Aspettando Arte Fiera. Intervista ad Angela Vettese

Con un budget di gran lunga inferiore agli 80.000 euro, tra lusso, distinzione, visibilità, attrattiva e relazioni internazionali, la neo-direttrice della fiera bolognese racconta le scelte ponderate che ha dovuto affrontare in questi mesi per riformulare la kermesse fieristica. Una programmazione che la vede innovatrice, ma anche estremamente cauta e in attesa di risultati.

Il 27 gennaio inaugurerà la 41esima edizione di Arte Fiera: 133 gallerie nella Main Section e una veste grafica ripulita, ma, forse, non ancora fluente e del tutto accattivante; un’interfaccia che, a pochi giorni dall’inizio, lascia sottintendere, però, la ricerca di piccole e grandi rivoluzioni, a opera di una tenace Angela Vettese.

Qual è stata una fiera dell’arte, in Italia, o all’estero che ti ha colpita, negli anni passati, oppure di recente? E se sì, per quale motivo?
Sceglierei Frieze Masters, perché segna una forte tendenza, che mostre come documenta13 o come la Biennale di Venezia 2013 ci avevano già sottoposto e cioè l’attitudine, la disposizione a mescolare epoche e tipologie di oggetti provenienti da mondi diversi. Paradossalmente, come impostazione, questa consuetudine è più vicina alle ricerche degli storici dell’arte, facendo emergere un orientamento all’anacronismo, tendenza storiografica incarnata da Georges Didi-Huberman. Frieze Masters è risultata molto in linea con questa tendenza, piuttosto che la riproposizione di riferimenti classici alle fiere dell’arte come Art Basel oppure la stessa Frieze, o, ancora, Fiac. Il mio, però, è uno sguardo prospettivo.

Dunque dove stanno andando il gusto e la pratica del collezionare?
Probabilmente l’arte contemporanea non perderà più, mi auguro, il proprio ruolo di Gran Maestro nel gioco delle compravendite. Ma si mostrerà sempre di più sfoggiando una grande libertà di mescolanza di vari aspetti. Quel che più mi interessa non è tanto l’affondo sull’antico, o sul tappeto, inteso come oggetto esotico e decorativo, quanto l’aspetto di rivalutazione di un certo ambito del fatto a mano. Ritengo ci sia un desiderio di artigianalità.
Nel 2008 è uscito il libro di Richard Sennett, L’uomo artigiano, fra le sue pagine si descrive un’umanità informatizzata che però non riesce a rinunciare alle proprie mani, in qualsiasi modo queste vengano utilizzate: sia che si decida di plasmare una terracotta sia di fare un ricamo o un lampadario. Questa inclinazione istintiva finirà per avere un effetto di rimbalzo anche sull’arte contemporanea. Premesso questo, non mi aspetto che l’arte torni a una manualità, con la stessa accezione che questo termine aveva negli Anni Ottanta, e cioè legata a un ritorno alla pittura, anche perché l’arte contemporanea non l’ha mai abbandonata. I dipinti sono lavori che si vendono e che circolano meglio, rispetto ad altri. Io mi aspetto, però, che molti artisti tornino a fare, a produrre così come succede per William Kentridge o Wael Shawky, cioè contaminare l’aspetto tecnologico con quello manuale.

Arte Fiera, Bologna

Arte Fiera, Bologna

In precedenza, prima del tuo incarico, quali potevano essere i parametri con i quali giudicare una buona fiera? E adesso, invece?
Un parametro è sicuramente la qualità delle opere. L’impegno che il gallerista spende nel creare uno stand coerente, con lavori belli e con il desiderio di allestire una mostra, più che esporre uno stand di vendita. Non tutte le gallerie lo capiscono, ma hanno bisogno di questa impostazione. Perché si va sempre meno in galleria. Ce ne sono troppe e in tutte le parti del mondo. Il momento in cui io vedo una galleria è molto più facilmente memorabile in uno stand in fiera, da Fiac a Basel Miami, piuttosto che nella sede fisica della galleria.
Un altro parametro è la compattezza. Non si può costringere uno spettatore, per due giorni, a deambulare riempiendosi gli occhi, facendo un’indigestione di oggetti visibili. Credo che la ridondanza nell’offerta sia obbligatoria per fiere come Art Basel, appunto, ma per una rassegna che voglia rinnovarsi non mi sembra la formula migliore. Una compattezza di visita è gradita a tutti. Un altro parametro è dato anche, di riflesso, dall’essenzialità espositiva e da come il gallerista singolo concepisce il proprio stand. Sarebbe bello che si costituissero non solo ambiti di vendita – tutti possono vendere quel che credono. La loro identità non dovrà passare attraverso opere disposte in una quadreria, ma attraverso la coerenza, forse anche la poesia, che trasmetterà lo spazio minimo degli stand

