Salvaguardare le architetture del Novecento italiano. Il caso della Palazzina Federici a Roma

Omaggia Paolo Portoghesi il convegno “Manifesto per il ‘900 – Salvaguardia del moderno e Archivi di Architettura” in programma alla Casa dell’Architettura di Roma il 9 giugno 2023. Interverrà anche l’architetto Paolo Verdeschi, che qui analizza un caso simbolo

Recentemente al MAXXI si è svolta una lezione-conversazione riguardante lo studio di architettura Monaco Luccichenti, tenuta dal professore Piero Ostilio Rossi e dall’architetto Edoardo Monaco. Un excursus limitato nel tempo, dagli anni della formazione di entrambi gli architetti presso il Regio Istituto Superiore di Architettura di Roma fino al 1937, quando iniziò ufficialmente il loro sodalizio professionale con il progetto della Villa Petacci alla Camilluccia, nella Capitale. Un periodo breve della loro attività professionale, ma comunque sufficiente a raccontare la qualità e l’innovazione della loro architettura che Edoardo Monaco ha illustrato evidenziando quali fossero i caratteri compositivi ricorrenti di alcune loro opere e sottolineando il ruolo del colore. È da quest’aspetto che occorre fare delle riflessioni.

IL RUOLO DEL COLORE NELL’ARCHITETTURA MODERNA

Cambiare il colore dei propri capelli, di un vestito o delle pareti della propria casa è sicuramente lecito e ben vengano queste variazioni se servono a gratificare chi decide queste nuove cromie. A nessuno di noi però verrebbe in mente, anche potendo, di cambiare arbitrariamente il colore delle pareti di un appartamento altrui, nel palazzo dove abitiamo: abbiamo ben chiaro cosa significa rispettare. Ma può capitare che tutti i condomini si riuniscano e diventino, senza alcun motivo valido, irrispettosi delle scelte cromatiche fatte dagli architetti che hanno progettato l’immobile dove abitano. È una dinamica difficile da spiegare, che, oltre a una subconscia e non razionale volontà assembleare di restaurare cambiando colore, evidenzia tutta la non conoscenza storica e architettonica dell’edificio in cui abitano. Inoltre, in assenza di un vincolo, nel momento in cui si deliberano lavori sulle parti condominiali, non vi è l’obbligo di coinvolgere un tecnico esperto.

Palazzina Federici. Credito MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura. Archivio Monaco Luccichenti

Palazzina Federici. Credito MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura. Archivio Monaco Luccichenti

LA PALAZZINA FEDERICI DI MONACO E LUCCICHENTI CON MORANDI E CONSAGRA

Tra i tanti casi romani di errate cromie nell’ambito di architetture moderne possiamo annoverare la Palazzina Federici in Via San Crescenziano, al numero 40. Opera di Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, fu realizzata a cavallo degli anni 1951-1954 con il contributo strutturale di Riccardo Morandi e dell’artista Pietro Consagra. Costruita a una quota più alta del livello della Via Salaria e con accesso da Via San Crescenziano, rientra nella tipologia delle “palazzine signorili”, tipica della committenza altoborghese di quegli anni, anche se lo schema distributivo – due appartamenti a piano – si allontana dalla palazzina a blocco. Declina, infatti, verso la casa in linea, scelta questa dovuta alla forma del lotto stretto e allungato su Via Salaria. Le abitazioni hanno il salone di rappresentanza e la camera da letto principale che si affacciano, con delle finestre a nastro, su Villa Ada, riprendendo il discorso delle vetrate del salone di Villa Petacci: “allargarsi” sul paesaggio rendendolo un elemento del progetto. Le finestre a nastro, di derivazione lecorbusiana, le logge con i balconi a cuneo, la struttura nervata a vista e il parapetto curvo modellano la facciata quali elementi di una nuova volontà espressiva. È da evidenziare l’uso del mosaico viola chiaro per i parapetti e giallo chiaro per il pavimento.

L’ARTE DI PIERO CONSAGRA NELLA PALAZZINA FEDERICI

L’accesso alla palazzina avviene da Via di San Crescenziano, strada leggermente curvilinea, sulla quale si modellerà il volume delle autorimesse la cui pavimentazione del terrazzo di copertura è stata realizzata su disegno di Pietro Consagra. Nel blocco delle autorimesse è inserito l’androne, rivestito d’incisioni su travertino sempre dello stesso artista; si passa poi al corpo scala romboidale valorizzato da una successione cromatica: grigio chiaro e rosso mattone sulle pareti, bianco e blu sugli infissi, ottone lucido per il corrimano della ringhiera e blu nelle alzate in maiolica dei gradini. Il blocco delle autorimesse proseguirà unendo la Federici con la Palazzina Domus, di diversa tipologia, costruita dopo su progetto di Monaco e Luccichenti con Julio Lafuente. Questo edificio creerà un unicum con la Palazzina Federici, come il trittico di Luigi Moretti a Santa Marinella. La colorazione bianca delle facciate della Federici si rapportava nel giusto modo con gli altri colori più decisi, quasi episodici, presenti sui prospetti – tapparelle celesti, infissi in legno a vista, infissi di ferro blu, parapetti dei balconi viola chiaro. Quest’opera, confrontata con i disegni e le foto originali, mostra senza possibilità di appello che questi rapporti sono andati persi.

Villa Federici, Roma. Courtesy Paolo Verdeschi

Villa Federici, Roma. Courtesy Paolo Verdeschi

RIFLESSIONI SULLA NUOVA IDENTITÀ CROMATICA DELLA PALAZZINA FEDERICI

Oggi è singolare che questo edificio, che nel tempo ha subito quattro tinteggiature inspiegabilmente differenti dall’originale – dal beige tenue al giallo intenso attuale –, per mero errore ancora non sia stato inserito nella Carta della Qualità del PRG del Comune di Roma. Anche le pareti interne del vano scala sono state ricoperte con “graffiato” al quarzo plastico che, pur tentando di attenersi ai colori originali, lo rende, matericamente, dall’aspetto cupo e pesante. Gli infissi originali in ferro, sottili e leggeri, sono stati sostituiti con altri di alluminio, di sezione maggiore e di colore distante dall’originale. Le soluzioni per questi errori, che cancellano la storia di un edificio e falsano la sua lettura architettonica, sono molteplici. La prima è quella di censire delle opere per autore e per singolo edificio; la seconda è realizzare la scheda dell’edificio con le informazioni principali, quali anno di costruzione, struttura, materiali, colori; la terza è inserire queste schede per edificio nella Carta della Qualità del PRG. La quarta, inoltre, è imporre un vincolo prescrittivo riferito alla scheda per limitare al massimo la soggettività dell’intervento di restauro; infine la quinta, forse la più difficile, è rendere partecipi e consapevoli i proprietari degli edifici storici moderni che il bene di cui sono proprietari è un bene culturale. Per la realizzazione della schedatura potrebbe contribuire l’Università, ente terzo, indipendente da Soprintendenze e proprietari degli immobili individuati, attraverso i corsi di Restauro e di Storia dell’Architettura.

Paolo Verdeschi

https://www.architettiroma.it/notizie/architettura/tutela-del-moderno-e-archivi-di-architettura-una-rete-per-la-salvaguardia-delle-opere-del-novecento/

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Paolo Verdeschi

Paolo Verdeschi

Nato a Roma nel 1952, si laurea in architettura nel 1979 e segue i corsi ICCROM. Tra i suoi principali interventi, il restauro di villa La Saracena di Luigi Moretti a Santa Marinella (Roma). È membro della commissione Osservatorio del…

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