Il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è un’opportunità per gli artisti?

A pochi giorni dalla presentazione del Padiglione Italia di Gian Maria Tosatti curato da Eugenio Viola, pubblichiamo una serie di riflessioni degli addetti ai lavori sulle potenzialità o meno del sempre discusso padiglione italiano alla Biennale di Venezia

Padiglione Italia alla Biennale Arte di Venezia: una reale opportunità per gli artisti e i curatori italiani oppure no? Lo abbiamo chiesto ad artisti, curatori, storici dell’arte, giornalisti, tirando anche le somme dell’esperienza dal 2007 a oggi.

Santa Nastro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #64

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GRAZIA TODERI ‒ ARTISTA

Grazia Toderi

Grazia Toderi

Non dovrebbe essere una “opportunità” per artisti e curatori (non essendo un ente assistenziale), ma l’opportunità di produrre e mostrare la migliore arte italiana. Questo ruolo iniziale viene spesso sostituito da altre priorità, celate dietro a un pensiero comune che invoca due aggettivi: “giovane” e “internazionale”. Sembra impossibile che, oltre a vincere la lotteria del Padiglione, gli artisti italiani possano approfondire giorno per giorno ricerche e interessanti confronti internazionali lavorando all’interno delle nostre istituzioni museali. Ida Gianelli curò nel 2007 un Padiglione Italia di eccellente qualità, che si svolgeva per la prima volta all’Arsenale. Ma la storia del suo “trasferimento” era nata nel 1999 quando Harald Szeemann, con il suo sguardo, visionario e lontano, fece un gesto che pochi capirono. Nominato direttore, oltre che della Biennale di Venezia anche del Padiglione Italia, invitò cinque artiste italiane a rappresentare il loro Paese, disseminandole, come indicava il titolo della sua mostra, Dappertutto. Fu un’azione iconoclasta, con la quale voleva evidenziare la presenza nascosta delle donne nell’arte. Ero una di quelle artiste e mi disse: “Vi voglio Dappertutto perché le opere più innovative stanno arrivando dalle donne. Ed è con voi che voglio indicare la possibilità di abbattere, almeno nell’arte, i confini tra generi e tra nazioni”. Quell’anno Szeemann fu accusato di aver “cancellato” il Padiglione Italia, cosa non vera. E il suo discorso, consapevolmente troppo utopico, venne immediatamente travisato, banalizzato e strumentalizzato. E dimenticato, così che la battaglia tra nazionalismi potesse continuare, anche nell’arte.

ALESSANDRA MAMMÌ ‒ GIORNALISTA

Alessandra Mammì

Alessandra Mammì

Se la domanda è “il Padiglione Italia è una reale opportunità per gli artisti e i curatori italiani?”, la risposta non può che essere: “Mica tanto”. Perché il patrio padiglione soffre dello stesso carattere umorale e instabile della nazione. Era al centro del mondo in tempi di perverso nazionalismo, si è poi ridotto, trasferito, scomparso, riapparso e infine ha trovato casa in uno spazio esagerato che nasconde nell’eccesso di metri quadri il danno dello sfratto dai Giardini. E se un ridimensionamento sarebbe salutare e aiuterebbe a sfruttare meglio le risorse e a far chiarezza nelle proposte, il vero problema è la totale mancanza di linea a causa di una nomina diretta nelle mani del ministro di volta in volta in carica. E così Bondi nomina Sgarbi, Bonisoli Farronato, Franceschini Viola. Ognuno di questi curatori mette in scena una sua visione dell’arte italiana. A volte con pochi nomi (Alemani), altre con un’ammucchiata in polemica con un presunto complotto dell’arte internazionale (Sgarbi), altre ancora con presuntuosi tentativi di organizzare lo spazio che facilmente falliscono, penalizzando le opere (Trione). Fino a oggi, dove un solo artista avrà il non facile compito di occupare i 1.800 metri quadri di suolo patrio (sinceri auguri a Gian Maria Tosatti). Cosa possono capire dell’arte italiana in questa situazione gli osservatori internazionali? La modesta proposta, dunque, sarebbe contenersi, riqualificarsi e soprattutto affidare a un comitato scientifico la nomina dei curatori e che duri più di una Biennale, lontano dalla politica almeno quella distanza di un braccio necessaria a garantire autonomia e coerenza.

