È un Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961) filtrato dagli occhi di due grandi e munifiche collezioniste quello che vediamo scorrere sulle eleganti pareti della Galleria Russo a Roma. Alludiamo a Margherita Sarfatti, “la domina dell’arte italiana tra il 1922 e il 1929” (Fabio Benzi, testo in catalogo) che lo riteneva il più grande artista italiano della sua epoca e ne collezionò centinaia di opere; e alla più defilata Ada Catenacci, che gli fu amica e lo aiutò nel ’46 comprandogli numerose opere, tra cui una cartella con 346 disegni e bozzetti di soggetto politico eseguiti per Il Popolo d’Italia, l’organo del Partito Nazionale Fascista.

LA MOSTRA SU SIRONI A ROMA
La mostra documenta le varie fasi della ricerca sironiana: dai primordi divisionisti – fu allievo di Balla assieme a Boccioni e Severini – al dionisismo futurista; dall’intensa attività di illustratore alle celebri periferie urbane, sintesi straordinarie di visione metafisica e tensione sociale; dalla classicità apollinea del novecentismo – memore però dell’esperienza avanguardistica ‒ alle composizioni del dopoguerra, prossime all’informale.
“Sironi ha tramutato il dinamismo boccioniano delle linee-forza in un vibrante plasticismo”: questa citazione è il nostro omaggio al critico d’arte e saggista Luigi Tallarico, appassionato cultore della poetica sironiana, scomparso tre mesi fa.
‒ Luigi Capano
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