Uganda, dove l’arte è coscienza civile

Il nostro reportage sulla scena artistica e culturale africana fa tappa in Uganda e dà voce alla Bayimba Cultural Foundation, realtà attiva dal 2006

In un Paese non troppo attento ad ascoltare le richieste di artisti e intellettuali, Faisal Kiwewa, già performer teatrale, ha creato nel 2006 la Bayimba Cultural Foundation per dare una scossa alla scena culturale e supportare i giovani creativi ugandesi. Dopo quindici anni, la Fondazione è una dinamica realtà che si muove fra arte, teatro, musica e cinema. Con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo sociale dell’Uganda.

Fasial Kiwewa, fondatore e direttore della Bayimba Foundation. Photo Hannzy

Fasial Kiwewa, fondatore e direttore della Bayimba Foundation. Photo Hannzy

Per quali ragioni è nata la Bayimba Cultural Foundation?
La creazione della Bayimba Foundation si basava sulla mia personale voglia di indagare nella maniera più completa possibile lo stato delle arti e della cultura in Uganda e nell’Africa orientale. Fin dalla mia infanzia, sono sempre stato un artista: all’età di sei anni ho avuto la mia prima esibizione davanti a un pubblico, a teatro, e crescendo mi sono avventurato nella musica, nella danza e nel cinema. È stato con il 2005 che ho smesso di esibirmi e di essere un artista per concentrarmi sulla creazione della Bayimba Foundation. La decisione era dovuta alla frustrazione che causavano le pessime condizioni del settore artistico. Non era un ambiente favorevole in cui sviluppare e sostenere la mia carriera, o anche solo per soddisfare il mio desiderio di essere un artista professionista. Una frustrazione che ho scoperto non essere solo mia, ma anche di altri giovani artisti emergenti della mia generazione. Da qui, la nascita della Bayimba Foundation. Portando avanti la mia indagine ad ampio raggio, ho viaggiato per l’Africa orientale e mi sono reso conto che l’Uganda non era diversa dal resto della regione. Abbiamo tutti affrontato le stesse sfide anche se in contesti diversi. Con un’unica idea per apportare un cambiamento nello status quo delle arti e della cultura: immaginare un settore vivace, creativo, professionale, in modo che potesse contribuire allo sviluppo sociale ed economico. Attraverso la Fondazione, abbiamo intrapreso uno sforzo deliberato per elevare gli standard e cambiare quelle percezioni che offuscavano i valori e il ruolo che la cultura e le arti offrivano in quanto opportunità di sviluppo.

Come descriveresti la scena artistica contemporanea ugandese?
Proprio come nel resto del continente africano, c’è stato un grande impegno verso la produzione e la diffusione di arte locale. Dalla Nigeria al Sud Africa, dal Senegal all’Africa settentrionale, gli artisti contemporanei hanno infranto i confini e creato un movimento che va oltre. La scena artistica contemporanea ugandese è nata nei primi Anni Duemila, con artisti come Bebe Cool, Jose Chameleon e Bobi Wine, che hanno promosso il loro lavoro fra il pubblico locale, ben consapevoli di dover lasciare un segno in uno spazio che è stato a lungo occupato, ad esempio, dalla rumba e dal soukous congolesi. Così facendo, hanno ispirato un’intera nuova generazione non solo nella musica, ma anche nella danza contemporanea, nel teatro e nel cinema indipendente. Pertanto, lo stato attuale della scena artistica contemporanea dell’Uganda è molto più vivace e visibile di quanto le generazioni passate abbiano mai sperimentato. Più innovativi, i giovani creativi si uniscono per realizzare le loro idee ed esprimersi attraverso forme diverse. Allo stesso tempo, c’è anche una generazione più anziana che crea remix e collaborazioni, mettendo in mostra prodotti che stimolano e fanno rivivere le memorie culturali creative dell’Uganda. Questa vivacità, tuttavia, non copre l’intero settore delle arti creative ed è ovvio che molto lavoro debba ancora essere fatto, soprattutto per le nuove discipline come il teatro di strada, le arti multimediali contemporanee, eccetera.

