L’opera d’arte nell’epoca degli NFT

Le principali piattaforme di vendita di NFT continuano a registrare incassi record. Sono frutto di speculazione o addirittura di riciclaggio di denaro? Intanto, però, artisti che fino a qualche mese fa guadagnavano ben poco dalla vendita delle proprie opere digitali, ora riescono a vivere della propria arte...

11 marzo 2021. In pieno boom degli NFT, Beeple, al secolo Mike Winkelmann, vende Everydays: The First 5000 Days per 69 milioni di dollari durante un’asta online organizzata da Christie’s. La vendita lo fa balzare al sesto posto della classifica delle opere d’arte più costose di tutti i tempi e al terzo se si escludono le transazioni private.
La notizia fa rapidamente il giro del mondo, portando all’attenzione del grande pubblico gli NFT, acronimo di Non-Fungible Token. Segue un tripudio di articoli sul tema e interviste a collezionisti di arte digitale, che vanno di pari passo con lo scetticismo generalizzato sul valore di un file jpeg o di una gif, esacerbato dalla vendita record per 2,9 milioni di dollari del primo tweet di Jack Dorsey, CEO di Twitter.

COSA SONO, VERAMENTE, GLI NFT?

L’acronimo di NFT, dicevamo, sta per Non-Fungible Token. Ovvero? Partiamo da token: tradotto letteralmente dall’inglese significa ‘gettone’, come quello usato nelle sale giochi di un tempo o per far partire l’autoscontro. Il principio è molto simile. Sia la sala giochi che l’autoscontro sono una micro-economia che, per la sola durata della partita o della corsa, in cambio di un pagamento in moneta corrente fornisce un gettone con cui si può usufruire di un determinato servizio. Ora trasliamo questo esempio al fantomatico mondo delle blockchain e delle criptovalute, poiché comprendere gli NFT senza capire un minimo questo mondo equivale ad accontentarsi di una visione molto limitata del fenomeno.
Ogni blockchain offre dei servizi, che siano transazioni o mettere a disposizione una piattaforma per la creazione di dapps (app decentralizzate). Per usufruire di questo servizio occorre pagare con il token nativo della blockchain scelta. Al momento, la più popolare è quella di Ethereum e il token si chiama ETH.
Passiamo al concetto di non-fungible. Riprendiamo l’esempio del gettone per la sala giochi: poniamo di averlo in tasca e di chiedere al nostro vicino di scambiarlo con il suo. La richiesta è insensata, perché i due gettoni hanno lo stesso identico valore, sono cioè fungibili. Ora invece poniamo di avere un biglietto del treno, un sola-andata per Roma. Lo scambiereste con uno per Milano? Non avrebbe senso, visto che la nostra destinazione è Roma, e soprattutto perché ogni biglietto è unico, identificato da una sigla ben precisa. Il biglietto del treno è un non-fungible token.

Beeple, Everydays. The First 5000 Days, 2021

Beeple, Everydays. The First 5000 Days, 2021

GLI NFT NELLA PRATICA

Creare un NFT sulla blockchain di Ethereum significa registrare su di essa un certificato di proprietà di un oggetto unico. Questo oggetto può avere un solo proprietario alla volta (per ora, ma anche questo sta cambiando) e, come ogni altra “cosa” sulla blockchain, il certificato è immodificabile. Ciò significa che non si può copiare l’NFT per rivenderlo in modo fraudolento, perlomeno non è semplice farlo.
Una precisazione è d’obbligo, perché quando si parla di NFT circola un malinteso. Quando qualcuno compra un NFT, non sta comprando il file digitale, gif o jpeg che sia; non sta comprando un’opera d’arte digitale. Comprando un NFT si compra un certificato di proprietà che rimanda (linka) a un file digitale, una cui copia è venduta insieme al certificato. A meno che non sia specificato, comprare un NFT non implica l’acquisto dei diritti commerciali sull’opera digitale. Il certificato, che altro non è che l’NFT stesso, viene registrato (in inglese minted) e venduto con una serie di informazioni, i metadati, riguardanti l’opera digitale a cui rimanda, come l’autore e il tipo di file.
Per ricapitolare: comprando un NFT si entra in possesso di un certificato di proprietà registrato sulla blockchain, legato a una copia (spesso un NFT viene venduto in edizioni, da 25 fino a 100 o più) di un’opera digitale. L’artista spesso invia al compratore una versione in alta qualità del file, o altri extra (e in alcuni casi una copia fisica dell’opera). Citando dal sito di Ethereum: “An NFT is minted from digital objects as a representation of digital or non-digital assets”. Da notare l’uso del termine “rappresentazione”, che conferma, dietro un linguaggio insolitamente concettuale per il mondo ipertecnologico della blockchain, quanto detto finora.

