Essere street photographer. Intervista a Umberto Verdoliva

Diamo il via a una serie di interviste, in collaborazione con Daylight School di Roma, a chi ha scelto la street photography come linguaggio. Si parte con Umberto Verdoliva, che vede nella fotografia un mezzo per apprezzare di più la vita

C’è un momento nel quale occhio e mente del fotografo si allineano perfettamente regalandoci un senso di compiutezza, e, pur senza conoscere l’autore dietro lo scatto, o senza essere degli esperti di immagini, riconosciamo la coerenza di quell’attimo.
Sembra una di quelle frasi da pagine social sulla fotografia di strada dove si approda in cerca di un po’ di ego gratuito, è vero, ma in un mondo, quello della fotografia, che ha premuto sull’acceleratore (e dove spesso si vive di gratificazione istantanea), questo piccolo miracolo racchiude in sé un valore ancora più prezioso. Chi si approccia alla fotografia di strada (qualsiasi cosa questa etichetta voglia dire) si dà ancora il tempo per trovare se stesso?
C’è una frase di Amedeo Modigliani che ci ha sempre colpiti: “Con un occhio cerca nel mondo esterno, mentre con l’altro cerca il mondo dentro di te’’. Darsi del tempo per guardarsi dentro è un passaggio vitale per chi vuole raccontare attraverso la fotografia di strada, e crediamo rimanga l’unico modo per trovare la propria voce fotografica, per trovare il tutt’uno tra forma e contenuto.
Umberto Verdoliva (Castellamare di Stabia, 1961) è un fotografo il cui percorso artistico ha a che vedere con il ticchettio delle lancette, con l’orologio del destino, con la ricerca stilistica e interiore. Abbraccia la fotografia a 45 anni, ma da allora, forse anche per via dell’età adulta, ha intrapreso un viaggio personale che lo ha portato a trovare uno stile chiaro e coerente con la sua persona, diventando un apprezzato autore fotografico e pensatore libero della fotografia.

Umberto Verdoliva

Umberto Verdoliva

INTERVISTA A UMBERTO VERDOLIVA

Umberto, raccontaci un po’ di te.
Sono nato a Castellammare di Stabia in provincia di Napoli nel 1961, per lavoro ho viaggiato spesso, trascorrendo lunghi periodi in diverse città italiane. Attualmente vivo a Treviso, fotografo all’interno di un “cerchio”, esso rappresenta la mia vita. Fotografo, solo per me, quello che m’interessa, pur sapendo che, una volta libere, le fotografie prendono strade inimmaginabili. Tutto ciò che vivo rappresenta il perimetro/confine di un terreno fertile, uno stato creativo in cui semino e raccolgo.

Che cosa ti ha fatto innamorare della fotografia?
Osservare attentamente la gente intorno a me è sempre stata una pratica inconsapevole che mettevo in atto anche quando non fotografavo. Sono continuamente incuriosito dagli atteggiamenti, dal modo di porsi, dalle reazioni, dalle posture, dalle espressioni dei volti. Allo stesso tempo sono affascinato dai luoghi e da come questi modificano le nostre sensazioni e i nostri comportamenti.

Street photography è un’espressione molto in voga al momento, che cosa vuole dire secondo la tua esperienza di autore e di studioso?
La street photography è solo un termine per catalogare un certo tipo di fotografia. Come le etichette che indicano dove trovare velocemente i prodotti nelle corsie di un supermercato. Tu fotografi e qualcuno inserisce le fotografie nel reparto in cui pensa possano essere meglio individuate. Street photography è anche un termine che caratterizza da molti anni un “movimento” fatto di collettivi, festival, gruppi numerosi di fotografi che si riconoscono in un approccio, in un modo d’intendere la fotografia come osservazione della vita attraverso la strada, che si è dato delle regole, inizialmente abbastanza rigide, poi sempre più labili e fluttuanti a seconda del proprio essere. Come tutti i movimenti, all’interno ci sono cose stimolanti e valide e altre meno.

