Biennale di Venezia. Un viaggio tra le memorie del colonialismo

Storia e colonialismo sono due entità indagate da tre protagonisti della Biennale a cura di Christine Macel. Marcos Ávila Forero, Lisa Reihana e Tracey Moffatt restituiscono un mosaico di prospettive su dinamiche storiche complesse e trasversali.

La Biennale è un contenitore di “Tracce”, tracce di storie individuali e di Storia. L’ingresso delle nuove nazioni porta il suo contributo di memorie e rinnova ogni volta la responsabilità dell’Occidente nello stravolgimento del mondo. Tre bei lavori sparsi in diverse sezioni della Biennale ricordano tre storie diverse.
Il colombiano Marcos Ávila Forero lavora d’abitudine con situazioni socio-politiche particolari e indaga le peculiarità di comunità separate, sradicate e poi rimaste isolate a causa dei conflitti fra i governi colombiani e le guerriglie di dissidenti. Trascorre parte del tempo in Amazzonia e realizza collaborazioni insieme utopiche e concrete con le popolazioni. Il progetto Atrato, nome di un fiume dell’Amazzonia colombiana divenuto nel tempo luogo di passaggio dei conflitti armati, instaura un rapporto con una comunità afro-colombiana, resto di antiche deportazioni schiaviste poi isolate nel perpetuo terremoto politico dell’America Latina. Abili percussionisti, nel passato suonavano il tamburo nel (con il) fiume. Questa tradizione poi persa era di origine congolese e l’autore la riscopre e la ricrea con gli abitanti della comunità. Un video mostra il risultato di questo lavoro relazionale: con l’aiuto di percussionisti professionisti si suona il tamburo percuotendo l’acqua del fiume immersi nell’acqua stessa. C’è un tema musicale: descrivere i conflitti in atto. Una performance affascinante mischia i corpi con l’elemento acustico/acquatico e l’acqua suona veramente come un tamburo. Il risultato è un’operazione di scavo culturale che fa rivivere Storia, memoria e cultura negli spazi dell’Arsenale.

LISA REIHANA E L’EREDITÀ MAORI

L’artista Lisa Reihana (di discendenza Maori e protagonista del Padiglione della Nuova Zelanda) parte dalle capacità rappresentative del cinema per raccontare l’incontro fra James Cook e i Maori, incontro in cui si indovina la successiva conquista della Nuova Zelanda da parte dell’Inghilterra. In Pursuit of Venus (infected) parte da una carta da parati dell’epoca (Les sauvages de la Mer Pacifique) in cui vengono illustrati in modi decorativi e piacevoli i paesaggi e i costumi dei Maori. La Reihana inizia un lavoro complesso di sovrapposizione di veri filmati in costume collocati su fondali dipinti con tecniche di semi-animazione, postproduzione ed effetti speciali di grande effetto. Una strategia da “libro animato” viene applicata su circa trenta metri di schermo con esiti sorprendenti. Come in un Diorama o Panorama del pre-cinema.

Il paesaggio scorre davanti ai nostri occhi senza interrompere l’animazione delle figure, un racconto che sotto le apparenze gradevoli mette in scena i brutti episodi (raccontati dallo stesso Cook) di incomprensioni reciproche, di violenze e infine di uccisioni in cui la visione illuminista del viaggio si sgretola nella sua realtà, il colonialismo. Qualche anno dopo arriveranno altre navi molto più armate dall’Inghilterra che conquisteranno l’intero territorio neozelandese. L’ingegnosità visiva della narrazione colloca il lavoro nella dimensione di una forma/cine-video superiore per impegno tecnico/linguistico a molti video presenti nella mostra.

57. Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia 2017, Padiglione Australia, Tracey Moffatt, My Horizon. Courtesy Australia Council for the Arts

57. Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia 2017, Padiglione Australia, Tracey Moffatt, My Horizon. Courtesy Australia Council for the Arts

LA MIGRAZIONE SECONDO TRACEY MOFFATT

Tracey Moffatt è stata in arte la “coscienza drammatica” della storia australiana. La colonizzazione del Paese si è dimostrata meno difficile di altre, i nativi erano piccole realtà tribali sparse nel continente. Verranno parzialmente distrutti salvo finire nei ghetti delle periferie urbane. Nel lavoro della Moffatt presentato al Padiglione nazionale ai Giardini, la coscienza del torto e della diversità è sottile, mentale, come nel cinema del regista Peter Weir, (Picnic a Hanging Rock, L’urlo). È ugualmente forte il senso di un mistero naturale e primitivo che viene raccontato in serie fotografiche o short film, dove gli aborigeni sono presenza carnale e la Natura è misteriosa e inconoscibile, persa in un passato ancestrale. Il sentimento fortemente drammatico dei lavori si esprime bene nelle immagini misteriose di case abbandonate nel deserto australiano, ombre al tramonto, e in una narrazione frame by frame sempre enigmatica. La serie Vigil è la più scoperta e immediata nella sua denuncia, famosi attori del cinema hollywoodiano guardano verso qualcosa all’esterno del fotogramma. Sono scene di thriller Anni Cinquanta di forte impatto emotivo. Appaiono infine le drammatiche immagini che guardavano: sono i barconi dei migranti con i loro contenuti di disperazione, problema loro come nostro. Ma una dimensione più inquietante e complessa è quella della ricomposizione di una serie di foto, spezzoni, collage d’immagini del passato, The White Ghosts Sailed In. Sono immagini storiche dell’Australia e il fatto di ricostruire un’unità identitaria sembra essere ancora per gli australiani un problema centrale dopo più di 200 anni di colonizzazione.

Lorenzo Taiuti

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Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti ha insegnato corsi su Mass media e Arte e Media presso Academie e Università (Accademia di Belle Arti di Torino e Milano, e Facoltà di Architettura Roma). È esperto delle problematiche estetiche dei nuovi media. È autore di…

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