COSA DETERMINA IL VALORE DI UN NFT?

Con questa domanda si varca il confine di ciò che è più “facilmente” spiegabile riguardo agli NFT. Perché? Perché già valutare un’opera d’arte materiale è molto complesso e i fattori che ne determinano il prezzo sono molteplici e non sempre trasparenti. Quando poi cerchiamo di capire cosa determini il prezzo di un’opera digitale associata a un NFT, il compito si fa ancora più complesso.
Partiamo dalla domanda da un milione di dollari: come può un file digitale, che può essere salvato sul proprio computer da chiunque, essere venduto per cifre milionarie? Inutile girarci attorno: chiunque può salvare sul proprio computer o smartphone Everydays: The First 5000 Days. Certo, parliamo di un file di qualità inferiore rispetto a quello inviato da Beeple a MetaKovan, il collezionista che ha pagato 42,329 ETH per aggiudicarsi l’opera.
Ma concentrarsi sulla disponibilità dell’opera, seppur in bassa qualità, non centra il bersaglio. Chi acquista un NFT non è preoccupato dalla “copia-incollabilità” dell’opera digitale che sta ricevendo. Un collezionista di NFT solitamente è piuttosto inserito nella comunità della Crypto Art e nel mondo delle criptovalute. Ad esempio, MetaKovan, all’anagrafe Vignesh Sundaresan, è il fondatore di Metapurse, una start-up legata al mondo degli NFT. Ciò che conta in questa comunità è il fatto di possedere un “pezzetto” di blockchain, di entrare nella storia di Ethereum e, per quanto riguarda l’opera, di essere l’unico proprietario del token che rappresenta l’opera digitale in questione – ed è questo che conta, dato che (quasi) tutto ciò che è sulla blockchain è immutabile.
Parallelamente al possesso di un NFT si è poi sviluppato un mondo virtuale per l’esposizione della propria collezione, il metaverso, di cui l’esempio più famoso è Decentraland, un luogo digitale dove si possono acquistare lotti di terreno (virtuali) e costruire gallerie da far visitare agli ammiratori dell’arte digitale.

NFT - Un glossario essenziale

NFT – Un glossario essenziale

UN PACCHETTO DI FIGURINE VIRTUALI?

