I centri storici? Sono i luoghi più contemporanei dell’Italia 

Direttore del “Premio Gubbio” e membro del Consiglio Direttivo di ANCSA, l’architetto e professore Nicola Russi presenta gli esiti del più importante riconoscimento italiano per i progetti e i piani di riuso nel patrimonio esistente e nei siti di interesse storico. L’intervista

Successo dello studio Arrigoni Architetti, con l’intervento di riuso che ha portato alla realizzazione della sede della Fondazione Biscozzi Rimbaud, a Lecce, nella sezione italiana del Premio Gubbio. Assegnato dall’ANCSA – Associazione Nazionale Centri Storico Artistici, si tratta del più importante riconoscimento italiano per i progetti e i piani di riuso che intervengono sul patrimonio esistente, in città e territori d’interesse storico. In questa intervista, il direttore del premio Nicola Russi commenta gli esiti della XII edizione (la cui cerimonia di premiazione si è svolta a Gubbio il 29 novembre): intitolata Europa terreno comune, ha raccolto il più alto numero di candidature della storia del premio, con cinquantotto progetti inviati dall’Italia, diciannove dai paesi europei, e quarantaquattro tra tesi di dottorato e di laurea magistrale.  

Intervista all’architetto Nicola Russi

Dal 2018 dirigi il Premio Gubbio. Cosa è emerso dalle ultime tre edizioni?  
Innanzitutto il premio è assegnato congiuntamente ai progettisti e alle amministrazioni che hanno supportato le opere. È una nostra procedura, non comune a tutti i riconoscimenti, ed è estremamente coerente con l’ANCSA, che è nata nel 1960 come un’associazione costituita tra progettisti e amministrazioni pubbliche. L’obiettivo era proprio tenere insieme l’animo più visionario dei primi con la dimensione procedurale tipica delle PA. Dal 2018, ho ereditato il premio dal Professor Franco Mancuso e dalla Professoressa Paola Falini che lo aveva impostato in modo tradizionale: era aperto, si partecipava autonomamente con un’iscrizione. Nelle ultime tre edizioni sono stati invece coinvolti dei segnalatori e c’è stato un costante incremento di partecipazioni italiane ed europee. Ma al di là della quantità, il risultato molto interessante è l’estensione del premio a più nazioni e più ambiti geografici d’Europa 

Lo avete conseguito anche grazie ai segnalatori?  
Sì, perché sono delle “antenne” che sorvegliano quanto avviene nei vari territori. In questo modo siamo stati in grado di individuare anche progetti che derivano da aree più marginali rispetto a paesi, come Francia o Spagna, in cui da decenni si è stabilito un rapporto stretto con professionalità e studiosi locali. Oggi abbiamo praticamente coinvolto tutte le zone geografiche d’Europa in questa che fondamentalmente è un’iniziativa di carattere culturale. Il Premio Gubbio racconta l’architettura del nostro tempo e fotografa lo stato dell’arte. 

Focalizziamoci sull’Italia: qual è istantanea? 
Nelle ultime tre edizioni solo raramente si è vista una presenza fissa di alcuni territori; forse gli unici due ambiti territoriali che partecipano sempre, e in modo nutrito, sono il Trentino-Alto Adige e l’Emilia Romagna. È rilevabile una partecipazione a macchia di leopardo, ma senza squilibri tra nord e sud. La maggior parte dei progetti arriva da centri medi o minori: le grandi città o i capoluoghi italiani sono quasi assenti. Nelle aree minori si nota quindi una maggiore fertilità di progetti che dimostrano un’attenzione verso il territorio storico: è soprattutto lì che si cerca di immaginare nuove forme d’uso, attivando l’esistente; i progetti risultano più virtuosi. La ridotta dimensione consente inoltre ai progettisti di disporre di un campo di azione ampio e di intervenire con proposte programmatiche, direttamente o indirettamente. 

Cosa avviene comparando lo scenario europeo con quello nazionale? 
Assistiamo a una duplice differenza. Da un lato la dimensione degli interventi: sicuramente quelli italiani sono più piccoli e meno ambiziosi come entità degli investimenti. Tuttavia, secondo me l’aspetto più grave è la minore ambizione in risposta al programma funzionale: sembra che, a livello nazionale, si comprenda sì molto bene il valore patrimoniale degli oggetti architettonici, la loro consistenza materica, la volontà di riattivare un edificio storico, ma è molto difficile che da queste premesse derivi quella complessità d’uso che invece è presente nel contesto europeo. E spesso il coraggio è demandato ai progettisti. 