CARLA SUBRIZI ‒ STORICA DELL’ARTE

Carla Subrizi

Carla Subrizi

Sono anni che seguiamo, a partire dal 2007, un susseguirsi di ipotesi, scelte, idee curatoriali all’interno del Padiglione Italia. Da allora la sensazione è che si siano succedute soprattutto idee sulla possibile “italianità” dell’Italia, sulla ricerca di un carattere che possa essere in maniera distinguibile ed efficace una presentazione al mondo dell’Italia. A chi serve, mi chiedo, questa definizione? Come possiamo continuare a pensare all’Italia in termini di codici, questioni ricorrenti, grandezza degli artisti (per chi? considerati tali a partire da cosa? dal successo o dal mercato?) in un’epoca (e non voglio qui scomodare concetti come quello della globalizzazione) in cui le interazioni culturali e anche storico-artistiche disegnano panorami e geografie che superano i confini nazionali e dunque proprio le identità nazionali? In cerca di Italia sarebbe quindi una idea? Dove, come, con quali punti di riferimento? Dinanzi a proposte esibite ogni volta come se fossero davvero il massimo possibile pensabile (tanti o pochi artisti italiani, mescolati a più o meno artisti di altre nazioni, in un altalenarsi più o meno elastico), penso che anche la Biennale di Venezia e, per quanto ci riguarda, il Padiglione Italia potrebbero essere immaginati come “laboratori” di rilettura e riscrittura di una storia che ha avuto proprio nella italianità la chiave per chiudere o circoscrivere una storia che è invece stata molte volte critica, radicale, transnazionale, già in momenti inattesi. Attendiamo comunque sempre una sorpresa o che qualcosa sia davvero inatteso e quindi sorprendente da ogni edizione. Aspettiamoci quindi anche dalla prossima almeno un segnale di studio, ricerca, idee e poco allineamento a tendenze che troppo spesso descrivono le apparenze esteriori di un’epoca (già da tempo) in difficoltà.

ALFREDO PIRRI ‒ ARTISTA

Alfredo Pirri. Photo © Stefano Vitiello

Alfredo Pirri. Photo © Stefano Vitiello

La Biennale di Venezia offre a ogni artista e curatrice-curatore (ma aggiungerei anche al pubblico) la grande opportunità di vivere l’arte dentro un ambiente e un paesaggio unico in quanto effimero e sorgivo. Una visione luminosa dove l’arte appare più necessaria che altrove proprio perché la sua esistenza traballante e superflua ne viene magnificata e resa maggiormente visibile. Risponderei quindi di sì in senso lato, cioè un sì non rivolto solo agli italiani. La storia del Padiglione è una storia di privazione e di paura, quella di farsi carico a pieno titolo di una visione dell’arte che porti dentro di sé la grandezza del paesaggio accudente e generativo dell’arte (italiano e non). Un paesaggio, ripeto, traballante ed effimero perché nato (come l’arte) in accordo transitorio con gli oggetti inseriti artificialmente in esso (palazzi, visioni, pensieri e calcoli). Per questo ci sarebbe bisogno di uscire dal cono d’ombra buio e periferico in cui ci siamo autoreclusi e andare dove la luce è più forte e nitida.

MARCO SCOTINI ‒ CURATORE

Marco Scotini

Marco Scotini

Non vorrei esprimere un giudizio personale (che non avrebbe alcun senso) ma partire da un dato evidente, magari formulando giusto un’unica domanda. In questi quindici anni c’è mai stato un solo Padiglione Italia che abbia definito una qualche tessitura culturale di carattere contestuale o che abbia anticipato temi e problemi che oggi sono all’ordine del giorno della scena artistica internazionale? Il transito da Forza Italia al PD non mi pare aver segnato nessun cambio di registro: i rappresentanti artistici in Italia sono gli stessi. Allo stesso modo, il passaggio da un’edizione con 150 artisti a un’altra con uno solo risulta giusto una riduzione algebrica. Gli italiani registrano sempre uno scontento politico (quello sul politico di turno) ma mai una intelligenza strutturale. Per loro non fa problema l’assenza di un board di esperti, un consiglio direttivo trasparente o la presenza di un chiaro conflitto di interessi. Sono il popolo che si accontenta del “si vedrà quel che farà”.

CRISTIANA PERRELLA ‒ CURATRICE

Cristiana Perrella. Photo © Margherita Villani

Cristiana Perrella. Photo © Margherita Villani

La Biennale è senza dubbio un’opportunità straordinaria. Venezia, la matrice di tutte le grandi rassegne internazionali, è ancora, con Kassel, l’appuntamento più prestigioso del mondo dell’arte globale. Per questo è incredibile che negli ultimi vent’anni non sia riuscita a fare da volano all’arte italiana. È un problema che non riguarda solo il Padiglione Italia ma l’approccio complessivo della Biennale alla rappresentazione dell’arte del Paese che la ospita. Sarebbe utile in questo senso una maggiore sinergia tra Biennale e MiC. Il Padiglione all’Arsenale è troppo grande, troppo periferico rispetto ai percorsi di visita e troppo poco finanziato. Avrebbe bisogno di tempi più lunghi per l’elaborazione del suo progetto e di un budget di produzione commisurato allo spazio da utilizzare, che consenta maggiore ambizione e maggiore libertà di manovra. La tendenza delle ultime edizioni a ridurre sensibilmente il numero degli artisti esposti è senz’altro positiva, ma rende il fundraising più difficile, soprattutto considerando che gli artisti italiani spesso non hanno alle spalle grandi gallerie in grado di finanziarne il progetto. Nel complesso credo si sia fatto un gran lavoro per dare al Padiglione il rilievo che merita ma che passi debbano essere ancora fatti per raggiungere un risultato veramente efficace. Migliorerei la trasparenza dei processi di selezione, soprattutto rendendo manifeste le consulenze tecniche a cui il ministro fa ricorso per la scelta finale.