Cosa sta facendo il governo ugandese per sostenere la cultura e le arti nel Paese?
La cultura è definita come “l’insieme delle caratteristiche spirituali, materiali, intellettuali ed emotive distintive della società o di un gruppo sociale. Oltre all’arte e alla letteratura, comprende stili di vita, diritti umani fondamentali, sistemi di valori, tradizioni e credenze“. Questo insieme di caratteristiche distintive che caratterizzano una società o un gruppo sociale rientra in quella che comunemente chiamiamo identità culturale. La politica culturale nazionale dell’Uganda definisce la cultura come la somma totale dei modi in cui una società preserva, identifica, organizza, sostiene ed esprime se stessa. La Costituzione dell’Uganda riconosce anche l’importanza della diversità culturale come fattore unificante per tutti i suoi popoli all’interno dell’unità nazionale, e lo Stato ha l’obbligo di assicurare il massimo benessere sociale e culturale dei suoi cittadini. Lo Stato ha anche la responsabilità di promuovere e preservare i valori e le pratiche culturali che accrescono la dignità e il benessere degli ugandesi. L’articolo 20, al paragrafo 1, promuove l’uguaglianza per tutti anche sulla base culturale. La Costituzione garantisce il diritto alla cultura e ognuno ha il diritto di appartenere a qualsiasi cultura, goderne, praticarla, e promuoverla, così come sono tutelate le istituzioni culturali, le lingue, le tradizioni, i culti e le religioni. Tuttavia, nella realtà dei fatti, c’è una generale mancanza di apprezzamento del significato e del valore del patrimonio culturale nazionale, in relazione alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Paese; ciò significa che il settore culturale ha solo una bassissima priorità nella spesa pubblica, con soltanto lo 0,03% del bilancio nazionale a essa dedicato. Non esiste un piano approvato per attuare la politica culturale nazionale e le risorse sono gravemente inadeguate. E questo ha portato a un atteggiamento negativo nei confronti delle arti e di altri linguaggi culturali nazionali, con una conseguente invasione di influenze dall’estero.

La Sarabi Band in concerto. Photo courtesy Bayimba Foundation

La Sarabi Band in concerto. Photo courtesy Bayimba Foundation

L’UGANDA E IL COLONIALISMO

Quanto è ancora forte il neocolonialismo in Uganda?
L’Uganda è dotata di un patrimonio culturale ricco e diversificato, che comprende sessantacinque comunità indigene con caratteristiche peculiari. La cultura è intesa principalmente come danza e teatro, e il resto viene ignorato, in parte perché i processi naturali di sviluppo culturale sono stati sconvolti dalle norme occidentali di “modernizzazione”, dove le visioni del mondo indigene sono raramente prese in considerazione. Questo atteggiamento risale al periodo coloniale, quando la cultura africana era marchiata come “arretrata”. Con gli attuali tassi di sviluppo, la cultura è spesso percepita come primitiva, un ostacolo o un qualcosa di irrilevante per il contesto attuale. La “cultura” è quindi definita in modo restrittivo in termini di rituali e pratiche tradizionali, in particolare quelli considerati oppressivi e negativi, come le mutilazioni genitali femminili o le limitazioni all’eredità di una vedova. L’attuale contesto politico, con poche eccezioni, ignora in larga misura la cultura come mezzo per la lotta alla povertà e per il rafforzamento del nostro potenziale umano. Eppure la cultura è fondamentale per plasmare l’identità. Il patrimonio culturale dell’Uganda comprende lingua e letteratura, arti dello spettacolo, arti visive e artigianato, conoscenze indigene, tradizioni e valori, siti culturali, monumenti antichi. I beneficiari delle varie forme di espressione culturale sono di per sé una categoria diversificata. Includono espatriati, turisti stranieri e avventurieri, uomini, donne e bambini ugandesi. In passato c’erano una serie di strutture e attività progettate per promuovere la conoscenza e l’apprezzamento delle varie forme d’arte. Ad esempio, nelle scuole sono stati incoraggiati anche concorsi di musica e danza interscolastici fortemente influenzati dalle esibizioni culturali, così come si insegnavano le arti. Tuttavia, queste strutture e attività, che erano anche un canale chiave per informare e influenzare le prospettive e gli atteggiamenti dei giovani nei confronti della cultura, non vengono più promosse attivamente. Di conseguenza, la conoscenza e le prospettive sulla cultura ugandese, specialmente tra i giovani, sono limitate.

