Heidi. Dai monti svizzeri al Museo Nazionale di Zurigo

Heidi è molto più che un cartone animato. Le sue vicende vengono raccolte nella mostra allestita al Museo Nazionale di Zurigo. Una mostra sulla pastorella svizzera capace di conquistare il mondo intero.

Bella la vita dei cartoni animati! Dopo anni di onorevole carriera spesi su piccolo e grande schermo, finisce pure che per alcuni di loro si spalanchino le porte dei musei. Ma per Heidi, che quest’anno festeggia il 45esimo anniversario della messa in onda su Fuji Television, si tratta di un onore molto più grande, che non tocca solo il famoso cartoon diretto da Isao Takahata, il regista amico di Hayao Miyazaki scomparso lo scorso anno a 82 anni.
In Svizzera, Heidi è considerata infatti un’icona nazionale della letteratura per l’infanzia, un’eroina popolare che ha accompagnato e unito generazioni intere di lettori. Tradotto in più di cinquanta lingue, il romanzo di Johanna Spyri ha ispirato Hollywood (dal film muto con Madge Evans al musical con Shirley Temple), pubblicazioni di ogni genere e rinvigorito il turismo elvetico. È in Giappone, tuttavia, che il successo di Heidi è stato travolgente, cambiando non solo l’intrattenimento giovanile, ma recapitando agli spettatori giapponesi un’immagine bucolica della Svizzera.
L’Università e il Museo Nazionale di Zurigo sono diventati il luogo di una reunion intellettual-spettacolare senza precedenti, che ha dato vita a una mostra aperta fino al 13 ottobre, e a un simposio internazionale dove a parlare della pastorella delle Alpi in ogni sua declinazione sono intervenuti studiosi dei più prestigiosi atenei nipponici. Più due guest star che Heidi in tv l’hanno vista nascere: il produttore Junzo Nakajima e l’animatore Yoichi Kotabe. Anche Isao Takahata aveva in programma di partecipare, ma la morte l’ha strappato ai suoi estimatori.

UNA PASTORELLA AL MUSEO

Sono vent’anni che l’idea di questa mostra mi ha tenuto compagnia”, ci spiega Hans Bjarne Thomsen, professore presso il Dipartimento di Arti Orientali dell’Università di Zurigo, nonché organizzatore della mostra intitolata Heidi au Japon e del simposio Heidi from Japan: Anime, Narratives and Swiss Receptions, che ospite dell’ateneo dal 29 al 31 agosto scorsi.
Non è tuttavia la prima volta che il Museo Nazionale di Zurigo cede al fascino di programmi “pop”. In passato sono transitate le mostre Community Video (2017), Imagine 1968 (2018) e Montreux Jazz (2018). Da quando però ha aperto i battenti lo scorso 17 luglio, Heidi au Japon ha goduto di un’eccezionale copertura mediatica, ci spiega il responsabile della comunicazione Alexander Rechsteiner, attirando sia estimatori che turisti.
Piatto forte della mostra è il numeroso materiale messo a disposizione da collezionisti giapponesi principalmente dedicato alla serie animata del 1974. In esposizione riemergono dal passato art-book, “roman album”, libri illustrati per bambini, gadget, e perfino alcuni image board realizzati da Yoichi Kotabe, che della serie fu l’ideatore dei personaggi. Uno solo il cimelio legato al nome della scrittrice Johanna Spyri: il suo tavolo di lavoro.
La mostra offre inoltre uno spazio intitolato “Kino”, dove assistere a spezzoni della serie in lingua tedesca.

Heidi, creata da Yoichi Kotabe per la mostra al Museo Nazionale di Zurigo. Copyright Museo nazionale svizzero Yoichi Kotabe

Heidi, creata da Yoichi Kotabe per la mostra al Museo Nazionale Zurigo. Copyright Museo nazionale svizzero Yoichi Kotabe

