Risaliti, Nardella, Firenze. Sta nascendo un nuovo modello culturale?

Ha appena chiuso la grande mostra diffusa “Ytalia” e da pochi giorni Urs Fischer campeggia in Piazza della Signoria. Cosa sta succedendo a Firenze? L’accoppiata Dario Nardella & Sergio Risaliti sta sbancando. Ma cosa avverrà al cambio del sindaco?

Dopo tre mesi, a Firenze ha chiuso Ytalia, una kermesse d’arte contemporanea ideata e curata da Sergio Risaliti che ha interessato una gran messe di spazi espositivi in città. La mostra, pur colta e sofisticata, ha avuto un buon successo di pubblico, nonostante i mesi estivi abbiano sottoposto il capoluogo toscano a temperature impossibili, ma non altrettanta attenzione da parte della critica. Non è stata capita un granché e qualcuno l’ha trovata perfino inutilmente ambiziosa, se non addirittura un tentativo velleitario di riscrivere la vicenda dell’Arte Povera cinquant’anni dopo le prime mostre di Germano Celant.
Per la verità l’ambizione non è mancata (nella mostra così come nella raccolta di saggi riunita in catalogo) ma è stata direzionata semmai a rimettere al loro posto alcuni elementi della recente storia dell’arte italiana (si veda il grande spazio dato a Domenico Bianchi) con un approccio assai trasversale e diagonale attraverso i decenni, senza alcun infingimento neo-poverista e con una costante tensione verticale verso l’elevazione ben simboleggiata da un’opera.

L’ARTE SU SCALA URBANISTICA

La mostra è stata una operazione logistica non banale. Non pago di riempire gli ambienti interni ed esterni del Forte Belvedere, Risaliti ha coinvolto tutta Firenze: dagli Uffizi a Pitti, da Santa Croce al Museo Novecento, da Palazzo Vecchio a Boboli passando per il Marino Marini. Non per mero spirito colonialistico, immaginiamo, o per manie di grandezza, piuttosto per affermare un concetto che da tre anni si sta cercando di calare sulla città e che, lo si voglia o no, sta modificando il percepito diffuso su una Firenze fino a qualche tempo fa impermeabile a qualunque stimolo attuale. Il concetto in questione risponde a ripensare la città come “centro d’arte contemporanea più grande del mondo”. Non più la retorica trita della “città museo”, bensì un museo esteso tanto quanto la città, nei suoi spazi esterni e interni.
È a questi livelli, e dunque su un layer potremo dire “urbanistico” più che storico-artistico e curatoriale, che si sta declinando l’intervento di Sergio Risaliti da tre anni. Una istanza di progettazione culturale della città, prima ancora che di disegno espositivo delle mostre.

Urs Fischer Firenze Piazza Signoria Biaf Biennale Antiquariato, foto Valentina Silvestrini

Urs Fischer Firenze Piazza Signoria Biaf Biennale Antiquariato, foto Valentina Silvestrini

DIREZIONE ARTISTICA CITTADINA

Una politica all’attacco, che ha dimostrato di saper catalizzare attenzione e denari privati (oggi più che mai indispensabili), di saper restituire vita e ruolo civile a spazi un tempo sottoutilizzati (si pensi al Museo Bardini), di essere in grado di dialogare da pari a pari coi linguaggi attuali della comunicazione social (esistono mostre più instagrammate di Jeff Koons in Piazza della Signoria?) e con la grammatica del potere – cittadino, nazionale, internazionale –, della pubblica amministrazione, dei politici.
Una sorta di direzione artistica cittadina ad ampio raggio, che ha lavorato per inserire nel racconto amministrativo continui spunti provenienti dal mondo dell’arte e in particolare dal mondo dell’arte contemporanea. Cadenzandoli in maniera accuratamente ritmata, come in una centellinazione di stimoli rivolta ai turisti, ai cittadini, alle altre istituzioni culturali, agli scettici (pensiamo alle reazioni super-cafone della solita compagnia di giro ‒ Montanari, Daverio… ‒ rispetto alla scultura di Urs Fischer recentemente allestita in Piazza della Signoria). Una messa in discussione, e vivaddio, di una città che nessuno aveva mai pensato di poter mettere in discussione se non con il kitsch. Una “strumentalizzazione sana” e simbolica dei linguaggi visivi a supporto di senso e non di decorazione per i grandi eventi simbolici che sono una delle vocazioni principali di Firenze.
Ecco quindi le maestose mappe di Alighiero Boetti nel Salone dei Cinquecento in occasione dell’incontro dei sindaci delle principali città del mondo (2015), la peculiare presenza di Artemisia Gentileschi – in collaborazione con gli Uffizi – per la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne (2016), i libri di Anselm Kiefer ed Emilio Isgrò per i cinquant’anni dell’alluvione (2016).

