Diamo ai musei la possibilità di premiare i dipendenti (o licenziarli!)

I direttori dei musei statali non possono licenziare i dipendenti né premiare le risorse meritevoli: quali sono le conseguenze di tutto ciò per il servizio reso alla cultura?

Gentili direttori, ho riscontrato come molti di voi, tranne qualche lodevole eccezione, fossero in ferie lunedì 24 aprile…”. Inizia così la missiva che il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha indirizzato ai dirigenti del suo stesso Ministero. Invitandoli poi – per completare una lettera utile più alla comunicazione e al posizionamento politico che a un reale confronto operativo – a un “pranzo di lavoro” per il prossimo 15 agosto alle ore 13. Il tutto succedeva qualche settimana fa, durante il “ponte” del Venticinque Aprile.
Secondo Sangiuliano, le specifiche caratteristiche del Ministero della Cultura prevederebbero una puntuale presenza dei dirigenti proprio nei giorni in cui tutti i cittadini fanno festa e se ne vanno in giro a vedere i musei. L’osservazione del Ministro, ancorché enfatica e volutamente ostentata, è tutt’altro che peregrina. Ma chi è causa del suo mal dovrebbe piangere se stesso: se il Governo – nel cui Consiglio dei Ministri Sangiuliano siede – ritiene che i pubblici dipendenti si comportino in maniera lavativa (e talvolta è difficile negarlo) perché non appronta e approva una seria riforma del pubblico impiego che permetta, ad esempio, di licenziare chi non merita il posto pubblico?

Gennaro Sangiuliano (dalla pagina Facebook del Ministro)

Gennaro Sangiuliano (dalla pagina Facebook del Ministro)

DIRETTORI E DIPENDENTI DEI MUSEI STATALI

E la cosa non riguarda solo i ministeri, anzi. Per quanto concerne proprio l’ambito sotto la giurisdizione del Ministro Sangiuliano, la cosa riguarda – e parecchio – i musei. Difficilmente lo ammettono a microfoni accesi, ma c’è una quota significativa di direttori e superdirettori di musei italiani piuttosto disperati per il comportamento dei propri dipendenti e collaboratori: peccato però che la riforma Franceschini, che ha dato autonomie significative ai musei a partire appunto dalla nomina dei direttori stessi, non ha previsto di fatto alcun potere sulle risorse umane. I direttori non possono licenziare, spostare, chiedere, trasferire, riorganizzare. Mani legate. Di più: non possono neppure seriamente premiare i più meritevoli. Ogni tentativo di incrinare questa muraglia vetero-sindacale viene osteggiato e represso. Per quieto vivere, dunque, chi dovrebbe completare la riforma non lo fa. E così i direttori dei musei statali sono costretti a provare invidia per le fondazioni pubbliche ma di diritto privato, come quella del MAXXI o del Museo Egizio, che possono gestirsi per conto loro i rapporti con lavoratori, collaboratori e personale.
Se il Ministro pensa autenticamente – e non solo per secondi fini promozionali e comunicativi – che si debba incrementare la produttività e l’impegno di chi lavora per la cultura, allora perché non dà seguito al completamento della Riforma Franceschini trasformando i grandi musei italiani in organismi davvero autonomi? In organismi, insomma, in grado di rendere giustizia ai dipendenti che si impegnano e di mettere alla porta quelli che non danno un contributo o che addirittura si rivelano una zavorra, ostacolando l’operatività?

Massimiliano Tonelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #72

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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