabio Pariante

Fabio Pariante

Docente e giornalista freelance, è laureato magistrale in Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea con tesi in Studi Interculturali dal titolo "La Primavera Araba nell’era del web 2.0: il ruolo dei social network". Nel 2011, con il patrocinio della…

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