Pensi che gli artisti stiano lavorando nella direzione di costruire una nuova coscienza nazionale?
Sono state pensate politiche relative alla cultura, tra cui la politica nazionale dell’Uganda sulla cultura, la politica sull’uso delle lingue locali come mezzo di insegnamento nelle scuole primarie e lo sviluppo di una bozza di politica sulla medicina tradizionale e complementare. Tuttavia, come ho già detto, i finanziamenti per lo sviluppo culturale sono limitati. La politica nazionale sulla cultura riconosce che la cultura è trasversale e tutti i settori, i ministeri e gli enti locali sono pertanto tenuti a identificare le questioni culturali nell’ambito del loro mandato e a finanziare queste attività entro i limiti del loro budget. Inoltre, i finanziamenti devono essere mobilitati anche dal settore privato, come organizzazioni della società civile, istituzioni culturali, organizzazioni religiose e singoli individui. Gli affari culturali sono troppo spesso emarginati, invece di essere considerati centrali per lo sviluppo della nostra Nazione. Tuttavia, c’è qualche supporto per alcune forme d’arte specifiche, per incrementare la professionalità e migliorare la qualità delle arti e del teatro. Ecco perché molti giovani sono ricorsi al lavoro autonomo per sostenere i loro processi creativi e investimenti, e ciò sta dando i suoi frutti. Infatti il settore è vivace.

Credi che gli artisti, in Uganda, siano impegnati su alcune urgenze della nostra epoca, come l’uguaglianza di genere, la protezione dell’ambiente, i diritti umani?
Devo dire che paradossalmente affrontare queste urgenze è stato anche un pericolo: la chiamiamo sindrome delle ONG. Molte delle quali non sono interessate alle arti ma soltanto alle loro relazioni e ai numeri: pagano gli artisti (perché sanno che gli artisti hanno bisogno di soldi) e li usano per presentare queste urgenze in forma di intrattenimento. Personalmente sono stato contrario a queste forme di intervento. Tuttavia, ci sono artisti concettuali come Xenson Ssenkaba, un artista multidisciplinare e stilista che attinge molto dal patrimonio delle tradizioni, Regan e Sandra Ssubi, che hanno dedicato la loro carriera artistica alla creazione di opere d’arte ecologiche. Ci sono poi artisti che si occupano delle tematiche di genere, tratta di esseri umani e diritti delle minoranze, come Tereka Desire.

Un rendering del futuro Bayimba Centre for Visual and Performing Arts, Lunkulu Island. Photo courtesy Bayimba Foundation

Un rendering del futuro Bayimba Centre for Visual and Performing Arts, Lunkulu Island. Photo courtesy Bayimba Foundation

I PROGETTI DELLA BAYIMBA CULTURAL FOUNDATION

Qual è il tuo programma per il 2022? Di cosa parlerai al pubblico con i tuoi progetti?
Il nostro programma per il 2022 dipende interamente dalla revoca, da parte del governo, del blocco delle attività performative, in vigore da marzo 2020 a oggi. Tuttavia, sappiamo per certo che la nostra nuova stagione culturale includerà il DOADOA l East African Performing Arts Market a maggio, l’High School Musical a giugno, il Bayimba International Festival ad agosto e l’Amakula International Film Festival a novembre. Nel 2010 abbiamo capito che non era artisticamente stimolante e contrario ai nostri valori artistici assegnare gli argomenti a ogni artista, per una mostra da inserire nella nostra programmazione: sentivamo che limitava la loro immaginazione e creatività, oltre a demotivare la loro coscienza interiore. Quindi non lavoriamo con argomenti specifici, ma costruiamo il programma scegliendo quella che secondo noi è buona arte.

