È tempo che i musei autonomi diventino davvero autonomi

La tanto dibattuta questione della chiusura degli Uffizi per mancanza di personale durante i recenti giorni di festa ha sollevato una serie di domande sull’autonomia dei musei. Se i musei autonomi sono veramente tali, perché non possono occuparsi in autonomia della gestione del personale?

Un uomo che ha tutti gli arti liberi eccetto uno, è veramente libero? La vicenda dell’autonomia dei musei è sostanzialmente una complicazione tecnica di questa semplice domanda.
Non serve entrare troppo nel dettaglio: la riforma del Ministero è stata oggetto di tantissimi articoli di approfondimento, ci sono libri dedicati all’argomento e, approfondendo la questione con argomenti di tipo amministrativo, giuridico, manageriale e legale, si corre il rischio di perdere di vista i concetti-base della questione.

Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sala arazzi

Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sala arazzi

MUSEI E AUTONOMIA

Fino a qualche tempo fa, i musei, in pratica, non esistevano. Certo, erano lì, potevi frequentarli, ammirarne le opere, passarci il tuo tempo. Ma, sotto il profilo organizzativo, essi erano parte delle soprintendenze. Poi sono stati riconosciuti, e ad alcuni di essi è stata riconosciuta una maggiore autonomia rispetto agli altri, condizione che ci porta alla nostra condizione attuale.
Ora, uno dei punti fondamentali dell’autonomia attenuata riguarda la gestione del personale. Il che ha delle ripercussioni enormi sia sul piano pragmatico, sia sul piano concettuale. Se guardiamo all’evoluzione della vicenda, le azioni condotte possono essere così interpretate: il Ministero, vista l’inefficienza, l’enorme burocrazia, i risultati diciamo non brillanti in termini di partecipazione di visitatori e, parallelamente, con l’obiettivo di facilitare anche processi di finanziamento esterni, ha deciso che, per rendere i musei più efficaci, più trasparenti, più efficienti, e più partecipati e partecipativi, fosse necessario fornire loro maggiore autonomia.
Parallelamente, per qualche ragione, lo stesso Ministero ha deciso che tale autonomia non poteva riguardare la squadra di lavoro, né poteva riguardare la gestione diretta della squadra. Ci possono essere tante motivazioni che hanno determinato questa scelta: dalle dimensioni di logica politica più o meno spicciola (come la rilevanza politica del Ministero in termini di peso occupazionale) a esigenze di gestione centralizzata dei costi del personale; da logiche di tipo sindacale (a garanzia della continuità occupazionale dei lavoratori) a preoccupazioni derivanti da eccessive polarizzazioni (dare potere di assunzione a un museo può anche aprire le porte a potenziale familismi); dalla possibilità di ottimizzare le risorse esistenti (del resto, non è che il cambio di allenatore comporti il cambio di tutta la squadra) al garantire la cantierabilità della riforma stessa (senza dover contrastare politicamente tutti i fattori precedentemente menzionati).

“Resta il fatto che un direttore non può assumere, con contratto a tempo indeterminato, delle risorse necessarie per il proprio museo. Pur avendone in alcuni casi anche le possibilità economiche”.

Per quanto le ragioni potessero essere più o meno giuste al tempo, c’è un’evidenza che resta: i dipendenti dei musei di oggi sono gli stessi dipendenti delle precedenti configurazioni. Il che equivale, sul piano concettuale, mantenendo questa condizione, a una generale ammissione di colpa da parte del Ministero: come se il Ministro avesse detto che le condizioni che determinavano il basso livello di adeguatezza dell’offerta rispetto ai crescenti standard internazionali fosse imputabile esclusivamente a dimensioni di tipo organizzativo, nulla avendo con ciò a che fare i dipendenti. Che tali dipendenti, quindi, fossero già in possesso delle caratteristiche, delle competenze e del know-how e che gli stessi dipendenti avessero anche la volontà di migliorare tali loro competenze per poter apprendere tutte le nuove conoscenze che una rivoluzione copernicana in ambito tecnologico richiedeva.
O, sul versante opposto, tali condizioni sono state espressione della ferma volontà del Ministero di sancire l’inviolabilità del contratto, a prescindere dalle competenze, dal know-how e dall’etica di lavoro dei dipendenti.
Sono conclusioni che, oggi, non possono più essere accettate dalla società civile. Tutte le motivazioni prima espresse hanno infatti perso di valore con il tempo. Con l’apertura a direttori internazionali il rischio di familismo è veramente ridotto; i lavoratori dei musei hanno avuto anni per dimostrare la propria competenza, il proprio know-how, la propria etica del lavoro; la riforma è stata accettata e si è rivelata positiva in moltissimi casi.
Quanto alla tutela dei dipendenti, c’è un elemento che spesso non viene considerato: chiunque entri nei piani di vertice di un’organizzazione tenderà a privilegiare la continuità della squadra. Non è un caso che le risorse più facilmente modificate siano i cosiddetti manager e non i lavoratori. A ciò si aggiunga che gli stessi lavoratori, in questi anni di autonomia attenuata, hanno avuto tutta l’opportunità di dimostrarsi capaci. E che se si sono dimostrati tali nessuno vorrà cambiarli.

Gallerie degli Uffizi, Firenze

Gallerie degli Uffizi, Firenze

LA QUESTIONE DEGLI UFFIZI

Certo, c’è il rischio che alcuni di essi non siano stati produttivi, che non abbiano mostrato le competenze necessarie, che non si siano evoluti professionalmente. Ma si tratterà di una piccola minoranza, gestibile tranquillamente da un Ministero. E se per assurdo così non fosse, sarebbe in ogni caso giusto affrontare la questione all’interno del dibattito pubblico.
Resta però il fatto che gli Uffizi non hanno personale. Resta il fatto che un direttore non può gestire le risorse sotto il profilo della premialità. Resta il fatto che un direttore non può assumere, con contratto a tempo indeterminato, delle risorse necessarie per il proprio museo. Pur avendone in alcuni casi anche le possibilità economiche.
Se assumiamo una visione ampia, è inevitabile che tale autonomia attenuata venga prima o poi estesa. Resta da capire se l’attuale Ministro e l’attuale Governo abbiano la forza, la volontà e la capacità di farlo. Se hanno il coraggio di assumersi la responsabilità di un cambiamento. O se lasceranno questo cambiamento al prossimo Governo. E, se non al prossimo, a quello successivo.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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