Reportage su cultura e accessibilità

La disabilità è ancora oggi un tema difficile da affrontare, anche in ambito culturale. Eppure esistono progetti e istituzioni attivi nell’eliminazione delle barriere – fisiche e non – che impediscono alle persone diversamente abili di avere accesso alla creatività. Una doverosa lotta contro gli stereotipi e i pregiudizi, in Italia e non solo

L’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ratificata nel 1948, sostiene che “ciascuno ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici”. Oltre settant’anni più tardi, nel 2020, la Dichiarazione di Dresda ha messo in risalto il ruolo del teatro e delle arti performative come “potenti forme di espressione artistica che stimolano la riflessione, promuovono l’uguaglianza e la democrazia”, attribuendo alle arti una funzione non solo culturale, ma politica. Mentre l’articolo 30 della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, che le Nazioni Unite hanno sottoscritto nel 2006, riconosce non solo il diritto delle persone con disabilità a partecipare alla vita culturale, ma anche il dovere delle entità statali di assicurare che ciò avvenga.
Il macrotema chiamato in causa da queste riflessioni è quello dell’accessibilità – fisica, percettiva, economica – dei luoghi della cultura, per quel che riguarda la partecipazione diretta alla produzione culturale, come pure la possibilità per tutti di fruirne.

Stopgap Dance Company. Photo Dougie Evans

Stopgap Dance Company. Photo Dougie Evans

EUROPE BEYOND ACCESS E GLI ARTISTI DISABILI

Sul versante della partecipazione è nato e si muove il progetto Europe Beyond Access (2018-2023), il più grande programma al mondo su arti e disabilità. L’obiettivo è quello di internazionalizzare le carriere degli artisti diversamente abili e rivoluzionare la scena europea, attraverso workshop, residenze, toolkit, eventi, performance, laboratori creativi, film, affinché le persone disabili siano protagoniste dell’innovazione creativa, senza ricorrere a categorizzazioni “inclusive” che, invece di contribuire ad abbattere le barriere, rischiano di fondare l’operazione su un atteggiamento pietistico e assistenziale. L’arte è arte, sempre. Eppure il mondo si fonda ancora sul concetto dell’abilismo, comportamento esercitato diffusamente in modo più o meno consapevole che porta allo stigma e all’isolamento delle persone con disabilità fisiche o psichiche, perché altro dall’idea comune di “normalità”. Time to Act è il titolo di una ricerca condotta nel 2021 da On the Move in quaranta Paesi europei (Italia compresa) per evidenziare quante barriere – fisiche e mentali – costituiscano ancora un serio impedimento per artisti e pubblici disabili rispetto all’accesso alla vita culturale.

Feeling Good. Photo Sarah Melchiori

Feeling Good. Photo Sarah Melchiori

GLI OSTACOLI ALL’ACCESSIBILITÀ

Nel 2019 l’UE si impegnava a promuovere una “nuova agenda culturale” fondata proprio sull’apertura alla disabilità, chiamando in causa decisori politici e operatori culturali per concretizzare un cambio di prospettiva, a vantaggio, e questo è un punto centrale, non solo di chi la disabilità la vive in prima persona, ma della collettività tutta, che dal contributo dei diversamente abili alla vita culturale trarrebbe grandi benefici (favorire l’espressione di creatività è sempre una buona scelta, specie quando si sviluppa nell’alterità). Orizzonte temporale: 2021-2027.
Eppure, rileva il Time to Act, c’è ancora molta strada da fare, a fronte di una popolazione disabile in età compresa tra i 15 e i 64 anni di 42 milioni di persone (il 12,8% della popolazione europea, dato Eurostat): in Europa, l’87% delle sedi culturali e dei festival non coinvolgono persone disabili nelle commissioni di selezione o nella gestione; il 52,4% degli intervistati ha valutato la conoscenza degli artisti disabili come scarsa o molto scarsa; l’87% delle istituzioni culturali non adegua i propri materiali di comunicazione alle regole dell’accessibilità. E il problema si riverbera anche sulla fruizione: l’82% delle persone con disabilità in Europa dichiara di aver avuto difficoltà di accesso a eventi culturali per uno o più impedimenti non risolti all’origine dai promotori; il 73% di loro si è sentito discriminato se ha provato a partecipare.
Per la realtà italiana fa fede il rapporto Istat 2019 (Conoscere la disabilità), che individua nel Paese 3,1 milioni persone con disabilità (di cui 1,5 milioni ha più di 75 anni). Non esistono, invece, dati organizzati sul panorama nazionale della partecipazione di persone con disabilità al mondo di produzione e fruizione culturale. Ma, nel settore artistico, l’assenza di accessibilità caratterizza ancora in modo rilevante l’Italia rispetto ad altri Paesi europei, e costituisce un evidente ostacolo alla partecipazione culturale: solo il 9,3% delle persone con disabilità va al cinema, a teatro, ai concerti o nei musei (contro il 30,8% degli abili). E conta sottolineare che, tra coloro che nonostante gravi disabilità svolgono attività culturali (sia come spettatori che come artisti: in Italia il 12% delle persone con limitazioni gravi svolge almeno una attività di tipo artistico), uno su tre si dichiara “molto soddisfatto della propria vita”.