In una recente intervista, hai affermato che la mancanza di glamour ha insidiato anche la credibilità di Arte Fiera. Nel mercato del lusso, come trasformare l’apparenza, la visibilità, in reputazione, in profondità di lettura, in sistema?
Lusso è un termine molto complesso. Io faccio riferimento a quello che ha descritto Pierre Bourdieu in Distinction: a social critique of the judgement of taste, cioè metto in relazione tutti quegli elementi che fanno sì che una persona possa sentirsi definita, che possa avere dei gusti raffinati, formati dalla conoscenza, da un alto grado di scolarità, da un alto grado di originalità e distacco dal gusto medio. Sono tutte caratteristiche che troviamo nel collezionista contemporaneo. Una categoria abbiente che ama il lusso nella sua accezione più raffinata e più legata al sapere, e non, ad esempio, alla raccolta di automobili. Il numero di modelli di autovetture, al mondo, è dato, è finito, non succede così per l’arte: bisogna sapersi orientare nella selva delle opere e degli artisti, richiede esercizi nel gioco della conoscenza.
Glamour, per una fiera d’arte, non significa solamente luccichii, bollicine e paillettes, ma significa saper trasmettere un’idea di lusso che ha a che fare con un gusto molto da coltivare.

Quali sono i tre fattori principali che daranno smalto ad Arte Fiera 2017?
Quest’anno sono state escluse numerose gallerie, grazie al rigore di un comitato scientifico molto serio, nel quale ho voluto ci fosse un curatore come Roberto Pinto e un’ordinaria di storia dell’arte contemporanea come Maria Grazia Messina. Due persone che non sono interne al mondo delle gallerie. E anche i galleristi, coinvolti nella selezione, sono professionisti impegnati sul piano culturale. Persone che lavorano con gli artisti e che hanno un rapporto con il mercato che passa attraverso la persona, che non la aggira. La restrizione del numero di gallerie è un segnale forte, di selezione, che mi è stato concesso di adottare da parte della direzione di Arte Fiera, perché significa ridurre i guadagni.
Inoltre, è stata organizzata una programmazione di proposte che dall’interno della fiera vadano anche verso la città, che digradano dal commerciale al non commerciale.

Arte Fiera, Bologna, foto Michele Nucci

Arte Fiera, Bologna, foto Michele Nucci

Puoi fare qualche esempio?
Ci sarà una sezione di fotografie commerciali, che ho curato io, ma anche una sezione di gallerie sperimentali che non venderanno. Saranno esposti insieme alla mostra di fotografie Genda, che poi nasce da un periodico, in perfetto collegamento con l’editoria e con Printville, il bookshop, molto articolato, che ho voluto come una cittadella del libro, con libri in vendita e non. Poi avremo anche lecture d’artista, propriamente lezioni di autori, time e site specific, che si proporranno internamente ed esternamente alla fiera, nella città. Ci saranno moltissimi talk, soprattutto sulla fotografia; due rassegne di film, una riguardante l’identità italiana composta da registi di diverse nazionalità (curata da Mark Nash) e una rassegna di video italiani documentari al MAMbo. Tutta questa programmazione è stata creata per concepire la fiera come una sorta di emittente: un luogo dove si compra e si vende, ma dal quale vengono emesse onde continue di attività, in dialogo con il territorio sul quale si propagano. L’impegno è di carattere necessariamente culturale. Le fiere lo devono essere oggi, più di un tempo.

E qual è la giusta combinazione di strumenti attrattivi per richiamare, in particolar modo, le gallerie straniere extra-europee?
Qualche galleria straniera ci sarà e se arrivano sono le benvenute, ma per il momento io sto cercando di suscitare dei desideri. La qualità dell’evento, nella sua globalità, deve far venire voglia di esserci. Inoltre, non possiamo dimenticarci che noi abbiamo un ostacolo fiscale grave, perché in Italia si vende con un’iva molto alta. Bisogna anche rendersi conto che i casi virtuosi, in Italia, di fiere che attraggono gallerie internazionali, hanno oggi luogo a Milano, in una città in via di ridefinizione, grazie ad Expo – periodo durante il quale hanno cominciato a circolare le giuste energie – e poi a Torino. Artissima ha l’enorme vantaggio creato da istituzioni che comprano le opere, è la città che aiuta la fiera e non viceversa. Prevedo sia difficile che per Bologna capiti qualcosa di simile a quel che è avvenuto per Milano e Torino, però Bologna è pur sempre la città con la più antica università del mondo, sa fare i suoi miracoli. Per un certo periodo è stata molto attraente: ha saputo mantenere la capacità di essere allo stesso tempo profonda e scanzonata, dotta e molto ospitale. Io spero che mettendo insieme conoscenza e buon vino si riesca a ridefinire Bologna come uno degli appuntamenti che una galleria internazionale può desiderare.

