Il nuovo volto di Palazzo dei Diamanti a Ferrara

L’edificio simbolo di Ferrara riapre dopo un articolato intervento di restauro e valorizzazione del nucleo cinquecentesco e un’operazione di adeguamento degli spazi, interni ed esterni, ai fini espositivi. Gli architetti di studio Labics raccontano il progetto

Alla vigilia della riapertura di Palazzo dei Diamanti, a Ferrara – che da sabato 18 febbraio torna ad accogliere il pubblico con la mostra Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa – abbiamo incontrato gli architetti Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori. Fondatori nel 2002 dello studio Labics, con sede a Roma, i progettisti sono gli autori della proposta risultata vincitrice nel concorso, bandito nel 2017 dal Comune di Ferrara, per il restauro, l’adeguamento funzionale e l’ampliamento dell’edificio disegnato da Biagio Rossetti nel 1492. In seguito alla querelle divampata a inizio 2019 attorno al cosiddetto “padiglione” (ovvero alla soluzione che, come da richiesta del bando, avrebbe dovuto ovviare all’assenza del quarto lato del Palazzo, fornendo di fatto una chiusura al percorso espositivo e un’addizione per vari usi), Labics ha proseguito l’incarico nel palazzo ferrarese: in particolare, su richiesta della committenza, ha elaborato una nuova visione per la (discussa e necessaria) struttura di collegamento. “Non c’è mai un solo modo di fare un progetto. Tutto però dipende dalla domanda che ti viene posta”, raccontano Clemente e Isidori. Così, d’ora in poi, varcando la soglia del restaurato Palazzo dei Diamanti, i visitatori avranno l’opportunità di attraversare un innesto di architettura contemporanea – trilitico, leggero, essenziale, in parte chiuso da vetrate –, sperimentandone la peculiare relazione con il giardino, anch’esso riqualificato. Ma non solo: nel complesso, attraverso un intervento che possiamo definire integrale, con spazi interni valorizzati ed aree esterne ritrovate, per l’edificio simbolo di Ferrara dalle inconfondibili facciate in bugnato sta per aprirsi una fase inedita.

Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori (Labics). Foto di Marco Cappelletti

Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori (Labics). Foto di Marco Cappelletti

INTERVISTA A LABICS

Il tema dell’ampliamento di Palazzo dei Diamanti ha spesso offuscato la prima delle due operazioni previste dal concorso, ovvero il restauro dell’edificio. Facciamo quindi un passo indietro. Qual era lo “stato di salute” della struttura all’inizio del cantiere? Come avete lavorato al suo interno?
Il bando di concorso prevedeva due macro interventi, di cui quello più consistente riguardava l’edificio storico, che è andato avanti come da nostro progetto originario. Questo ha comportato un’operazione di restauro e ristrutturazione degli spazi, per adeguarli alle esigenze espositive contemporanee. In questo ambito rientrava anche la trasformazione della parte che un tempo era il Museo dei Risorgimento, poi spostato in un’altra sede. In seguito al sisma dell’Emilia, Palazzo dei Diamanti aveva già subito un intervento di consolidamento: al nostro arrivo, dal punto di vista strutturale, l’edificio era a posto.

Dunque su cosa vi siete focalizzati?
In primis abbiamo lavorato per restituire all’edificio la spazialità originaria, attraverso la pulitura di tutte le superfetazioni realizzate, in varie fasi, per poter ospitare gli apparati impiantistici. Abbiamo fatto un lavoro di risarcimento delle murature (con la tecnica del “cuci e scuci”), di consolidamento di alcuni varchi e di sistemazione di alcuni solai, fra cui due storici molto belli. Nelle due ali di Palazzo dei Diamanti (ala Rossetti e ala Tisi), quasi tutte le sale risultavano alternate nella loro spazialità, con nicchie e altre forature che non rendevano giustizia alla sequenza degli spazi, di per sé eleganti e proporzionati. Oggi tutti gli impianti sono ospitati in un unico sistema di fodere tecnologiche ad alta resistenza; spesso in uso nei palazzi storici, consente di allestire le mostre con un certo grado di libertà. Anche il pavimento, nell’ala Rossetti, è stato rifatto con un terrazzo alla veneziana.