Fine Lines. Photo Sarah Melchiori

Fine Lines. Photo Sarah Melchiori

PRESENTI ACCESSIBILI. L’INCONTRO A MILANO

Perché si possa concretamente percorrere la strada del cambiamento, prendere consapevolezza dello stato dell’arte è un passaggio centrale, solo parzialmente raggiunto dagli stessi addetti ai lavori. Alla fine di aprile, Milano ha ospitato la prima edizione di Presenti Accessibili, evento internazionale su arti performative e disabilità sul palco e in platea. A organizzarlo, l’associazione Oriente Occidente – partner del progetto Europe Beyond Access e capofila di una rete di 51 realtà del mondo della cultura italiana che si è costituita a partire dal programma europeo – in collaborazione con Al.Di.Qua Artists (di cui parleremo a breve). Ci si è così trovati – tra operatori culturali, istituzioni, artisti ed esperti – a mettere in comune buone pratiche e obiettivi da perseguire per generare consapevolezza e partecipazione.
Presenti Accessibili è stata la conferma che è giunto il tempo: il sistema culturale italiano è pronto a interrogarsi sul tema, stringere rapporti, ma dovrà poter contare su una presa in carico da parte delle istituzioni”, spiega Anna Consolati, direttrice generale di Oriente Occidente. “Il periodo di crisi aperto dalla pandemia ha fatto in modo che le minoranze inascoltate si unissero: gli artisti con disabilità rischiavano di essere sacrificati e invece sono emersi con maggiore determinazione. E il sistema delle arti contemporaneo ha compreso che da quella diversità può arrivare innovazione estetica e creativa. Nella danza, per esempio, aspettiamo da tempo un nuovo codice creativo, e proprio gli artisti disabili possono portare uno stimolo”. L’obiettivo primario è dunque quello di garantire loro centralità e protagonismo: “L’evento, infatti, è stato curato da loro, non siamo noi a dover definire i confini della partecipazione delle persone con disabilità. C’è una parte di mondo che non conosciamo, si tratta di un immaginario mancato, che si rivela illuminante. Si tratta semplicemente di ricerca artistica, senza ulteriori connotazioni di sorta tra abili e disabili. Troppo spesso subentra ancora il pietismo, l’associazione mentale con qualcosa di negativo. La disabilità non è un tema da relegare al sociale, dinamica che invece continua a prevalere in Italia”.

