Manifesta 2022 a Prishtina. Visitare e capire la mostra che vuole cambiare la città

La biennale itinerante “Manifesta” quest’anno si ferma a Prishtina. Per la prima volta una importante mostra internazionale si pone l’obbiettivo di cambiare a livello urbanistico la città che la ospita

La solfa è sempre la stessa. Una città scomoda da raggiungere e da percorrere, possibilmente sconosciuta e fuori da ogni immaginabile flusso turistico, e poi opere d’arte realizzate nei suoi luoghi più impervi. Lo abbiamo visto per mille biennali delle ultime due decadi e sembra che tutto si ripeta anche nella remota Prishtina dove è appena partita la biennale itinerante Manifesta. Questa volta tuttavia le cose potrebbero andare un po’ diversamente. Siamo del resto in un anno di transizione e di parecchi cambiamenti, anche nel mondo delle grandi mostre. Cambiamenti dai quali sarà difficile tornare indietro. La Triennale di Milano ha allestimenti tutti riciclabili, laBiennale di Venezia ha invitato ad esporre praticamente solo donne, Documenta di Kassel si è trasformata in un discusso laboratorio con migliaia di artisti riuniti in collettivi. Alcune novità saranno effimere, certo, altre però segneranno uno spartiacque e sono qui per restare. E Manifesta? Manifesta si è alleata a doppio nodo con la città e il territorio che la ospita quest’anno e si è posta come una specie di agenzia per la rigenerazione urbana, con un orizzonte ben più lungo dei tre mesi di durata della mostra. È la prima volta che una grande mostra lo fa, probabile che non sarà l’ultima.

Manifesta Prishtina Narrative Practices

Manifesta Prishtina Narrative Practices

UNA MOSTRA INTERNAZIONALE CHE DIVENTA SUPER-LOCALE

L’afflato ultra-local della biennale itinerante già era percepibile dalla lista degli artisti. Un numero assai significativo proprio dal Kosovo, un numero schiacciantemente maggioritario dai Balcani. Una mostra internazionale con due terzi degli artisti invitati di provenienza regionale onestamente non si era mai vista. Un po’ come se la Manifesta di Palermo, quella del 2018, avesse avuto il 65% di artisti siciliani. L’avremmo tacciata di provincialismo, qui invece il proposito appare lucidamente calcolato.
Manifesta quest’anno punta moltissimo su tour mediati e visite guidate e si articola essenzialmente in due grandi momenti espositivi. Uno si svolge nel Grand Hotel di Prishtina dove su 7 piani si dipana la mostra principale con una suddivisione schematica per temi: transizione, migrazione, acqua, capitale, amore, ecologia, speculazione. Ne esce una esposizione sui grandi temi dell’attualità osservati però con l’occhio preponderante degli artisti balcanici, in uno spazio emblematico che metaforizza alla perfezione la città (abitato, restaurato, diroccato tutto assieme) e che inquadra dalle finestre tutte le strabilianti architetture brutalist-balcaniche del centro ben raccontate nei video della trilogia di Driant Zeneli presentata per intero al piano 9. Il resto della manifestazione, fuori dal Grand Hotel, è sparpagliato in città negli spazi più vari (cimiteri, osservatori astronomici, hammam, musei, università, piazze) ma con un approccio che risulta coerente: il tentativo recupero della capitale kosovara e del suo spazio pubblico.