In questo momento non sono le singole opere digitali a registrare incassi milionari, ma le collezioni generate automaticamente.
Un esempio è quello dei CryptoPunks creati da Larva Labs: sono 10mila personaggi pixelati generati da un algoritmo mixando una serie di proprietà come colore di pelle, capelli, occhi e molte altre. Ogni punk è diverso ma – qui sta l’elemento di scommessa – al momento di comprarne uno i collezionisti non sanno se il loro punk sarà raro o comune. Un po’ come acquistare un pacchetto di figurine sperando di scovarvi dentro quella introvabile. Al momento della vendita ufficiale, per ogni punk viene stabilito un prezzo base, dopodiché si sviluppa un fiorente mercato secondario per gli NFT che per grazia divina (o algoritmica) sono risultati essere i più rari del lotto.
Ribadiamolo: molti collezionisti di NFT non hanno alcun interesse artistico; anzi, molto spesso sono investitori in criptovalute che cercano solamente un altro modo di arricchirsi. Oggi il mercato degli NFT ruota attorno a queste figurine digitali dal valore potenzialmente milionario, grazie a una rarità digitale generata automaticamente da qualche riga di codice.
Se parliamo di valore di un NFT è però impossibile non menzionare il riciclaggio di denaro. Convertire i profitti fatti con una criptovaluta in valuta fiat (euro, ad esempio) è un evento tassabile, e parecchio. D’altra parte, il mercato delle criptovalute è ancora de-regolamentato e, nonostante la blockchain sia nata per garantire una tracciabilità totale delle transazioni, a oggi è più che possibile che molti riciclino denaro convertendolo in criptovalute o, meglio ancora, in un bene intangibile come un NFT.

IL TRAMONTO DELLO SCIOVINISMO MATERIALE?

Perché spendere milioni per qualcosa di intangibile? Un Picasso lo puoi mettere in cassaforte, può essere esposto in una mostra, i suoi colori sono veri, è materia. Ma basta questo a giustificare il prezzo di un Picasso rispetto a quello dell’opera di Beeple? Ovviamente no: dietro la valutazione di un’opera, soprattutto oggi, ci sono tantissimi fattori. Eppure, difficilmente una casa d’aste motiverebbe il prezzo di una tela basandosi sulla qualità dei colori (non in senso estetico) o della tela stessa intesa come superficie. Perfino la tela su cui è dipinta Guernica non vale più di tanto. Se qualcuno cancellasse a colpi di acquaragia l’opera di Picasso, rimarrebbe solo un vecchio tessuto. Forse qualcuno la comprerebbe ancora per la sua provenienza, perché è appartenuta a Picasso o perché un tempo era la tela su cui era dipinta Guernica.
E tuttavia, quando scopriamo che un jpeg o una gif sono stati venduti per migliaia di dollari il primo pensiero è: “Assurdo pagare così tanto per una cosa digitale”. Il retropensiero è qualcosa che potremmo chiamare sciovinismo materiale, cioè l’idea, radicata in tutti noi, che ciò che è reale è materiale e, quindi, che ciò che è tangibile abbia maggior valore dell’intangibile, del digitale. Certo, come esseri umani diamo immenso valore a cose immateriali come le storie, i brani musicali, le idee. Ma quando si tratta di dare una valutazione economica sorge un problema: pagheremmo milioni di dollari per un libro? Forse, se fosse un’edizione firmata, antica e legata a uno dei nostri scrittori preferiti. E rieccoci davanti allo stesso problema: trecento pagine di carta qualsiasi valgono milioni di dollari? La vera differenza sta nella materialità tanto del libro che del quadro. Perfino il modo in cui ci riferiamo a essi ce lo fa capire: usiamo una metonimia, diciamo il libro o il quadro per indicare in realtà l’opera che è stampata o raffigurata su di essi. Qui entra in gioco quello che abbiamo definito “sciovinismo materiale”, il nostro radicato attaccamento ai supporti materiali, persino per le opere d’arte.
Nel caso degli NFT crediamo che non ci sia alcun supporto, che l’opera d’arte sia completamente smaterializzata, persa in un etere, come tutti gli oggetti digitali con cui, nonostante tutto, interagiamo quotidianamente, ma ai quali non riconosciamo una patente di realtà come invece facciamo per tavoli, tele o libri. Ma la verità è che gli oggetti digitali sono “fantasmi” solo in superficie – essi hanno un supporto, solo che è remoto. Sono le schiere in costante aumento di server, stipati in magazzini ventilati ventiquattr’ore su ventiquattro per tenere in piedi Internet. Distrutto il server, distrutto l’NFT (ma è stata trovata una soluzione anche a questa eventualità, rendendo gli NFT dei “quasi fantasmi”).
I server sono lontani ed è banale dirlo, ma non possiamo toccare un’opera digitale e questa limitazione sensoriale ci insospettisce, ci rende scettici sull’effettivo valore dell’oggetto. Certo, c’è poi un discorso commerciale da considerare. Per replicare un oggetto digitale dobbiamo semplicemente fare un clic destro mentre per replicare un libro dobbiamo stampare un’altra copia, ma ciò non basta a spiegare la differente percezione che abbiamo degli oggetti digitali rispetto a quelli materiali.