Chiara Bersani. Photo Simone Cargnoni

Chiara Bersani. Photo Simone Cargnoni

PARTECIPAZIONE FA RIMA CON AUTONOMIA

Qualcosa, però, sta cambiando: “Parlerei ancora di utopie, che però trovano finalmente spazio nel mondo della cultura e del contemporaneo. L’agenda europea 2030 spinge molto sulla diversity, le nuove generazioni hanno interiorizzato la consapevolezza che la diversità è un valore aggiunto. Finora il modello più avanzato è stato quello britannico: il British Council lavora da trent’anni sulla direttrice Arts & Disability, che però è espressione di una società, quella inglese (simile sotto questo aspetto a quella svedese), molto diversa dalla società italiana. E allora l’Italia deve trovare la sua strada, possibilmente superando i modelli già dati”. Ma come si superano questi modelli? “Non muovendosi soltanto all’interno dei festival ‘inclusivi’”, prosegue Consolati. “Superiamo l’idea che le Paralimpiadi siano la parte positiva per i disabili, scardiniamo i preconcetti. Esempi da evidenziare ce ne sono: Chiara Bersani che vince il Premio Ubu come miglior attrice/performer under 35, il duetto danzato sulla tattilità di Virginio Sieni e Giuseppe Comuniello, ‘Feeling Good’ di Diego Tortelli, cooprodotto con Aterballetto, la riflessione sulla parità di genere alla Biennale di Venezia… Episodi che vanno al di là delle barriere”.
Fare atterrare queste istanze in un sistema nazionale capillare e radicato nei luoghi della cultura, però, è tutt’altra questione: “Le persone con disabilità devono poter contribuire allo sviluppo culturale, ma le leggi attuali le limitano all’orizzonte delle politiche sociali. La Direzione generale spettacolo ha preso un impegno, ma c’è sempre uno scollamento tra i funzionari sul territorio e la parte politica, che avrebbe bisogno di vedere. È importante raccogliere dati, mappare progetti (ma anche le barriere da eliminare) e realtà già impegnate a favorire questo processo. Istituzioni e finanziatori devono contribuire a rendere tutto ciò sistematico, per generare reali opportunità di partecipazione e autodeterminazione per minoranze e persone disabili”.
Lavora concretamente sul tema l’associazione Al.Di.Qua Artists, costituitasi nel 2020 sotto la direzione di Diana Anselmo (“il contrario della disabilità non è un corpo sano, è l’accessibilità”), come organo di rappresentanza per artisti e artiste, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo con disabilità. “Ci confrontiamo continuamente con un mondo che non parla di noi, che non ha mai parlato di noi in altri termini che non fossero colorati dal pietismo o da un malinteso senso di eroismo (la differenza che passa tra concedere spazi controllati e dare reali spazi di autonomia, N.d.R.). Come ci si può accorgere di ciò che manca se non lo si è mai visto? Ecco perché è urgente che siano le nostre voci, i nostri punti di vista a infiltrarsi negli immaginari diffusi per generare delle narrazioni altre”, spiegano gli artisti dell’associazione in un potente video manifesto. “Le barriere che vorremmo abbattere sono soprattutto quelle culturali, quelle che impediscono a una persona con disabilità di immaginarsi artista professionista accedendo all’alta formazione, non tramite percorsi preferenziali, ma dall’entrata principale”.
Oriente Occidente, nel frattempo, pensa già alle prossime mosse: “Il convegno con Aterballetto, previsto per la fine del 2022, sull’accessibilità del pubblico con disabilità, il lavoro con il MiC per sviluppare un circuito di esperienze, i toolkit pensati per aiutare le istituzioni culturali ad aprirsi alla disabilità”.