E nell’ex Museo del Risorgimento?
Tutto diverso il caso degli spazi del dismesso museo, il cui allestimento risaliva agli Anni Cinquanta. Lì il Palazzo ha cambiato aspetto in modo molto chiaro: abbiamo demolito le murature e un solaio recenti (facendo un grande intervento strutturale), consolidato una trave composta del Cinquecento, sostituito tutti gli infissi. Oggi quella parte di edificio ospita servizi come bookshop, caffetteria, sala didattica e sala polivalente. E abbiamo lavorato anche sugli annessi spazi esterni, che erano in stato di completo abbandono.

Labics, Palazzo dei Diamanti, bookshop, photo © Marco Cappelletti, courtesy Labics

Labics, Palazzo dei Diamanti, bookshop, photo © Marco Cappelletti, courtesy Labics

IL RESTAURO DI PALAZZO DEI DIAMANTI

In questa serie di interventi possiamo individuare degli elementi di continuità che rendono identificabile in maniera immediata e univoca l’azione di Labics?
Nell’edificio storico il “tocco moderno” è chiaramente più delicato, misurato, ma comunque presente. È corretto che ogni intervento sia riconoscibile in quanto tale. Ad esempio nell’ala Rossetti, che si caratterizza per la sequenza continua di stanze una dentro l’altra, non erano presenti storicamente (se non nella prima fase) portali di separazione fra gli ambienti. Ora li abbiamo inseriti: sono in ottone e arricchiscono il passaggio con un elemento sì silenzioso, ma pensato per impreziosire e accompagnare l’atto stesso dell’attraversamento. E, ancora, nel bookshop, come in una sorta di moderna biblioteca rinascimentale, tutte le pareti sono rivestite di libri. La libreria, molto leggera, è realizzata in piatti di acciaio che rievocano un’immagine antica con un linguaggio della nostra epoca. Da ultimo, forse la parte con un linguaggio più contemporaneo è la caffetteria: ci troviamo in un ambiente che nel corso del Novecento è stato modificato con un solaio in cemento armato e dispone di quattro pilastri, proprio al centro della sala. Sono elementi estranei alla logica complessiva dell’edificio e abbiamo cercato di renderli un valore, immaginando di moltiplicarne la presenza attraverso un telaio spaziale (dato da pilastri e travi) che riconfigura l’ambiente.

Presentando l’intervento, introducete la nuova categoria delle “stanze all’aperto”: cosa intendete?
Palazzo dei Diamanti dispone di tre tipologie di spazi esterni. Nella corte principale, rinascimentale, non ci sono più i vialetti (erano un’interpretazione ottocentesca): abbiamo previsto il prato e, potenzialmente, questo spazio si potrà usare anche per mostre all’aperto. Poi c’è il giardino che è collegato alla nuova passerella. Quindi le tre aree che denominiamo “stanze all’aperto”, ovvero il cortile ribattezzato “dehors”, il cortile del laurocesaro e quello del Risorgimento (quest’ultimo è l’unico con accesso diretto alla città). Sono piccoli ambienti, a servizio del bar e del bookshop, che abbiamo trattato come vere e proprie stanze, in cui anche i materiali (a partire dal cotto dei pavimenti) contribuiscono alla sensazione di “sentirsi avvolto”. Questi sono pensati per un uso pubblico; di fatto sono nuovi elementi che con la riapertura entreranno in gioco e troveranno la loro identità.

Labics, Palazzo dei Diamanti, passerella, photo © Marco Cappelletti, courtesy Labics

Labics, Palazzo dei Diamanti, passerella, photo © Marco Cappelletti, courtesy Labics