Cosa intendi? 
Lo dimostrano i progetti premiati in questi anni. Le giurie ANCSA non si limitano alla bontà e alla qualità di un progetto: mettono sempre un accento sulla capacità di innovazione anche in termini funzionale. Per questo, nel 2018, abbiamo premiato Piazza dell’immaginario di ECÒL, a Prato, ovvero la riattivazione di un posteggio in una piazza pubblica previo coinvolgimento della comunità: si tratta di un progetto nato dagli stessi progettisti. Per le sue dimensioni è stato poi chiaramente supportato dall’amministrazione, ma la capacità visionaria, intendo a livello programmatico e d’uso dello spazio, deriva da un’impronta di carattere progettuale architettonico, non da un programma amministrativo. 

Ed è un caso “di coraggio” isolato? 
Non proprio. Nel 2021, con il progetto per la piazza del mercato di Terre del Reno (Ferrara), incluso nella ricostruzione post-sisma del 2012, gli architetti Enrico Dusi e Matteo Ghidoni hanno proposto un possibile uso, immaginando che la piazza oltre a ospitare le bancarelle fosse un dispositivo climatico, con una zona d’ombra divenuta progressivamente un luogo di concentrazione collettiva, un “centro del centro storico”. Sempre nel 2021, abbiamo assegnato la menzione al Centro Culturale di Lou Portun di Ostana (Cuneo): architetti e docenti del Politecnico di Torino, in un decennio, hanno reso una piccola comunità montana un luogo nuovo dove vivere, dotato di servizi. Si sono fatti loro stessi carico sia della visionarietà di questa trasformazione sia dei passaggi necessari alla sua trasformazione fisica. 

Nel contesto europeo assistiamo a un minor numero di iter di questa natura perché le amministrazioni sono più “audaci”?  
Riflettendo sui premiati in Europa (anche in questo caso le giurie evidenziano opere di qualità con programmi d’uso innovativo), segnaliamo operazioni di carattere molto diverso. Nel 2021, per esempio, è stata premiato la biblioteca LocHal di Tilburg, nei Paesi Bassi, di Civic Architects con, tra gli altri, Mecanoo. È una biblioteca con all’interno laboratori di studio, spazi di lavoro, una piazza coperta, una gradonata per eventi, caffetterie: il tutto in un dismesso sito industriale in cui si producevano locomotive. È evidente che in quel caso il programma funzionale derivasse dall’amministrazione. 

Gli esiti della sezione italiana del Premio Gubbio 2024 

Quest’anno ha vinto un progetto a Lecce. Quali strategie lo hanno portato al successo? 
Il progetto vincitore è la Fondazione Biscozzi Rimbaud di Arrigoni Architetti, a Lecce. Da un lato ci sembrava molto interessante porre l’accento su un progetto di riuso in ottica europea (tema al centro del catalogo del premio, intitolato in questa edizione Europe Common Ground): si interviene in un edificio modesto dal punto di vista architettonico, introducendo una funzione di rilievo (è la sede di una fondazione, con spazi espositivi, una biblioteca e un centro didattico all’interno) in un centro storico che soffre di sovraturismo e dell’eccessiva estensione delle attività commerciali legate al turismo. Dall’altro lato è un lavoro di stampo scarpiano (per fortuna, non di manierismo scarpiano), affrontato secondo una dimensione artigianale, connessa con la tradizione italiana; si inserisce in maniera sottile nell’esistente.  

Alla scuola di musica di Bressanone di Carlana Mezzalira Pentimalli va la menzione d’onore. 
Dal mio punto di vista è un progetto di grandissimo valore architettonico, che dichiara l’importanza dell’intervento contemporaneo nei centri storici come strumento per assegnare loro dei principi e valori della nostra epoca; così facendo, si contribuisce a farli rimanere vivi e capaci di assorbire le trasformazioni. È un’architettura contemporanea in grado di reinterpretare i principi insediativi del tessuto storico senza però cadere in una dimensione pittoresca; non cerca di imitare il passato. Questa è una peculiarità di ANCSA, che la distingue da altre associazioni: ANCSA non crede che la salvaguardia di un luogo storico avvenga solo nel restauro di quello che già c’è, senza prevedere l’intervento contemporaneo.  

Un commento anche per le opere segnalate, realizzate a Mantova, Brescia, Catanzaro e Ferrara 
Abbiamo segnalato il progetto di Archiplanstudio per la piazza Leon Battista Alberti a Mantova: libera un vuoto urbano dalle automobili e affronta, con grande maestria, un tema caldo nelle città italiane, ovvero lo spazio pubblico come luogo conflittuale. Il progetto di Brescia del Corridoio UNESCO di ARW Studio è uno dei pochi casi in cui si prova a immaginare un sito archeologico non come un parco a tema, ma come un ambiente urbano: nella città storica di Brescia è stata resa possibile l’ibridazione tra la dimensione archeologica e la vita di tutti i giovani. In relazione alla nuova Procura della Repubblica di Catanzaro abbiamo voluto sottolineare il coraggio delle istituzioni e il valore simbolico del lavoro di Corvino+Multari: nel centro storico sono intervenuti con questa “lanterna” che, anche architettonicamente, prova a ridare luce alla città e alla comunità. 