Follow your Dreams, Digital Graffiti, Miss Al Simpson, 2020

Follow your Dreams, Digital Graffiti, Miss Al Simpson, 2020

UNA QUESTIONE DI ESCLUSIVITÀ

La seconda causa “portante” della sfiducia nei confronti degli NFT è l’esclusività. Un collezionista compra un’opera materiale a un prezzo esorbitante perché sarà l’unico proprietario di quest’opera. Potrà metterla in un caveau o esporla nel proprio salotto. Potrà ammirarla nel cuore della notte, farne ciò che vuole, perché sarà l’unico a essere in possesso materiale dell’opera. Chiaro, anche un’opera digitale correlata a un NFT può essere esposta con una cornice apposita. Ma continua a venir meno il principio di esclusività del collezionismo d’arte materiale. Infatti, se anche comprassimo un NFT in edizione singola, chiunque potrebbe salvare sul proprio desktop lo stesso jpeg che noi stiamo pagando milioni.
La risposta dei sostenitori degli NFT è: anche se avessi la copia, il vero e unico proprietario sarebbe il collezionista che ha comprato l’opera digitale, perché fa fede la blockchain. Ma qui sta la seconda componente di quello che abbiamo chiamato sciovinismo materiale. Se anche mettessimo da parte il nostro scetticismo riguardo agli oggetti digitali, non saremmo comunque disposti a rinunciare all’esclusività che ci garantisce l’acquisto di un’opera materiale. Essere l’unico proprietario di un’opera dà al collezionista un potere, uno status e una capacità di godimento di quest’ultima che gli NFT a oggi non possono pareggiare. Forse in futuro si venderà un’opera digitale associata a un NFT in modo tale che nessuno possa copiarla. Allora chi compra sarà l’unico proprietario di un’immagine digitale e potrà decidere ad esempio di permetterne l’esposizione in un museo, o in una galleria privata, o semplicemente ammirarla privatamente e godersi l’esclusività totale dell’opera.

WORLD OF WARCRAFT E DINTORNI

Abbiamo parlato degli apocalittici, ma che dire degli integrati? Da tempo c’è chi gioca online, una volta a World of Warcraft e oggi a Fortnite, creando un avatar e dotandolo di accessori ottenuti faticosamente dopo ore e ore di gioco. Per chi passa la maggior parte del proprio tempo su una piattaforma online, immerso nella digitalità, un accessorio raro per il proprio avatar ha molto più valore di una sua controparte materiale, di una camicia da indossare a una festa di compleanno, per fare un esempio banale.
Sempre più persone spendono una mole significativa del proprio tempo interagendo con oggetti digitali e questo porterà sicuramente a un cambio di paradigma nella nostra percezione del valore e dell’importanza degli oggetti digitali. Un certificato di autenticità digitale forse sarà più importante di uno cartaceo che attesta la medesima cosa. E in questo forse sta la contraddittorietà degli NFT: essi ci mettono di fronte a questo attaccamento ancestrale alla materialità e al suo possibile superamento.

Adriano Manca

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #63

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Adriano Manca

Adriano Manca

Adriano Manca nasce a Fiesole nel 1988, ha studiato drammaturgia con il Teatro Studio Krypton e si è laureato in Filosofia presso l’Università Statale di Milano. Oggi scrive racconti e reportage per varie riviste italiane e lavora come SEO Copywriter…

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