ROBERTO AGO ‒ CRITICO DELLE IMMAGINI

Roberto Ago

Roberto Ago

Ditemi un solo artista italiano che sia emerso internazionalmente grazie alla Biennale di Venezia. […] Insieme alla Quadriennale di Roma, si è portata dietro solo malumori, false speranze, morti annunciate di artisti anzitempo”. Così un lapidario Giancarlo Politi nel suo Amarcord #63. Tale sentenza vale un pezzo mancato di storia dell’arte italiana, ma attribuisce il dolo a incolpevoli passerelle, invece che ai tanti artisti e curatori che le hanno calcate. Una manovra rieducativa? Si vincolino le iniziative curatoriali, spesso scriteriate, a un ranking annuale negoziato dalla somma degli operatori, il quale ordini gli artisti secondo valori differenziali calcolati tra meriti e necessità promozionali. Se anche tale miraggio si realizzasse, sarebbe ingenuo attendersi l’inveramento dell’arte italiana: in questo avvio di secolo non è all’altezza delle corti internazionali. Che almeno si indovinino le eccezioni nei nostri saloni di rappresentanza.

FABIOLA NALDI ‒ CRITICA E CURATRICE

Fabiola Naldi

Fabiola Naldi

Prima di rispondere a quanto chiesto, avverto l’onesto obbligo di fare i migliori auguri a Viola e Tosatti. Non posso non partire da questo perché il nostro Padiglione ha urgente necessità di essere supportato e protetto: ma da chi? Forse proprio dal Paese di riferimento, dalla sua politica e da tutti noi, operatori di settore, che critichiamo, ci lamentiamo, ma non troviamo la forza comune di reagire contro l’assurda gestione dello stesso. A ben guardare, e senza entrare nel dettaglio di una edizione migliore o peggiore (ricordando oramai con malinconia l’edizione 2007), le scelte, come le modalità delle nomine e delle coperture finanziarie, sono una dichiarazione di rassegnazione e di affermazione di interessi del tutto personali. Abbiamo reclamato il suo reinserimento nel nome della tradizione e della responsabilità in quanto Patria della Biennale, ma abbiamo abbassato lo sguardo sulla lungimiranza culturale dei nostri autori – e non basta certamente l’Italian Council a tamponare le gravi perdite. Acclamare la propria proposta artistica (anche se non è compito solo dell’Ente dare respiro alla nostra produzione nazionale) è divenuta la battaglia perseguita da tutti i politici apparsi a sostegno dell’edizione di turno, ma il risultato non è cambiato. A partire proprio dallo Stato e dai suoi rappresentanti la piattaforma di presentazione, e non di rappresentazione, della nostra ricerca visiva si è spesso trasformata in un luogo di scontri e soprattutto di conquiste.

PAOLA UGOLINI ‒ CURATRICE

Paola Ugolini

Paola Ugolini

Nonostante il continuo proliferare di mostre ricorrenti, la Biennale di Venezia rimane l’appuntamento imprescindibile per chi fa o si occupa di arte contemporanea. La storia del nostro padiglione è piuttosto travagliata, da una posizione centralissima nel cuore dei Giardini di Castello, nel 1999, con una certa violenza, viene chiuso dallo svizzero Szeemann, che decide di utilizzare quello spazio per ospitare la mostra del curatore. La riapertura del Padiglione Italia nel 2005 nell’area dell’Arsenale con una poco memorabile selezione di lavori degli studenti dell’Accademia non era stata, a mio avviso, folgorante. In questi ultimi quindici anni di padiglioni memorabili ce ne sono stati pochi, eccetto quello del 2007 curato da Ida Giannelli con solo due artisti. Dieci anni esatti dopo, nel 2017, Cecilia Alemani cura quello che per me è il secondo Padiglione memorabile, il Mondo Magico, solo tre artisti – Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey –, tutti e tre della stessa generazione della curatrice. Al netto del “mi piace/non mi piace” il Padiglione Italiano resta la più importante vetrina internazionale per artisti e curatori, un peccato quindi sprecare questa preziosa opportunità affollando inutilmente lo spazio con troppe presenze o schiacciando il lavoro degli artisti dentro le griglie dei curatorial concept, fenomeni che abbiamo visto accadere spesso nelle passate edizioni. Quest’anno il Padiglione, che peraltro è enorme e in un ex spazio industriale di non facile gestione, avrà un solo protagonista che con quel tipo di luoghi è sempre stato molto a suo agio e, ci tengo a dire, era ora.

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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