RIQUALIFICARE LO SPAZIO PUBBLICO UTILIZZANDO UNA MOSTRA D’ARTE

Vi invitiamo a girare, a crearvi la vostra storia e la vostra esperienza in questa città che è tutta da fare, tutta da immaginare e da disegnare e quindi per questo è un luogo di opportunità” spiega il sindaco Perparim Rama. E in effetti Prishtina così appare: tutta da fare. La ripartenza dell’economia è lenta, gli scambi commerciali sono limitati ai rapporti con l’Albania e, ovviamente più difficili, con la Serbia. Con quest’ultimo paese l’efferata guerra sembra finita da poco e invece sono passati oltre vent’anni. Ma che sia il tempo di riprendersi il mano il destino, rigenerare gli spazi e le architetture e ripartire sembra un convincimento diffuso e Manifesta quest’anno ha deciso di porsi esattamente come un volano in questo senso. Uno strumento per far partire i processi, per rompere la cortina burocratica di lentezze, per favorire l’arrivo di capitali e investimenti. “Sono convinto che questo modello” insiste il primo cittadino “possa essere replicato in altre città dopo di noi”. Se il Comune ci crede, il Governo non è da meno: “abbiamo investito qualcosa come 2 milioni in questa iniziativa, per noi è un messaggio che mandiamo all’Europa per far vedere a tutti che noi siamo capaci, che non siamo da meno di altre città”.
L’obbiettivo insomma era rigenerare spazio pubblico e restituirlo ai cittadini, lo strumento efficace – per la prima volta, attenzione – si è rivelato essere una mostra d’arte. E la metodologia? Mancava la metodologia e così Manifesta assieme alla Città di Prihstina si sono rivolte a Carlo Ratti. Lo studio torinese ha lavorato su un modello di analisi finalizzato a visualizzare i desiderata della popolazione a partire dai feedback delle persone all’insegna del “senso comune” (questo il titolo della progettualità). Sono emersi dei bisogni, ad esempio quello della pedonalità e degli spazi verdi, e su questi bisogni ha lavorato sia direttamente Carlo Ratti (ad esempio promuovendo nuove isole pedonali in centro o trasformando in ‘green corridor’ una ferrovia abbandonata, fino a 20 giorni fa ancora discarica) sia altri artisti che hanno orientato la loro ricerca sulla riflessione necessaria al recupero di spazi abbandonati. Sislej Xhafa ad esempio ha puntato sul vecchio cimitero dei martiri della Seconda Guerra Mondiale (e della guerra degli Anni Novanta contro la Serbia); Christian Nyampeta ha presentato il suo video in uno storico – e struggente! – cinema in rovina; Alban Muja ha costruito un sopralzo abusivo sopra il centro commerciale Germia parte dell’identità cittadina ma in cerca di nuova destinazione; Cevdet Erek ha lavorato con un progetto di suoni e luci (forse la cosa migliore di tutta la rassegna) nella ex tipografia del Rilindja, mitico quotidiano locale dei tempi della Yugoslavia; la ngo ETEA ha costretto i visitatori a visitare una ex school-house diroccata (le scuole private dei kosovari albanesi ai tempi della repressione serba degli Anni Novanta); Lee Bul, infine, ha piazzato un suo enorme sommergibile specchiante nel Palazzo dei Giovani e dello Sport. Questo palazzo, assieme alla Biblioteca Nazionale, è l’icona architettonica più riconoscibile del paese, peccato che una volta andato a fuoco non sia stato mai recuperato e il campo da basket è ormai trasformato nel parking sopra il quale l’installazione è stata allestita. Tutti questi spazi brutalisti che definiscono lo skyline (e lo spirito) di Prishtina necessitano insomma di uno sprone per essere rifunzionalizzato ed uscire dall’oblio dopo anni di usi impropri e abusivi. Manifesta riuscirà a sbloccare la situazione come si è proposta?

Manifsta - La ex school house di Prishtina

Manifsta – La ex school house di Prishtina

CENTER FOR NARRATIVE PRACTICE E BRICK FACTORY A PRISHTINA

Ci sono spazi dunque che tentano di uscire dal cono d’ombra grazie agli artisti e ci sono altri spazi che dal cono d’ombra sono già usciti grazie all’impegno ‘urbanistico’ di Manifesta qui a Prishtina. Girando le varie sedi della mostra in città (recuperate una cartina dell’organizzazione e seguite i punti verdi disegnati sui marciapiedi, tutto è visibile a piedi) non è difficile trovarli. Due esempi emblematici sono l’ex fabbrica di mattoni e il Centro di Pratiche Narrative.

Manifesta Prishtina Brick Factory

Manifesta Prishtina – workshop e summer school alla ex fabbrica di mattoni

La Brick Factory è stata a lungo l’impianto di produzione di laterizi più importante della Yugoslavia. Era connessa direttamente con la rete ferroviaria e infatti si trova vicinissima al “green corridor” di Carlo Ratti realizzato al posto della vecchia linea ferrata Prishtina-Belgrado. “Non riesco a riconoscerla, fino a qualche settimana fa qui era tutto pieno di spazzatura, sembra che sia cambiata tutta la città cambiando questo posto”. A non credere ai propri occhi è perfino la mediatrice kosovara che ci accompagna a visitare lo spazio: grazie a Manifesta è stato incaricato un collettivo berlinese (raumlaborberlin) con l’obbiettivo di immaginare assieme ai cittadini quale sarà la destinazione e l’identità di questo spazio enorme: concerti? Sport? Arte? Magari una piscina.
Altro esempio è il Center for Narrative Practices appunto. Altro edificio abbandonato che è stato recuperato di tutto punto grazie a Manifestache ha intercettato finanziamenti lussemburghesi. Hanno realizzato una libreria per bambini, spazi per workshop, studi di registrazione in affitto, workshop per artigiani, un giardino e un caffè. “Qui faremo attività per tutta la durata della mostra ma soprattutto continueremo dopo, sarà uno spazio gestito dalla municipalità, un nuovo hub culturale della città” ci spiegano. La recensione di Manifesta 2022, insomma, andrebbe fatta tra un anno o due, tornando qui e vedendo cosa è rimasto, cosa è andato a gambe all’aria, cosa ha davvero determinato cambiamento ed evoluzioni. Nell’auspicio che, dai trasporti aerei alle tariffe telefoniche, il Kosovo diventi un poco più Europa, come si merita per storia, collocazione geografica e spirito.

Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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