Pinacoteca di Brera. Visita guidata

Pinacoteca di Brera. Visita guidata

L’ACCESSIBILITÀ AL MUSEO IN ITALIA

L’ultimo punto introduce un’altra spigolatura, tutt’altro che trascurabile, del tema, legata alla fruizione: sono accessibili i luoghi della cultura in Italia? Muovendosi tra i musei, gli ostacoli principali vertono su strutture e programmazioni spesso inadeguate al cospetto dell’eterogeneità di pubblici potenziali che manifestano bisogni e aspettative diverse. “La pratica museale degli ultimi decenni ha fatto molto per colmare questo divario, soprattutto attraverso le iniziative di audience development, volte a creare un senso di accoglienza e di inclusione per raggiungere proprio coloro che non facevano parte del pubblico abituale del museo. Si tratta però di un approccio paternalistico che propone loro un modello implicitamente normativo circa ciò che dovrebbe piacergli e interessargli”, spiega Pierluigi Sacco, Professore Ordinario alla IULM di Milano e coorganizzatore di un ciclo di nove incontri dal titolo Open Doors. Il museo partecipativo oggi, che si articolano fino a novembre 2022 nell’alveo di Fondazione Brescia Musei.
L’approccio moderno dovrebbe invece inquadrare il museo come spazio di scambio sociale basato sulla partecipazione attiva, spiegano i promotori del progetto, al di là di ogni possibile barriera educativa o socio-economica. Questo processo è tanto più urgente se calato nel mondo della disabilità: nel 2015 dichiaravano di essere accessibili per le persone con limitazioni gravi solo il 37,5% dei musei italiani, il 20,4% prevedeva supporti per i non vedenti; solo il 17,3% delle strutture culturali garantiva un biglietto gratuito o ridotto alle persone disabili (Istat 2019). Intenzionato a dirimere la questione è l’ICOM: nell’ambito della 26esima Assemblea Generale Straordinaria dell’International Council of Museums (Praga, agosto 2022), si è sancita una nuova definizione di museo, “aperto al pubblico, accessibile, inclusivo, volto a promuovere “la diversità e la sostenibilità“.
Eppure l’accessibilità a persone con disabilità cognitive e intellettive è ancora largamente disattesa, con poche lungimiranti eccezioni che si individuano singolarmente sul territorio nazionale. Pensiamo al modello eccellente del Museo Tattile Statale Omero di Ancona o all’impegno del Palazzo delle Esposizioni di Roma, che lo scorso gennaio ha promosso il Punti di Vista Festival con un focus sulla tattilità per ribaltare lo sguardo sull’arte, sul mondo e sulla disabilità intesa come risorsa, e più diffusamente offre un serio programma di proposte educative accessibili. Sempre nella Capitale, si segnala la piattaforma digitale Mixt, che il MAXXI ha perfezionato per offrire un percorso partecipato e accessibile di scoperta e narrazione dell’architettura. Mentre il Museo e Atelier Tolomeo, fondato presso l’Istituto dei Ciechi Cavazza di Bologna da Fabio Fornasari, è presto diventato laboratorio per pensare e progettare esperienze di accessibilità da condividere nei luoghi della cultura.
Insieme a Maria Chiara Ciaccheri, Fornasari ha recentemente firmato il libro Il museo per tutti. Buone pratiche di accessibilità, analizzando come è cambiato il rapporto tra società e museo, e come si sta evolvendo il modo di percepire la disabilità al museo, in quanto portatrice di nuovi codici e nuovi linguaggi che possono coinvolgere tutti.

Pinacoteca di Brera. Guide Museo per Tutti

Pinacoteca di Brera. Guide Museo per Tutti

LA RETE DI MUSEO PER TUTTI

Si distingue con merito anche il progetto Museo per tutti, ideato nel 2015 dall’associazione L’abilità con il sostegno di Fondazione De Agostini e nato con la finalità di migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità intellettiva, offrendo loro un nuovo spazio d’incontro e scambio nella società. Oggi la rete comprende ventinove musei, un insieme che costituisce la più ampia offerta culturale proposta al pubblico con disabilità intellettiva, comprendendo arte antica e contemporanea, beni naturalistici ed etnoantropologici (stona la ridottissima presenza di realtà nel Mezzogiorno). Alla Pinacoteca di Brera (da anni molto attiva sul tema dell’accessibilità: citiamo a riguardo il progetto DescriVedendo, rivolto a non vedenti e ipovedenti), la partecipazione alla rete ha di recente portato alla redazione di una guida che permette al visitatore con disabilità intellettiva e al suo accompagnatore di vivere in piena autonomia l’esperienza della visita al museo. Alla Reggia di Venaria la persona disabile può beneficiare di un percorso sensoriale tra orto e frutteto dei giardini del palazzo torinese; il Museo degli Innocenti di Firenze, nella sua ristrutturazione più recente, ha abbattuto barriere fisiche ostative e adottato attenzioni espositive circa illuminazione e distribuzione degli spazi, funzionali a una fruizione inclusiva. Il circuito include anche beni FAI. Tra i materiali online, il progetto mette a disposizione una guida accessibile ai luoghi della rete, comprensiva di una mappa sensoriale che segnala variazioni luminose che possono causare fastidio, aree soggette a sovraffollamento ed eventuali impedimenti infrastrutturali. È invece l’Ente Nazionale Sordi a curare la piattaforma online M.A.P.S., che mappa i musei accessibili alle persone sorde.
Anche a livello ministeriale si è lavorato per mettere in rete uno strumento utile a verificare le condizioni di accessibilità ai musei e alle aree archeologiche statali aperte al pubblico. La piattaforma di riferimento è A.D. Arte (accessibilitamusei.beniculturali.it): dall’elenco dei luoghi si arriva alle singole schede descrittive che riportano tutte le informazioni su servizi, barriere architettoniche, soluzioni per favorire una fruizione inclusiva.