Cosa puoi dirci dell’Amakula Film Festival? Com’è nato e quali sono i suoi obiettivi?
Due miei ex colleghi, Alice e Lee, sono venuti in Uganda nel 2002 come turisti e hanno così amato il Paese che sono rimasti più a lungo del previsto. Tuttavia, Lee è un critico cinematografico di New York e Alice ha lavorato al Rotterdam Film Festival. Abbiamo parlato molto dell’industria cinematografica in Uganda e delle sfide che stava affrontando; da queste conversazioni, nel 2004, è nata l’idea di fondare Amakula (che significa “bellezza”). Era da questi scambi di idee che volevamo partire per aiutare l’industria cinematografica locale a crescere, nonostante ci fossero ancora alcune questioni di base che dovevano essere affrontate. Ad esempio, mancavano ancora una cultura cinematografica e un pubblico locale che apprezzasse il film di qualità come coltivato dalla vecchia Amakula Kampala Cultural Foundation, e rilevante per lo sviluppo di una cultura essenziale dell’avanguardia e di una voce critica in Uganda. Dovevamo creare le giuste prospettive per ispirare i registi locali e insieme educare il gusto del pubblico.

Quindi cosa avete fatto?
Dopo un decennio di investimenti e come confermato da approfondite indagini, la forza e il vantaggio relativo del festival stanno nel fornire una piattaforma indipendente che miri a promuovere la produzione cinematografica di qualità dall’Uganda e dall’Africa orientale, in un contesto indipendente di livello internazionale e di promozione verso nuovi pubblici, sia di area sia di generazione. Sebbene le sale di proiezione locali, le organizzazioni culturali e le iniziative delle ambasciate contribuiscano alla formazione del pubblico e ispirino una futura generazione di registi, le sale cinematografiche “ufficiali” non presentano ancora film di produzione locale perché considerati a prescindere di scarsa qualità (o semplicemente perché si limitano a trasporre sullo schermo testi teatrali), mentre le sale minori proiettano prevalentemente film locali davvero scadenti (e quindi non esportabili). L’unica possibilità per proiettare e promuovere la produzione cinematografica locale di qualità è rimasta quindi l’Amakula Festival, che è anche riuscito a sostenere alcuni registi con tirocini e programmi di formazione e ora punta a introdurre borse di studio per finanziare nuovi film.

Il rapper Babaluku durante i Bayimba Honors. Photo courtesy Bayimba Foundation

Il rapper Babaluku durante i Bayimba Honors. Photo courtesy Bayimba Foundation

I FESTIVAL E LE INIZIATIVE DELLA BAYIMBA CULTURAL FOUNDATION

La Fondazione organizza anche il Bayimba Festival of the Arts e ha creato la Bayimba Academy: come queste due iniziative hanno cambiato il modo in cui gli ugandesi si avvicinano all’arte e alla cultura?
La Fondazione culturale, che è nata nel giugno 2006, ha cercato di portare un cambiamento nello status quo delle arti e della cultura in Uganda e nell’Africa orientale. Il lavoro è cominciato nel 2008, con il primo festival “multi-artistico” del suo genere in Uganda, insieme a una serie di seminari formativi sulle tecniche artistiche. Da allora è stato sviluppato un variegato programma di attività per migliorare la conoscenza delle arti e capire il loro potenziale per lo sviluppo civile; ma anche altri motivi, come garantire la possibilità di praticare i più disparati linguaggi artistici, e per fornire ai creativi piattaforme per l’esposizione e la condivisione; promuovere la creatività, le capacità artistiche e imprenditoriali fra gli attori del settore; permettere agli artisti di rafforzare il proprio “marchio” e le loro capacità organizzative; creare infrastrutture per l’arte che durino nel tempo.