Scatti prevalentemente in analogico, perché?
La scelta di come e perché fotografare fa parte di quei processi di crescita, sperimentazione, cambiamenti che avvengono man mano che accumuli esperienza, consapevolezza, idee più chiare. In questo processo ho compreso che cogliere attimi con una fotocamera analogica è molto più difficile, non c’è la raffica come in quelle digitali, non hai la possibilità di vedere subito se hai colto il momento come volevi. Inoltre, la fotocamera digitale ti spinge a scattare di più, è un impulso incontrollato, cosa che difficilmente avviene con quella analogica, dove sei portato a pensare maggiormente e, di uno stesso momento, viceversa fai pochi scatti. Questo processo di “cattura” mi mette in condizioni di essere più attento e di vagliare bene cosa fotografare e come farlo.

Umberto Verdoliva

Umberto Verdoliva

LA STREET PHOTOGRAPHY SECONDO UMBERTO VERDOLIVA

Qual è l’esigenza che ti spinge a scattare fotografie?
Le necessità sono varie e si completano tra loro, miscelandosi nel tempo cambiando forma continuamente, diventando così ulteriori stimoli per proseguire la ricerca in tutti quegli elementi che forse sono la base della mia coscienza individuale, del mio modo di interpretare la vita. La fotografia, per me, anche quando osservo in lontananza, è uno sguardo specchiato rivolto verso di sé per ritrovare nella propria anima quella “bellezza”, in termini di armonia e fascino, che possa farti accettare, comprendere e affrontare il mondo che stai guardando, le sue indifferenze, le difficoltà, la ricerca di un senso.

Quali autori hanno influenzato i tuoi lavori fotografici e che cosa hai attinto da ognuno di loro?
Ho studiato in questi anni centinaia di “maestri”, ma anche osservato talenti sconosciuti che a mano a mano ho incontrato lungo il mio percorso. Da ognuno c’è sempre da imparare qualcosa, mi piace approfondire le motivazioni delle loro scelte: è da lì che comprendi il senso che danno alla loro fotografia. Penso anche che, osservando tanta fotografia, ti si apre un mondo di possibilità su ciò che puoi sviluppare e sul come farlo; dipende dal posto in cui metti la fotografia nella tua vita, da quale importanza le dai. Amo la fotografia umanista, poetica, amo il ricordo e la memoria, amo la documentazione dei tempi e, pertanto, tutti quegli autori che sono in linea con questo mio pensiero.

Quando scatti pensi a priori a una sequenza o ti fai guidare dalle situazioni che vivi?
La maggior parte dei progetti che sviluppo nascono accumulando in un “cassetto” immagini che ritengo abbiano la capacità di stare insieme. Scendo in strada LIBERO da preconcetti e aperto all’incontro, poi, nel tempo, decido come presentare un lavoro, consapevole che quello è solo un modo come un altro, una sorta di abito, per presentarmi a un appuntamento. Tutto quello che fotografo è parte di me e del mio progetto di vita. Le serie, appunto come gli abiti, possono cambiare il modo e il senso per dire qualcosa.

Una delle cose più importanti per chi vuole far fare un salto alla propria produzione fotografica è trovare il proprio stile, la propria ‘’cifra stilistica’’, cosa che tu hai fatto. Quali consigli daresti a chi vuole passare da scattare in strada a raccontare la strada?
Consiglio di pensare di più alla vita che alla fotografia, la fotografia è un mezzo che ti aiuta ad apprezzare di più la vita. Consiglio di fotografare nel modo più naturale possibile. Di essere mentalmente coinvolti. Di ascoltare le proprie sensazioni e di essere se stessi, questo si riflette nella propria fotografia acquisendo nel tempo una sua dimensione e riconoscibilità.

Marco Sconocchia

https://www.umbertoverdoliva.com/

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Marco Sconocchia

Marco Sconocchia

Marco Sconocchia è nato a Torino nel 1988 e ha studiato fotografia all’Istituto Franco Balbis. Nel 2011 si trasferisce a Londra, dove inizia a seguire storie metropolitane su droga, lottatori a mani nude, zingari irlandesi, case popolari, alcolisti nei peggiori…

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