DARIO NARDELLA COME EDITORE

Quello che è successo a Firenze negli ultimi tre anni a nostro avviso merita una riflessione approfondita, merita lo sguardo e il riguardo da parte delle altre città italiane che cercano strumenti per evolvere, merita un’analisi sui pregi e sui difetti di un modello che indubbiamente è riuscito a cambiare le carte in tavola.
Perché parliamo di tre anni? Perché risale a tre anni fa l’elezione di Dario Nardella che oggi, forse non a caso – sebbene le classifiche di questo genere vadano prese con le molle – risulta secondo Index Research il più amato sindaco d’Italia. Dario Nardella, tra le altre cose, ha lavorato sull’identità della città, ha immaginato una visione politica e culturale, ha concepito Firenze come un laboratorio e per certi versi come una redazione-workshop. Si è immaginato editore e ha incaricato un direttore di impaginare, mese dopo mese, una “linea editoriale della città” che fosse il meno provinciale possibile.
Risultato? Mutazione antropologica in corso. I fiorentini si sentono diversi. I fiorentini si sentono più orgogliosi della propria città. I fiorentini si sentono meno disposti a stare sulla difensiva e più aperti al rischio, all’imprevisto, al disturbo. Questa, dieci anni fa, era derubricata – non del tutto a torto – come una città di bottegai. Oggi è un lab culturale di cabotaggio europeo. E gli influssi benefici contaminano i territori della creatività adiacenti all’arte visiva: dal teatro alla gastronomia, ferma restando la moda.

Jeff Koons, Pluto and Proserpina - Piazza della Signoria, Firenze 2015

Jeff Koons, Pluto and Proserpina – Piazza della Signoria, Firenze 2015

IL PRECEDENTE A SIENA

Sergio Risaliti non è nuovo a questo modello. Ciò che gli sta riuscendo sorprendentemente a Firenze oggi è stato sperimentato vent’anni fa poco più a sud: a Siena. All’epoca, la breve ma significativa epopea del Palazzo delle Papesse venne edificata sulle fondamenta di un sodalizio di ferro tra la parte cultural-scientifica (Risaliti appunto) e la parte politica (l’allora sindaco di Siena, Pierluigi Piccini).
Oggi, con maggiore maturità e consapevolezza e in una città profondamente più prestante sotto ogni punto di vista, la storia si ripete. Il patto di ferro tra il sindaco e il direttore artistico, la sinergia di radice rinascimentale (e assai fiorentina) tra il Principe e il suo consigliere culturale.
Con un’aggiunta intelligente e inevitabile: una società operativa che consenta di superare (in gran parte, mai del tutto) le burocrazie e pastoie, di snellire le pratiche e di far lavorare tutta questa orchestra fatta di festival, mostre, spazi, arte pubblica a un ritmo, appunto, da centro d’arte contemporanea internazionale. A Firenze questo ha il nome di Associazione Mus.e e consente alle ambizioni di Nardella e alle idee di Risaliti di trasformarsi in realtà concrete.

IL VULNUS

Ci sarà pure, tuttavia, un vulnus in tutta questa che sembra una storia di successo capace di raccontare all’Italia e al mondo una Firenze che negli ultimi 36 mesi viene letta come città stimolante e innovativa seconda nel Paese solo a Milano? Certo che c’è un vulnus e si chiama “sostenibilità”, per dirla con un francesismo “durabilità”.
Il punto critico, ed è un problema di tutti gli enti locali prima ancora che di tutte le strutture di governo centrale, è come trasformare le buone pratiche, frutto della visione di uno o pochi individui, in qualcosa di strutturale, di obbligatorio, di affidabile con una gittata di una generazione (30 anni) e non di una consiliatura (5 anni). Su questo siamo indietro e su questo bisogna lavorare.
A Siena a un certo punto cambiò sindaco, il museo venne ridimensionato, Risaliti mandato via, il Palazzo Piccolomini delle Papesse versa oggi in stato di avvilente abbandono, chiuso, vuoto, deserto. A Napoli andò un po’ diversamente: il sodalizio tra Eduardo Cycelin e Antonio Bassolino produsse fuochi d’artificio che poi si sedimentarono. Oggi fuochi d’artificio non ce ne sono più, ma per lo meno c’è il Museo Madre: è il frutto di quelle sedimentazioni.
Firenze ha oggi, a tre anni dall’inizio di questa esperienza che abbiamo raccontato, un impellente bisogno di rendere strutturale tutto questo fermento, di farlo istituzione, di dargli corpo scientifico e di ricerca. È l’unica mossa che può fare Nardella per dimostrare a fine mandato di essere uno statista oltre che un politico: guardare a ciò che si lascia alla prossima generazione oltre che guardare a ciò che si prende alle prossime elezioni.

Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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