Guido Reni in giro per Roma in cinque opere

La grande mostra dedicata al pittore secentesco Guido Reni dalla Galleria Borghese di Roma può essere un’ottima occasione per scoprire altri capolavori dell’artista conservati nella Città Eterna. Qui ve ne suggeriamo alcuni

Venite, vi prego, ad ammirare i dipinti di Guido […]. Egli credette che così come la luce del giorno è più gradevole delle tenebre della notte, così la maniera dolce e graziosa di cui si servì nelle sue opere, fosse assai più piacevole di quella oscura e difforme che si ritrovava nelle opere dei suoi antagonisti”. Con queste parole lo storico André Félibien delimitava, nei suoi Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes (1666-68), una netta distanza tra il pittore bolognese Guido Reni (Bologna, 1575-1642) e il naturalismo di Caravaggio e dei suoi seguaci. Il giorno e la notte, la bellezza e la difformità: un’opposizione ideologica e tranchant che però semplifica (e molto) la rivoluzione pittorica che si consuma a Roma nei primi anni del XVII secolo, animata in realtà da una compresenza più complessa di tendenze e sentimenti, che cambierà la storia dell’arte.
Tutto inizia con l’arrivo in città di due artisti provenienti dall’Italia settentrionale, Annibale Carracci e Caravaggio, che fanno piazza pulita della tradizione manierista ed elaborano un linguaggio, presto esportato dai loro seguaci in tutta Italia e in Europa, che segnerà la strada per l’arte dei due secoli successivi. Annibale, portatore di un recupero del classico rinvigorito dalla lezione della pittura veneta e parmense. Caravaggio con il suo tormento, le sue luci teatrali, il suo realismo. Eppure uniti nella ricerca di un nuovo naturalismo sensuoso e umano, oltre che da stima e rispetto reciproci.
È importante partire da questa premessa per spiegare il ruolo e l’originalità di Guido Reni, grande discepolo dei Carracci. Passato per un breve apprendistato bolognese presso il manierista fiammingo Denys Calvaert, e poi per l’Accademia degli Incamminati dei Carracci, nei suoi anni romani tra il 1601 e il 1614 Guido Reni (insieme con gli altri emiliani Giovanni Lanfranco, Domenichino e Francesco Albani) raccoglie le più importanti commissioni pittoriche, tra dipinti privati e cicli di affreschi in chiese, ville e palazzi. Il comune orientamento classico, il modello raffaellesco e il nuovo rapporto con il naturale, però, non limitano l’interpretazione e la sensibilità individuale di ognuno.
Alla Galleria Borghese è in corso, fino al 22 maggio 2022, la mostra Guido Reni a Roma. Il sacro e la natura, a cura della direttrice Francesca Cappelletti, incentrata sulla recente acquisizione di una Danza campestre (1605 circa) che getta nuova luce sulla attività di paesaggista del bolognese. Ma, oltre la mostra, l’itinerario alla ricerca dei lavori di Guido Reni a Roma può proseguire alla scoperta di luoghi e opere straordinari, dai più famosi ai meno noti. All’ingresso del museo, infatti, si può scaricare una mappa curata da IFEXPERIENCE che guida i visitatori tra i luoghi romani dell’artista; mentre è di prossima uscita in libreria il volume di Marsilio Guido Reni a Roma. Itinerari a cura di Romeo Pio Cristofori e Lara Scanu, che fornisce una guida a ventidue luoghi e ventisette opere dell’artista con le informazioni iconografiche e storico-artistiche, e approfondimenti che collegano Guido al contesto cittadino e all’attualità.
E allora, lasciando a queste belle iniziative il compito di offrire una panoramica completa (e ai lettori la curiosità di scoprirle), proviamo a cogliere l’essenza del lavoro di Guido Reni attraverso una selezione di opere emblematiche. Scopriremo così che il nostro pittore, da personalità inquieta quale era (a dispetto di un certo pregiudizio contemporaneo che lo relega al ruolo di accademico) seppe esprimere, nel suo stile originale, diverse anime: i colori e la speranza; la devozione religiosa più intima; la rabbia; la bellezza e la sensualità omoerotica.