Coda - I segni del cuore

Coda – I segni del cuore

FOCUS #1. TROY KOTSUR. IL PREMIO OSCAR E LA SORDITÀ

All’ultima cerimonia degli Oscar, Troy Kotsur è salito sul palco per ritirare la statuetta come Miglior attore non protagonista 2022 per il ruolo interpretato nel film Coda – I segni del cuore, eletto anche Miglior film dell’anno. Classe 1968, nato sordo, all’inizio degli Anni Novanta ha fondato a Los Angeles il Deaf West Theatre, compagnia teatrale che produce spettacoli inclusivi, portando in scena la lingua dei segni, con cast che mettono insieme attori sordi e udenti (presto al lavoro su un musical tratto dal film Coda). Nel 2003, con la rappresentazione del musical Big River a Broadway, la compagnia ha avuto il merito di sollecitare in America una seria riflessione sulla partecipazione di attori non udenti al mondo del teatro professionale.
Kotsur è il secondo attore sordo nella storia degli Oscar – dopo Marlee Matlin nel 1987, per Figli di un dio minore, anche lei presente in Coda – ad aggiudicarsi una statuetta. La pellicola, del resto, si concentra su una storia di sordità vissuta in famiglia, narrata con gli occhi e le ambizioni di Ruby, giovane 17enne “figlia udente di genitori sordi”, per dimostrare come la barriera tra sordi e non sordi possa essere superata – e di fatto è così nelle dinamiche di tutte le famiglie “coda” – semplicemente comunicando. Nella vita, come sul palcoscenico.

Attività per i bambini con Affido Culturale

Attività per i bambini con Affido Culturale

FOCUS #2. FAVORIRE L’INCLUSIONE: LO STRUMENTO DELL’AFFIDO CULTURALE

La maggior parte dei bambini italiani visita un museo, o in senso più esteso un luogo culturale, non più di una volta all’anno. A confermarlo è l’indagine dell’osservatorio sulla povertà educativa minorile di Openpolis. Da questa premessa nasce l’idea di Affido Culturale, che opera per favorire una forma di accessibilità ai luoghi culturali che abbatta barriere sociali, linguistiche ed economiche, coinvolgendo i bambini solitamente esclusi da esperienze al museo, a teatro, in luoghi di svago culturale. Un progetto maturato poco prima della pandemia, concretizzatosi – per ora – in quattro città (Napoli, Roma, Modena, Bari) grazie a un bando promosso dell’impresa sociale Con i bambini attingendo dal Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
Si mutua, dunque, lo strumento dell’affido familiare – ma alleggerito – per valorizzare le famiglie come risorsa, in un processo condiviso di socializzazione e scambio di prospettive tra affidatari e affidati, sostenuti psicologicamente ed economicamente dal progetto per diventare protagonisti di un patto educativo. Gli affidatari – in genere genitori che già guidano i propri figli alla scoperta di attività culturali – supportano così un ciclo di uscite che si protrae per la durata di un anno, in luoghi con cui Affido Culturale ha stretto delle convenzioni. Parliamo non solo di musei, ma di teatri, cinema, laboratori creativi, parchi, fattorie didattiche.
La mappa delle attività e tutte le informazioni utili sono raccolte su un’app gratuita, tramite cui generare anche un qrcode che permetterà di ottenere, in biglietteria, tre gratuità per ogni bambino affidato. Inoltre, il progetto fornisce un contributo forfettario per il carburante o i biglietti dei trasporti pubblici, e garantisce ai bambini una merenda con prodotti biologici o da realtà che hanno riscattato beni confiscati alle mafie. Prossimo passo? Puntare a farne un servizio pubblico, inquadrando la funzione nell’alveo istituzionale.

– Livia Montagnoli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #67

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