Ci fai qualche esempio?
Fino a oggi si sono tenute 12 edizioni di successo dei quattro giorni del Bayimba International Festival, mentre 15 festival di un giorno sono stati organizzati in varie località dell’Uganda tra il 2010 e il 2015. Nel 2014 è stato introdotto un festival speciale per il teatro (Kampala International Theatre Festival), mentre Bayimba ha assunto un ruolo guida nel far rivivere il più antico festival cinematografico indipendente del Paese (Amakula International Film Festival) e ha cercato una partnership per rivitalizzare il principale festival di danza (Dance Week Uganda), entrambi nel 2016. Inoltre, DOADOA | East African Performing Arts Market è stato istituito nel 2012, come piattaforma regionale per costruire scambi e conoscenza fra gli esperti/attori del settore.
La Bayimba Academy, nell’ambito del suo programma di educazione artistica, ha organizzato fino a oggi oltre 3.200 corsi di formazione, con più di 5.600 artisti e attori culturali che hanno partecipato e beneficiato in termini di sviluppo delle competenze, scambi artistici e collaborazioni. La Fondazione è anche in prima linea quando si tratta di sostenere le arti e la cultura organizzando dibattiti e seminari, e nella costruzione di reti e piattaforme nazionali e regionali di settore.

La cultura può essere uno strumento importante per educare alla pace, al rispetto degli altri, alla tolleranza. In un Paese che, purtroppo, soffre ancora per le tensioni etniche, è importante lavorare per un futuro di unità. Quindi, collaborate anche con le scuole, e con le giovani generazioni in generale, per educarle?
È vero che la cultura può essere forte nel portare e costruire la pace: l’Uganda ha avuto la sua parte di tensioni etniche dall’inizio dell’Ottocento sino alla fine degli Anni Venti del Novecento, quando regni come Buganda e Bunyoro, Busoga e Ankole combatterono per il predominio. Fu attraverso il dialogo culturale e i matrimoni misti che nacque la pace. La Fondazione prende spunto da storie del genere per costruire una missione condivisa fra i vari settori culturali, per le generazioni a venire. La nostra programmazione è a livello nazionale, accogliendo tutti e tutto indistintamente. Investire nei giovani è al centro della programmazione di Bayimba, in particolare nell’hip hop e nel teatro, ecco perché ogni anno collaboriamo con diverse organizzazioni artistiche locali e internazionali per elevare le arti nella percezione della società. Attraverso la Bayimba Academy, ci impegniamo in scambi e collaborazioni con organizzazioni come la Silent Voices Uganda per tirocini teatrali nelle università, la Kitara Nation for Poetry nelle scuole superiori, Batalo East per la street dance e la danza tradizionale nelle comunità svantaggiate del Paese. Queste attività non solo hanno aiutato la Fondazione a portare le arti nelle comunità (comprese le scuole), ma hanno anche arricchito la nostra programmazione artistica nel corso degli anni perché abbiamo scoperto nuovi talenti, cosa che aumenta il capitale umano della comunità creativa e fa sperare in una futura generazione istruita, tollerante, dalla mente aperta e creativa.

Come immagini l’Uganda nei prossimi 10 anni?
L’importanza dell’attuale scena creativa sta nel suo impegno e nel suo potenziale per resistere a qualsiasi turbolenza. L’abbiamo osservato durante la pandemia che ha caratterizzato l’ultimo biennio; il blocco delle manifestazioni artistiche in tutto il Paese ha messo a dura prova gli artisti, ma non hanno abbassato la guardia, hanno persistito con passione nel loro lavoro per mantenere vive le arti. Hanno creato contenuti e continuano a investire nello sviluppo delle loro competenze e nel capitale umano. Sono fiducioso che il futuro abbraccerà questo spirito e non mancheranno idee e contenuti che sicuramente non soltanto continueranno a creare posti di lavoro, ma contribuiranno a rafforzare l’economia ugandese.

Niccolò Lucarelli

https://bayimba.org/

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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