E c’è anche Labics, con Palazzo dei Diamanti 
È il progetto di uno studio estremamente noto, raffinato, pluripremiato, che legittima la possibilità di agire con un linguaggio contemporaneo nel patrimonio storico. Va anche ricordato per l’acceso dibattito che ha aperto a livello nazionale. Il suo risultato denota estrema qualità e valore: non c’è nessuna forma di violenza, come si voleva attribuire in fase di concorso, ed è invece un’opera delicata e coerente. 

L’ANCSA tra attivismo, salvaguardia e rigenerazione del patrimonio urbano 

Oltre al Premio Gubbio, attraverso quali iniziative l’ANCSA persegue la sua mission? 
Esiste il Premio Argan, attribuito a personalità che si sono distinte nei temi dell’arte nel corso della loro carriera; nel 2022 è stata assegnato ad Álvaro Siza, per il suo lavoro a Napoli. L’ ANCSA inoltre organizza pubblicazioni, incontri, seminari, sempre coinvolgendo progettisti e amministrazioni, e non vuole perdere quella dimensione di attivismo urbano che l’ha accompagnata fin dalla nascita, avvenuta nel dopoguerra quando i centri storici italiani sono stati oggetto di un’impressionante speculazione edilizia. 

In quale modo si sostanzia questa azione? 
Fin dal dopoguerra, l’ANCSA si è attivata e non solo a livello teorico: è entrata nel dibattito locale per contrastare progettazioni scellerate che avrebbero distrutto molti centri storici del Paese. A Gubbio, sede del premio omonimo, ci siamo di recente battuti per modificare un progetto PNRR nella piazza principale che prevedeva una panchina ellittica in cemento armato intorno ai giardini storici. Siamo stati coinvolti dall’amministrazione che ci ha commissionato uno studio, dal quale sono emerse visioni alternative, parzialmente accolte, che introducono un programma funzionale più avanzato. Come associazione proviamo davvero a intervenire nei territori. Nel 2017, con Cresme abbiamo lavorato al Libro Bianco sui centri storici delle città italiane, fotografando lo stato dell’arte di 107 luoghi. Proprio in questi mesi si sta ragionando su un nuovo Libro Bianco, che dovrebbe prendere in esame il pre e post COVID e l’impatto del PNRR. 

Concludiamo proprio riflettendo sui processi di rigenerazione urbana, moltiplicatisi per effetto dei fondi PNRR. Quali rischi e quali prospettive rilevi? 
Oserei dire che i centri storici sono i luoghi più contemporanei dell’Italia. Sembra un paradosso, ma è così: come “spugne” assorbono con forza i fenomeni globali. Quando parliamo di sovraturismo ci occupiamo di centri storici: Venezia, Firenze, Napoli, ma anche centri minori come Civita di Bagnoregio, Vernazza, Alberobello, San Gimignano, Positano, Ortigia, Portofino. La globalizzazione del commercio, con le catene di negozi che espellono le attività locali e servizi locali, è diffusa ovunque, centri storici inclusi. E ancora la finanziarizzazione del mercato immobiliare (evidente a Milano e Roma), la crescita dei valori immobiliari e la sostituzione degli abitanti (a Milano e Bologna), per non parlare del progressivo spopolamento o dell’abbandono, così come dello spazio pubblico come luogo di coesistenza e conflitto tra diverse forme di mobilità. I centri storici, infine, non sono immuni alle ondate di calore e alla difficoltà di assorbimento dei fenomeni metereologici estremi.  

E dunque che cosa non stiamo facendo per i centri storici? 
Si sente spesso dire che ci sono le risorse, ma scarseggiano i progetti. In una nazione di “progetti di carta” avrei pensato che i cassetti delle amministrazioni fossero pieni di progetti in attesa di un finanziamento! I centri storici sono fragili e preziosi; richiedono coraggio e innovazione. Nei progetti, anche PNRR, che ho sentito attivare, non rilevo una risposta adeguata a tutti i fenomeni citati, mentre servirebbero ambizione e visionarietà. Invece ci si misura con tempi strettissimi, scarsità di personale tecnico, complessità delle procedure e gare d’appalto che non garantiscono la qualità del progetto nell’iter di realizzazione dell’opera. 

Valentina Silvestrini 

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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