Mariasole Garacci

L’AURORA AL CASINO DELL’AURORA DI PALAZZO ROSPIGLIOSI

Il luogo e l’opera più famosi sono probabilmente il Palazzo Rospigliosi Pallavicini con il suo casino di piacere e meditazione costruito da Carlo Maderno e Flaminio Ponzio, in collaborazione con l’architetto di giardini Jan van Staten, per il più raffinato committente del tempo, il cardinale Scipione Borghese. L’edificio è noto come “Casino dell’Aurora” per la presenza, sul soffitto, dell’affresco realizzato dal 37enne Guido Reni nel 1613 circa, recentemente restaurato. L’impostazione dell’affresco come un quadro riportato circondato di stucchi, così come i sontuosi colori e gli effetti luministici, indicano un debito con i maestri Carracci alla Galleria di Palazzo Farnese realizzata tra il 1597 e il 1607 circa. Guido Reni raffigura il carro del Sole trainato da Aurora, dea dell’alba, che squarcia le nubi della notte portando sul mondo un nuovo giorno pieno di speranza, un nuovo risveglio. In una disposizione orizzontale che ricorda i fregi della scultura classica (diversi esemplari ricoprono tuttora le facciate della residenza), la quadriga di Apollo avanza tra nuvole infiammate di luce in un corteggio di figure femminili, le Ore. Ad accompagnarli c’è un putto alato con una torcia accesa: si tratta di Lucifero o Fosforo (dal greco Phōsphòros, “portatore di luce”), personificazione della stella Venere, che al mattino e alla sera, per qualche momento, vediamo brillare sull’orizzonte. Notando che Apollo tiene le redini del suo carro con la mano sinistra, Federico Zeri sosteneva che l’affresco fosse stato concepito per essere guardato dal basso in uno specchio. Se volete fare l’esperimento, non avete che da recarvi sul posto personalmente: in occasione della mostra alla Galleria Borghese, oltre alla consueta apertura al pubblico di ogni primo giorno del mese, la sala affrescata da Guido Reni sarà aperta gratuitamente in alcune date straordinarie che trovate qui.

IMM: https://www.artribune.com/arti-visive/2022/02/restauro-aurora-guido-reni-casino-pallavicini-rospigliosi-roma/

Guido Reni, Aurora, totale dopo il restauro. Casino Pallavicini Rospigliosi, Roma

Guido Reni, Aurora, totale dopo il restauro. Casino Pallavicini Rospigliosi, Roma

IL CROCIFISSO DI SAN LORENZO IN LUCINA

È un dipinto drammatico e sconvolgente, realizzato da Guido Reni tra il 1638 e il 1640, quando la sua maniera è ormai avviata a una progressiva semplificazione cromatica e compositiva, molto lontana dai tempi dell’Aurora. Su uno sfondo paesaggistico quasi monocromo e come avvolto in una bruma di desolazione, il corpo del Cristo sulla croce emerge in una vibrazione di luce soprannaturale. Il dipinto è l’unione perfettamente bilanciata tra la bellezza ideale e il realismo anatomico propri del classicismo accademico, eredità dei soggetti sacri di Ludovico Carracci e di una spiritualità contrita elaborati con risultati analoghi anche da Francisco de Zurbarán e Pieter Paul Rubens. Eppure, il dipinto di Reni è intimamente innovativo per una essenzialità e una potenza metafisica che troverà paragone, secoli dopo, nelle crocifissioni di Salvador Dalí. Oggi si trova ancora nella sua collocazione originale, tra colonne di marmo nero antico sull’altare maggiore della basilica disegnato da Carlo Rainaldi nel 1669.

Il Crocifisso (1638-40) di Guido Reni nella Chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma

Il Crocifisso (1638-40) di Guido Reni nella Chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma

LA LOTTA DI PUTTI A PALAZZO DORIA-PAMPHILJ

A dispetto della sua aura di pittore religioso e accademico, Guido Reni fu un uomo problematico e ombroso quanto il suo bisbetico antagonista Caravaggio. Questo dipinto del 1625 circa è, appunto, legato a uno spiacevole episodio raccontato dal suo biografo Carlo Cesare Malvasia decenni dopo: incarcerato in seguito a una violenta lite con l’ambasciatore di Spagna, il pittore venne liberato solo grazie all’intervento del marchese Facchinetti di Bologna. In cambio, Guido dipinse questa allegoria classicheggiante tramite la quale dava forse sfogo alla sua frustrazione e al suo desiderio di riscatto sui potenti: i putti coinvolti nella rissa sono infatti diafani angioletti alati, sottomessi da bimbi più terreni e plebei. Insomma, una precoce raffigurazione della lotta di classe!

