Top & flop dalla Basel Art Week 2019

Alla fine della lunga settimana all'insegna di Art Basel, ecco la nostra lista dei top e flop dalla kermesse svizzera. Tra fiere e mostre.

TOP – ART BASEL – LA FIERA

Il Mark Rothko allo stand di Helly Nahmad, ma non in vendita

Il Mark Rothko allo stand di Helly Nahmad, ma non in vendita

Il lunedì apre Unlimited, la sezione delle opere monumentali. Ve ne abbiamo parlato a inizio settimana, in diretta: quest’anno effetto luna park un pelo esagerato ma fortunatamente si è ingranata la marcia indietro rispetto all’eccesso di stanze e stanzette costruite in alcune edizioni scorse. Quanto alla fiera propriamente detta, se vi capita com’è successo a noi di entrare e sbattere contro un Mark Rothko (da Nahmad, ma non in vendita) come primo impatto… che dire, la giornata è svoltata. Tutto bene, quindi? Sì e no. Il livello è elevatissimo, le gallerie italiane presentano stand di altissima caratura (da Massimo De Carlo ad Alfonso Artiaco, da Tornabuoni a Franco Noero, fino ai tanti che abbiamo inserito nella nostra top list), le vendite impazzano. Però almeno due questioni bisognerà pure affrontarle: 1. con questi prezzi e questa situazione economica, la quota di beni rifugio si alza: tradotto, significa che Art Basel è sempre più moderna e sempre meno contemporanea; 2. intelligente l’idea di aprire fiere sorelle a Miami e poi a Hong Kong, però ora l’Europa sta messa come sappiamo e i collezionisti degli altri continenti vanno appunto negli Usa o nella città “cinese”, cannibalizzando la fiera madre. Riuscirà Art Basel a stare in piedi grazie a un numero ormai veramente ridotto di happy few del Vecchio Continente?

TOP – LE FIERE COLLATERALI (TRANNE LISTE)

Il letto a castello disegnato da Carlo Mollino nello stand di Rossella Colombari a Design Miami

Il letto a castello disegnato da Carlo Mollino nello stand di Rossella Colombari a Design Miami

Dopo la sbornia dei primi Anni Zero, anche Basilea è tornata a più miti consigli e il numero delle fiere collaterali è diminuito sensibilmente. La qualità generale ne ha guadagnato e anche una certa razionalizzazione dell’offerta. Liste è un caso a parte e la trovate tra i flop. Le restanti hanno un’identità precisa: Design Miami lo dice il nome stesso, ed è sempre meglio; Volta fa un ulteriore passo in avanti, sempre dal punto di vista della qualità generale, e mette in campo una joint venture con le due fiere di cui parliamo subito dopo; Photo Basel si concentra seriamente ed efficacemente sulla fotografia; Paper Positions sul mezzo del disegno (ma sulla qualità generale c’è ancora da lavorare); I never read è la fiera dedicata all’editoria d’arte/artistica, con chicche sempre interessantissime; June ha il format alla Sunday di Londra, ovvero due gallerie che promuovono la fiera, una ventina scarsa di espositori, spazi atipici e assenza di pareti divisorie e conseguenti booth, il tutto con un alto gradiente di sperimentazione.

TOP – LE MOSTRE (TRANNE IL TINGUELY)

Geumhyung Jeong alla Kunsthalle Basel

Geumhyung Jeong alla Kunsthalle Basel

Forse non l’annata più ricca, anche per l’assenza dello Schaulager, che l’anno scorso presentava la megamostra di Bruce Nauman e quest’anno si “limitava” ad aprire lo storage. Però si potevano vedere, fra le altre: una mostra notevolissima di William Kentridge al Kunstmuseum – Gegenwart, di cui vi parleremo più diffusamente nei prossimi giorni; la “solita” mostra colma di intelligenza (artificiale) e attualità all’HeK – House der elektronische Künste (con una performance di Jana Winderen powered by Audemars Piguet), che echeggiava in quella di Geumhyung Jeong alla Kunsthalle (riescono anche a fare mostre comprensibili allora!). Chicca non indifferente, la mostra-inchiesta sulla balnearità dei fiumi cittadini in Svizzera e in altre città del globo al S AM – Swiss Architecture Museum. E in cima, a vette insuperabili, la Fondation Beyeler, che per pochi giorni e con una programmazione intelligente riesce a sovrapporre i periodi blu e rosa di Picasso con una megarassegna di Rudolf Stingel, e non contenta allestisce pure una mostra con 220 disegni di Louise Bourgeois al seminterrato (allestita non benissimo, ma a questo punto è un dettaglio).

TOP – NON DI SOLA ARTE… COSA FUNZIONA

L'ingresso della mostra di Balkrishna Doshi nell'edificio di Frank Gehry al Vitra Campus di Weil am Rhein

L’ingresso della mostra di Balkrishna Doshi nell’edificio di Frank Gehry al Vitra Campus di Weil am Rhein

A Basilea non si va soltanto per lavorare, è chiaro. O meglio, si lavora anche quando non pare che lo si faccia (e questo vale per ogni ambito: si narra che le cessioni dei diritti degli autori più esosi avvengano non alla Buchmesse di Francoforte ma alle feste). Colazioni e pranzi, cocktail e cene si accavallano in maniera assillante, e nemmeno ai party ci si diverte un granché. La quadratura del cerchio l’ha trovata Vitra: siamo appena con un piede in Germania, a Weil am Rhein, dove al Vitra Campus si organizza ogni anno il Summer Party. Cibo e bevande, d’accordo, ma anche architetture incredibili (ogni edificio porta la firma di un’archistar), contesto bucolico, mostre di alto livello (su tutte, quest’anno la monografica su Balkrishna Doshi) e plus del tipo: Virgil Abloh che presenta un’edizione limitata di oggetti ispirati a Jean Prouvé e poi fa pure il dj. (Sì, c’è anche la tradizionale festa alla Fondazione Beyeler, ma è il sabato sera: poiché ormai la routine è fare anche il Gallery Weekend a Zurigo, poi la fiera… chi resta in Svizzera dieci giorni?)