UNA FINESTRA SULLA SVIZZERA

La prima volta di Heidi in lingua giapponese risale al 1920 grazie alla traduzione di Yaeko Nogami. Da allora sono seguite numerose altre versioni, compresa quella di Shosaku Fukamizu del 1924, Alps no Shojo (La bambina delle Alpi), apparsa a puntate sul periodico Shojo no Tomo (Un amico delle ragazze). Eppure si è dovuto attendere l’exploit di fumetti e animazione prima di vedere apparire il titolo oggi conosciuto: Alps no Shojo Haiji (Heidi la bambina delle Alpi), andando contro il proposito della scrittrice, che aveva vergato la seguente frase sotto il titolo del romanzo: “Una storia per bambini e per coloro che amano i bambini”.
Il simposio organizzato da Thomsen ha voluto mettere ordine nell’universo creativo legato alla piccola Heidi. “Gli obiettivi del simposio”, spiega Hans Bjarne Thomsen “sono essenzialmente quattro: raccontare al pubblico questa forma d’arte chiamata “anime”; svelare il legame tra Svizzera e Giappone; mostrare l’importanza globale della storia svizzera di Heidi e spiegare al pubblico svizzero quanto sia stato fondamentale l’anime di Heidi nella percezione della Svizzera. L’anime giapponese è diventato insomma una finestra attraverso la quale tutti loro possono vedere il nostro Paese”.

HEIDI APPARTIENE AL MONDO INTERO

Gli appassionati di animazione l’avevano capito subito che c’era qualcosa in Heidi di totalmente inaspettato. Takahata immaginò la sua serie in chiave pedagogica e al tempo stesso fu bravissimo nel tratteggiare la semplicità e l’amore per la natura, in un contesto narrativo capace di trasformare letteralmente gli individui: come il burbero nonno della bimba, il Vecchio dell’Alpe, che alla fine riceve la benedizione dell’altruismo.
Dice Thomsen: “L’anime è stato un evento rivoluzionario per lo stesso Takahata e per l’industria degli anime. Sebbene “Heidi” sia stato creato per il pubblico giapponese, ha raggiunto il successo mondiale. Ciò ha aperto gli occhi dei produttori di cartoon giapponesi, che fino ad allora si erano ritenuti inferiori rispetto alla Disney e ad altri produttori stranieri. In altre parole, “Heidi” ha consentito l’accettazione degli anime al mondo intero”.
Se per Takahata e il suo discepolo Miyazaki la serie animata ha praticamente cementificato un sodalizio professionale che porterà entrambi alla fondazione del celebre Studio Ghibli, per l’animazione giapponese Heidi ha rappresentato una singolarità formidabile. Thomsen non ha dubbi al riguardo: “Per l’industria giapponese, il fenomeno “Heidi” ha portato avanti una serie di innovazioni, ad esempio il fatto di avere un personaggio femminile come protagonista principale. Prima del 1974 c’era posto solo per uomini, giovani ragazzi e robot! Dopo “Heidi”, le serie tv e anche molti film hanno cominciato a presentare eroine femminili. Un’altra importante innovazione della serie è stata l’idea del “lokehan” (cioè: location hunting), dove una parte del team creativo partiva alla ricerca di luoghi per le ambientazioni. Heidi è stata il primo esempio di una pratica che oggi è diventata standard”. Così, 45 anni dopo quel debutto formidabile su Fuji Television, Heidi non pensa proprio a starsene tranquilla nell’alveo della memoria. Di recente i creativi giapponesi l’hanno trasformata addirittura in adolescente per una pubblicità della Nissin Cup Noodle. E il professor Thomsen sembra concordare a distanza:Heidi appartiene al mondo. Heidi non appartiene ad alcun individuo, adattamento o Paese. È necessario per noi vederla come un fenomeno globale in cui individui, artisti o culture diverse possono offrire nuove interpretazioni della storia. Fa parte di un processo evolutivo di cui ancora non abbiamo visto la fine”.

Mario A. Rumor

Zurigo // fino al 13 ottobre 2019
Heidi au Japon
MUSEO NAZIONALE DI ZURIGO
Museumstrasse 2
www.landesmuseum.ch

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Mario A. Rumor

Mario A. Rumor

Ha scritto di cinema e televisione per Il Mucchio, Empire Italia, Lettera43, Just Cinema e numerose altre riviste italiane e inglesi, tra cui Protoculture Addicts, TelefilmMagazine, Retro, Widescreen, DVD World, ManGa!, Scuola di Fumetto e Leggere:Tutti. Con Weird Book ha…

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