In Italia, alcune gallerie d’eccellenza vengono attirate da fiere altamente propositive, rispetto ad Arte Fiera il cui fatturato delle vendite è di gran lunga maggiore. Per quale motivo?
Per le gallerie che hanno ambizioni fortemente internazionali, come gli spazi di Raffaella Cortese e di Massimo De Carlo, fiere come Artissima e miart possono rappresentare vetrine più accattivanti, all’interno delle quali le relazioni internazionali e istituzionali possono essere coltivate meglio. Quella di Bologna è una fiera italiana, anche se il nostro sguardo potrà andare oltre. Chi vuole vendere viene a Bologna, ma chi deve estendere il proprio network di visibilità extraeuropea no.

In termini di budget, per apportare i miglioramenti che hai ritenuto necessari, di quale cifra hai dovuto disporre? Ti sei dotata anche di un raffinato team di consulenti, di figure che seguissero gli aspetti più prettamente curatoriali…
Ci sono sempre stati circa 100.000 euro che gli organizzatori precedenti avevano a diposizione per realizzare eventi. Lo affermo citando un’intervista recente di Spadoni, in cui lui riporta il fatto che, durante la sua edizione, siano stati dati 80.00 euro alla città e 100.000 euro per le iniziative della fiera. In realtà quest’anno si sono invertiti i termini, ma io di certo non sono arrivata a spenderne 80.000. Il vero cambiamento economico, se ci sarà, è di cui devo ringraziare Arte Fiera è che guadagneranno di meno, a causa della drastica selezione apportata al numero di stand e dunque di opere vendute. Nonostante il numero di richieste per partecipare sia aumentato.

Arte Fiera, Bologna

Arte Fiera, Bologna

Bologna come reagirà ad Arte Fiera 2017? Potresti ricordare tre appuntamenti di Art City Polis da non perdere durante i giorni di apertura?
Io ho organizzato alcune iniziative che vanno in città e che apriranno all’interno dei musei cittadini come il Museo Archeologico, il MaMbo e in vari palazzi bolognesi. Molti eventi sono stati organizzati in autonomia da quella che, una volta, era la direzione dei Musei Civici. Molti altri appuntamenti saranno organizzati dalle gallerie così come dall’università; ci saranno così tanti interventi e manifestazioni che, a oggi, resta una sorpresa anche per me capire quale sarà la serata o la giornata maggiormente imperdibile. Invito tutti a prendere visione del programma, peraltro ancora in via di aggiornamento definitivo.

Quali sono i tuoi progetti espositivi futuri, una volta terminata la fiera?
È in uscita un mio libro sulla città di Venezia, poi ho in cantiere diverse pubblicazioni, senza dimenticare che continuo la mia attività di docente universitaria allo IUAV, come direttrice di un corso di arti visive, con laboratori e artisti/professori come Joan Jonas e Antoni Muntadas, e come direttrice, anche, del master di fotografia. Inoltre ho ottenuto dal rettore il mandato per lanciare una nuova sede espositiva, di proprietà dell’università, che sarà nel bellissimo Palazzo Ca’ Tron, dove quest’estate il gruppo sloveno Irwin farà una mostra sulla clandestinità.

Potresti esprimere un pensiero, un augurio che accompagni, invece, questa tua prima volta?
L’incarico come direttrice della fiera avrebbe dovuto essere triennale, poi, per questioni contrattuali, abbiamo capito che sarebbe stato meglio renderlo annuale. Più cauto, amministrativamente parlando. Io mi auguro che i miei incarichi, subito dopo e nei confronti di Arte Fiera, non si dilatino. Sono arrivata alla mia veneranda età per capire che ho sempre fatto troppo, ma che, anche, bisogna comunque essere in grado di saper fare due-tre cose alla volta. Resto davvero felicissima che in un’età non-giovane mi capiti di poter fare un’esperienza di questo tipo per la prima volta, quindi sono anche un po’ umile rispetto ai miei risultati, perché le prime volte sono sempre pericolose. Poter pensare che ancora oggi qualcuno possa chiamarmi per imparare un mestiere nuovo è esaltante [ride, N.d.R.]. Dunque incrociamo le dita: non è detto che io, fino in fondo, ce la sappia fare.

Ginevra Bria

www.artefiera.it
www.artcity.bologna.it

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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