FLOP – ART BASEL – PARCOURS

Una delle opere di Laurent Grasso esposte al Museo di Arte Antica di Basilea

Una delle opere di Laurent Grasso esposte al Museo di Arte Antica di Basilea

È la sezione di opere allestite in città. Sta da sempre nella parte antica, con la piazza della cattedrale a fare da pivot. Ci sono tanti luoghi più o meno “deputati” da scoprire, dal Museo d’Arte Antica a quello delle Culture, dalla piscina comunale a curiose cappelle in legno e cemento. D’accordo, ma si parla di un’area davvero minuscola, quindi l’effetto location scouting si va esaurendo. E le opere? Spesso, anzi spessissimo, non sono all’altezza: la via di mezzo un poco triste fra lavori troppo importanti per stare nei booth ma non sufficientemente wow per trovare spazio a Unlimited. Qualcuno che fa bene c’è, non foss’altro per una questione statistica (dovendo scegliere un nome per quest’anno: Laurent Grasso), ma per la fiera più importante al mondo è troppo poco. La soluzione: innanzitutto cambiare zona.

FLOP – LE FIERE COLLATERALI – LISTE

Sean Townley e, sullo sfondo, Louis Fratino nel booth di Antoine Levi a Liste 2019

Sean Townley e, sullo sfondo, Louis Fratino nel booth di Antoine Levi a Liste 2019

È la fiera collaterale per eccellenza: per anzianità, per status, perché quando si arriva qui si ha praticamente un biglietto pronto per la main fair, dopo un paio d’anni o poco più, se tutto va bene. Il livello, poi, è senz’altro alto, nulla da dire, anche se con fisiologici alti-e-bassi. Allora perché metterla nei flop? Perché c’è la crisi delle gallerie di media caratura (lo spiegone lo trovate qui) e Liste è fatta esattamente per loro; in altre parole, rischia di essere fuori tempo. Le megas e il livello appena inferiore stanno ad Art Basel, le gallerie più piccole, giovani, sperimentali, “di settore” stanno – a prezzi ben diversi – nelle altre collaterali. Un problema economico che rischia di trasformarsi in un grave problema di identità.

FLOP – LE MOSTRE – REBECCA HORN

Rebecca Horn al Museum Tinguely

Rebecca Horn al Museum Tinguely

Disclaimer d’apertura: la mostra di Rebecca Horn è bilocata, la seconda parte è allestita al Pompidou-Metz e non l’abbiamo (ancora) vista.
Limitandoci dunque alla sezione esposta al Museum Tinguely, c’è un problema enorme. Perché nell’istituzione costruita e finanziata da Roche il centro di tutto è giustamente Jean Tinguely, con quell’inconfondibile mix tra ludicità e cinetismo. Fin qui tutto bene. Le mostre che si allestiscono coinvolgono sempre artisti che hanno pure loro elementi di cinetismo nei propri lavori. E già rischia di diventare stucchevole. Il problema principale è però se questo cinetismo fa parte di una poetica tutt’altro che ludica, proprio come nel caso di Rebecca Horn. Per dirla semplicemente: il rischio – se non si mette in campo una mediazione culturale efficacissima – è trasformare le istanze impegnate e femministe della Horn in giocattoloni. E non ci sembra proprio il caso.

FLOP – NON DI SOLA ARTE… COSA NON FUNZIONA

Il Roth Bar appena inaugurato al Museum Tinguely

Il Roth Bar appena inaugurato al Museum Tinguely

Anche qui, permetteteci di semplificare: chi va a Basilea non è necessariamente ricco e/o svizzero. Ma nutrirsi è necessario. Qui però c’è un mix letale di qualità (mediamente pessima) e costi (mediamente stellari – non stellati) che fa cascare le braccia. Non è che non ci provino: tante fiere (collaterali) stanno proponendo soluzioni dignitose per sfamare i visitatori non milionari (e si, abbiamo lasciato il cuore nella jungla urbana della fiera June con bar e mini pizzeria clandestina), il Tinguely ha aperto il Roth Bar (Roth come Dieter Roth, of course), il Gegenwart ha inaugurato uno sky bar (che però apre alle cinque del pomeriggio). E così non restano che le rare soluzioni di ripiego che ognuno si tiene gelosamente per sé, oppure bisogna affidarsi a fortunate coincidenze – che poi non sono realmente tali – come la tappa basilese del progetto franco-portoghese di ristoranti pop-up ONA. Quasi impossibile trovare posto, ma poi ti ritrovi un’ex cisterna per l’acqua in cima a una collina, con bracieri enormi su cui si cucinano agnelli e verdure, chef e personale di sala giovanissimo e cibo buono. Per gli standard svizzeri, super buono!

– Marco Enrico Giacomelli

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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