IL NUOVO COLLEGAMENTO ESTERNO DI PALAZZO DEI DIAMANTI

Si è sempre parlato del padiglione, ma in effetti quello che riapre è un Palazzo dei Diamanti tutto da scoprire, in ogni suo spazio interno ed esterno. E che, polemiche archiviate, disporrà anche della richiesta connessione fra ala Rossetti e ala Tisi.
La seconda parte del bando, quella relativa all’ampliamento esterno, nasceva da un’esigenza di carattere funzionale: collegare le due ali separate dell’edificio (che è a forma di C e manca del quarto lato attorno alla corte centrale) per le mostre. Quello esistente era un collegamento di tipo pedonale, effimero, provvisorio: una sorta di pensilina con una tenda, in copertura. Attraverso il concorso si puntava non solo a collegare le due parti, ma anche a fornire al Palazzo una struttura che divenisse uno spazio aggiuntivo flessibile: come un piccolo padiglione per esporre, durante le mostre, le opere di grandi dimensioni, oppure adatto a ospitare conferenze e altre iniziative. Forse i principi fondativi del nostro progetto precedente non sono stati compresi: l’obiettivo non era progettare un “oggetto” nel giardino. Piuttosto lo sforzo era stato quello di concepire un elemento che avesse un carattere di neutralità: per noi non poteva che essere un portico, una nuda struttura. Ebbene l’idea di quel progetto è rimasta completamente nel luogo: a essere cambiato è il modo in cui si pone nel giardino. Non c’è mai un solo modo di fare un progetto, tutto però dipende dalla domanda che ti viene posta. E il nuovo quesito che ci è stato rivolto ha riguardato la riprogettazione del giardino, tema assente in precedenza. Proprio per questo, la nuova passerella non può che acquisire una dimensione paesaggistica. E il suo valore si estende al di là delle necessità funzionali, finendo per appartenere al disegno del giardino.

Cosa dobbiamo aspettarci?
Il nuovo collegamento è leggero e rimovibile. Come nella proposta originaria, si stacca dal muro che oggi delimita la corte principale dal giardino retrostante: così facendo, non solo è rispettoso della lettura dell’edificio storico, ma di fatto finisce per appartenere al sistema di segni e percorrenze proprio del giardino. In maniera molto naturale diventa la materializzazione di una serie di percorsi che storicamente esistevano nel disegno dello spazio esterno. Anche la sua natura effimera è coerente con questa nuova dimensione paesaggistica. È una piccola struttura lignea che nella geometria ricorda il portico precedente: ne ha ereditato alcuni caratteri architettonici, diventando più snello. È realizzato in legno bruciato, secondo la tecnica giapponese; volevamo che il colore non cambiasse aspetto nel tempo, fra interno ed esterno. E poi questa ci sembra la scelta più coerente con il luogo: fra gli alberi quasi sparisce e richiama delle colonne nere presenti su una loggetta del Palazzo. Infine ha un andamento ritmico ed è parzialmente chiuso con delle vetrate scorrevoli. Aprendole, si ha la sensazione di stare fra un esterno e un esterno. Camminando, si fa un’esperienza simile al camminare in un boschetto, fra i lecci da una parte, il giardino esistente dall’altra. Una totale naturalezza. E l’attraversamento di questo luogo nuovo, che è un esterno a tutti gli effetti, avverrà a metà del percorso delle mostre ospitate nel Palazzo.

Labics, Palazzo dei Diamanti, sale, photo © Marco Cappelletti, courtesy Labics

Labics, Palazzo dei Diamanti, sale, photo © Marco Cappelletti, courtesy Labics

L’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA SECONDO LABICS

A Ferrara avete lavorato nell’edificio simbolo del centro storico. A Roma intervenite nell’edificio più noto della città, che è anche “il monumento per eccellenza” del patrimonio architettonico italiano. Come procede la ricostruzione dell’arena del Colosseo, per la quale avete vinto nel 2021 il concorso con Milan Ingegneria Spa?
Abbiamo appena iniziato lo scambio con l’impresa appaltatrice. Il primo passaggio importante è la realizzazione del prototipo in scala 1:1, dal quale evidenzieremo tutti gli elementi chiave del progetto e con cui faremo la verifica del funzionamento di questa “macchina che si muove”. Fra circa tre mesi, dovremmo avere le prime risposte.

Sta per uscire il vostro nuovo libro. Cosa potete anticiparci?
Si intitola The architecture of public space, sarà pubblicato a maggio 2023 da Park Books. Con questo volume prosegue la nostra riflessione sull’architettura e sulla definizione dello spazio pubblico: è una raccolta di soluzioni architettoniche e urbane dal XIII al XX secolo nelle città italiane.

Valentina Silvestrini

https://www.labics.it/

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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