La geopolitica degli NFT. L’Italia è indietro, quindi?

L’Italia non sembra essere tra i Paesi pionieri nel campo dei Non-Fungible Token, ma è per forza un problema?

Molto è stato detto sugli NFT, e ancora per molto si continuerà a discutere di questo fenomeno che ambisce a divenire una svolta importante, se non epocale, nel rapporto tra economia, finanza e cultura. Che il fenomeno riesca nel proprio intento è presto per dirlo. Ancora molti sono gli elementi di incertezza, dal punto di vista legale, fiscale, amministrativo e anche tecnologico. In un momento come questo, in cui tutti corrono verso l’NFT-mania, tant’è che c’è chi la identifica come una nuova “bolla dei tulipani” in versione contemporanea, gli sviluppi che potrà assumere il fenomeno sono incerti, non già in termini di mesi, ma di giorni.
Ciò però non significa che dal mondo NFT provengano solo “incertezze”: dalla loro comparsa a oggi gli NFT hanno già mostrato alcuni punti fermi che, analizzati in controluce, si rivelano punti di fuoco estremamente interessanti per mettere in evidenza alcune caratteristiche, se vogliamo strutturali, del nostro sistema economico-sociale.

IL FENOMENO DEGLI NFT

In primo luogo il vuoto: sono indubbiamente molteplici le ragioni che hanno portato gli NFT a “esplodere”, ma se rivolgiamo lo sguardo a “prima” che noi tutti fossimo più o meno consapevoli di cosa fossero gli NFT, o quantomeno della loro esistenza, prima dell’NBA, prima ancora dei gattini, troviamo una serie di ragazze e ragazzi, oggi noti come crypto artisti, che hanno iniziato a produrre contenuti e che non trovavano un “mercato” di riferimento. Pochi collezionisti, poco interesse, poca visibilità. Una sorta di sottocultura (guardandola con occhi novecenteschi), che produceva e produce contenuti in formati e con strumenti che fino a qualche tempo fa la maggior parte di noi attribuiva più ai social che alla galleria. Per quanto questo discorso possa estendersi tranquillamente anche a una dimensione di appannaggio critico-artistico, qui non si parla di “stili” ma di “formati”, non si parla di “estetica” ma di “mercati”. Il primo punto fermo è dunque questo: vivevamo in un mondo in cui “il contenuto” poteva essere famoso, ma non valutabile. E molti di noi non se ne erano nemmeno accorti, continuando a guardare a tali contenuti come “riempitivi” di un contenitore il cui modello di business era principalmente basato sulle revenue derivanti dalla pubblicità, come gli articoli patinati di alcune vecchie riviste di moda la cui unica fonte di guadagno erano le inserzioni degli stilisti e dei brand del lusso.

I Paesi in cui si è registrato un maggiore interesse sul tema sono, nell’ordine, Cina, Canada, Stati Uniti, Singapore, Australia, Hong Kong, Portorico, Nuova Zelanda, Emirati Arabi Uniti”.

Il secondo punto è invece il “luogo”: gli NFT hanno una chiara vocazione globale e internazionale, sorti come sono dal cosmo decentralizzato. Ma non sono nati in un metaverso. Sono nati in luoghi fisici, e si sono affermati in determinate aree geografiche che, prima di altre, si sono interessate a questo fenomeno. Non è possibile tracciare una mappa precisa di chi siano i collezionisti, spesso anonimi, o di tutti gli artisti (oggi troppo numerosi), che hanno partecipato all’affermazione degli NFT sin dagli esordi. È però possibile vedere “quali luoghi” si sono “maggiormente” interessati agli NFT nell’ultimo anno, guardando, ad esempio, al volume di ricerche effettuate su Google.
Secondo i dati forniti dal motore di ricerca, i Paesi in cui si è registrato un maggiore interesse sul tema sono, nell’ordine, Cina, Canada, Stati Uniti, Singapore, Australia, Hong Kong, Portorico, Nuova Zelanda, Emirati Arabi Uniti. L’Europa è fuori, così come l’UK, che però è 11esima seguita dalla Svizzera, 12esima. L’Italia? È 39esima.
Sia chiaro, una ricerca di questo tipo non ha nulla di scientifico, ma è pur sempre evocativa.

L’ITALIA E GLI NFT

Questo ci conduce al secondo punto fermo: pur essendo, nel nostro Paese, presenti artisti che hanno aderito a tale fenomeno, già dai suoi esordi, sicuramente non siamo i principali attori del fenomeno. In altri termini, non ne siamo i pionieri. Perché è importante ribadire un’affermazione così lapalissiana? Perché riconoscere il proprio ruolo consente di elaborare strategie adeguate. In una gara di Formula 1, la prima auto deve necessariamente attuare una strategia differente da chi le sta immediatamente dietro.
Anche in un mondo iper-rapido come quello delle criptovalute, degli smart-contract e delle innovazioni tecnologiche, essere “indietro” non è necessariamente uno “svantaggio”, se si adottano modalità di intervento che siano capaci di generare valore da tale condizione.
Lo diventa invece se, “destati dal clamore”, vogliamo ora ergerci a pionieri, adottando progetti che richiedono anni di implementazione mentre altri, che hanno iniziato prima di noi, li stanno già concludendo. È molto più interessante, invece, apportare elementi che, partendo proprio dai risultati e dai fallimenti sinora ottenuti dai pionieri, possano “estendere” l’impatto degli NFT (o di qualsiasi altra tecnologia che arriverà nei prossimi anni), cercando di apportare innovazioni piccole e tangibili.
Iniziamo a imparare due lezioni: la prima è che c’era un mercato dove noi non pensavamo esistesse. La seconda è che, anche se non siamo stati noi a capirlo, possiamo sviluppare strumenti che, partendo dalle nostre capacità e conoscenze, possano incrementare il ruolo degli NFT anche al di fuori del mondo completamente criptofinanziario e virtuale che ne ha segnato la nascita.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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