Guido Reni, Lotta di putti, 1625 ca. Palazzo Doria Pamphilj, Roma

Guido Reni, Lotta di putti, 1625 ca. Palazzo Doria Pamphilj, Roma

LA MADDALENA PENITENTE DI PALAZZO BARBERINI

Bellissima, diafana, vestita di una morbida veste in un raffinato rosa antico sul quale ricadono lunghe ciocche di capelli brillanti come l’oro, bionde come spighe di grano. Giovane, lattea e florida: forse un po’ troppo per essere una contrita eremita del deserto che si nutre solo delle radici poggiate accanto a lei. Maddalena penitente è uno dei temi iconografici preferiti del secolo di Guido Reni, perché ai religiosi committenti consentiva di tenere in casa raffigurazioni di donne discinte, ancora più sensuali nel loro afflitto abbandono, rispettando la morale dell’epoca. Questo dipinto fu realizzato attorno al 1630 per il cardinale Antonio Santacroce, ma dopo alterne vicende venne a far parte della collezione di Palazzo Barberini.

Guido Reni, Maria Maddalena, 1630 ca. Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

Guido Reni, Maria Maddalena, 1630 ca. Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma

IL SAN SEBASTIANO DEI MUSEI CAPITOLINI

Il suo maestro Ludovico Carracci descriveva Guido Reni come “un purissimo angelo”, e sappiamo che il pittore evitava la compagnia delle donne. Addirittura, Carlo Cesare Malvasia racconta che “si trasformava in marmo” alla presenza delle modelle e che visse con sua madre fino all’età di cinquantacinque anni. Dopo la morte di lei, rifiutò di avere donne in casa e alla lavandaia fece divieto di toccare i suoi panni. Sul fatto che Guido fosse angelico sorgono dei dubbi, conoscendo la sua compulsione al gioco d’azzardo, che lo portava nelle sordide bische romane e che, specialmente negli ultimi anni di vita, era diventata quasi patologica. Quanto all’ostilità nei confronti del genere femminile, è stata avanzata l’ipotesi di una sua omosessualità repressa, ma non si hanno notizie fondate. Certamente, le sue raffigurazioni di San Sebastiano come un giovane di scintillante bellezza legato a un albero e trafitto dalle frecce, a malapena coperto da un serico velo annodato sul pube in procinto di scivolare via, lasciano trapelare una potente sensualità omoerotica. Tra le sue “vittime”, il giovane Yukio Mishima, che in Confessioni di una maschera racconta il suo incontro con una riproduzione in bianco e nero del San Sebastiano di Palazzo Rosso a Genova: “Quel giorno, nell’attimo in cui scorsi il dipinto, tutto il mio essere fremette d’una gioia pagana. Il sangue mi tumultuò nelle vene, i lombi si gonfiarono quasi in un empito di rabbia. La parte mostruosa di me ch’era prossima a esplodere attendeva ch’io ne usassi con un ardore senza precedenti, rinfacciandomi la mia ignoranza, ansimando per lo sdegno. Le mani, affatto inconsciamente, cominciarono un movimento che non avevo imparato mai. Sentii un che di segreto, un che di radioso, lanciarsi ratto all’assalto dal didentro. Eruppe all’improvviso, portando con sé un’ebbrezza accecante”. L’esemplare conservato a Roma, nei Musei Capitolini, è probabilmente il prototipo originale di quello genovese che aveva tanto colpito Mishima, in seguito ripetutamente replicato dall’artista bolognese. Se, dunque, volete anche voi provare un’emozione forte, questa sarà una tappa immancabile.

Guido Reni, San Sebastiano, 1615 16. Musei Capitolini, Roma

Guido Reni, San Sebastiano, 1615 16. Musei Capitolini, Roma

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Mariasole Garacci

Mariasole Garacci

Laureata in Storia dell’Arte all’Università di Roma Tre con una tesi sul ritratto a Roma nel XVI secolo, Mariasole Garacci è stata cultore della materia presso le cattedre di Storia dell’Arte moderna e di Storia del Disegno, dell’Incisione e della…

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