5 mostre a New York per raccontare il 2020

È un’impresa quasi impossibile sintetizzare il 2020 in cinque mostre. Noi ci abbiamo provato, selezionandole all’interno dell’attuale calendario espositivo newyorkese.

Mentre un lunghissimo 2020 si avvia verso la fine, l’arte riflette su ciò che quest’anno di sofferenze, paure e scontri sociali lascia dietro di sé. In tutto il mondo artisti e curatori si interrogano su come riflettere i turbamenti di un momento che sarà raccontato nei libri di storia ma che, per essere realmente compreso, non può ignorare l’unicità delle esperienze personali e delle storie individuali che lo compongono. Abbiamo selezionato alcune mostre in corso in questi giorni a New York che offrono importanti spunti di riflessione, per chiudere il 2020 con la speranza di aver almeno imparato qualcosa.

Maurita Cardone

20/20 ‒ DAVID ZWIRNER GALLERY

Toba Khedoori, Untitled, 2020 © Toba Khedoori. Courtesy the artist & David Zwirner & Regen Projects

Toba Khedoori, Untitled, 2020 © Toba Khedoori. Courtesy the artist & David Zwirner & Regen Projects

Una collettiva con opere di artisti della scuderia Zwirner prova a raccontare le nuove visioni scaturite da questo difficile anno. Barbara Kruger, Yayoi Kusama, Oscar Murillo, Richard Serra e molti altri scelgono ognuno mezzi e linguaggi diversi, ma tutti i lavori sembrano attraversati da una sorta di preoccupazione intima, interiore, che porta a un ripiegamento verso se stessi.
Il 2020 potrebbe passare alla storia come uno spartiacque, è la constatazione da cui partono i curatori, e allora la domanda è cosa ci aspetti dopo. “Sebbene non possiamo conoscere il futuro” ‒ si legge nel comunicato stampa che accompagna la mostra ‒, “le nostre menti non fanno che speculare, ripensando ansiosamente e cercando una visione che vada oltre. Qualsiasi sia quella visione, che implichi una rinascita o una serie di nuovi inizi, gli artisti possono aiutarci a immaginarla, poiché il lavoro che stanno facendo ora può contenere i semi del futuro che non possiamo ancora vedere”.

New York // fino al 19 dicembre 2020
20/20
DAVID ZWIRNER
537 West 20th Street
https://www.davidzwirner.com

SELF MUST DIE ‒ PETZEL GALLERY

Derek Fordjour, Procession (After Ellis Wilson), 2020. Courtesy Petzel Gallery

Derek Fordjour, Procession (After Ellis Wilson), 2020. Courtesy Petzel Gallery

Questa personale dell’artista di origini ghanesi Derek Fordjour è una risposta diretta al momento storico che stiamo vivendo, un’esplorazione dello stato d’ansia personale e collettivo derivato dal contatto con la morte e dall’ipervisibilità delle violenze razziali.
La mostra è composta da tre parti: la prima raccoglie una serie di nuovi collage, alcuni dei quali attingono dalle tradizioni funerarie africane, altri alludono all’ego dell’artista che deve morire per far emergere il suo io più profondo; la seconda, Fly Away, è uno spettacolo di marionette dal vivo in cui un personaggio ignoto si rivela attraverso una serie di vittorie e sconfitte che suscitano una riflessione sulle idee di dipendenza e autonomia; l’ultima parte è un’installazione scultorea dal titolo Vestibule in cui l’artista ripensa lo spazio espositivo come uno spazio sacro in cui presenta una serie di oggetti intrisi di rimandi alla Bibbia e alla Teologia Nera di James Cone.

New York // fino al 19 dicembre 2020
Derek Fordjour. SELF MUST DIE
PETZEL
456 W 18th Street
https://www.petzel.com

A FRACTURED SIGH ‒ BRAVINLEE PROGRAMS

A Fractured Sigh. Installation view at Bravin Lee Programs, New York 2020. Courtesy Chiara Mannarino

A Fractured Sigh. Installation view at Bravin Lee Programs, New York 2020. Courtesy Chiara Mannarino

Uno degli atti più naturali per l’uomo è diventato il centro focale di ansie e paure: se da una parte la pandemia ci ha insegnato ad apprezzare il semplice atto di respirare, dall’altro ci ha costretti a temere il respiro degli altri. Il 2020 è stato anche l’anno delle proteste del movimento Black Lives Matter, uno dei cui slogan è stato “I can’t breathe”, le ultime parole pronunciate da George Floyd, una delle vittime della violenza della polizia americana nei confronti dei cittadini neri.
Questa collettiva invita a riflettere sulle diverse connotazioni del respirare: le curatrici (Charlotte Bravin Lee e Chiara Mannarino) hanno selezionato un gruppo di opere di dieci artisti, alcune realizzate nel 2020, altre precedenti, che esplorano le idee di contaminazione, restrizione, interruzione e riflessione evocando il concetto di respiro nel contesto degli eventi del 2020. Tra gli artisti esposti, anche l’italiano Alessandro Teoldi che qui presenta due opere realizzate nel corso del lockdown.

New York // fino al 16 dicembre 2020
A Fractured Sigh
BRAVINLEE PROGRAMS
526 West 26th Street
https://www.bravinlee.com

FROM A TROPICAL SPACE – GAGOSIAN GALLERY

Titus Kaphar, The Aftermath, 2020. Photo Maurita Cardone

Titus Kaphar, The Aftermath, 2020. Photo Maurita Cardone

Nel contesto delle proteste del movimento Black Lives Matter, una delle immagini più forti esplorate dall’arte è quella della figura della madre di colore che costantemente convive con la minaccia e la paura di perdere il proprio figlio a causa del razzismo intrinseco alla società americana.
Per la sua prima mostra da Gagosian, Titus Kaphar propone un gruppo di dipinti dai colori saturi, televisivi, dominati da figure di donne tra le cui braccia i figli scompaiono, risultando in un buco, una sagoma vuota ritagliata sulla tela dalla quale emerge il bianco del muro retrostante. Nei suoi lavori Kaphar parte di solito dallo studio della pittura pre-novecentesca, ma in questa serie, dal titolo From a Tropical Space, l’artista sceglie paesaggi iper-contemporanei riprodotti con cromatismi che ricordano quei poster kitsch di località di mare e che entrano in netto contrasto con le espressioni serie e preoccupate sui volti dei soggetti rappresentati. La mostra include Analogous Colors, scelto da Time magazine per la copertina di giugno, dedicata alle proteste per la morte di George Floyd.

New York // fino al 19 dicembre 2020
Titus Kaphar. From a Tropical Space
GAGOSIAN GALLERY
West 21st Street
https://gagosian.com

WE FIGHT TO BUILD A FREE WORLD: AN EXHIBITION BY JONATHAN HOROWITZ ‒ JEWISH MUSEUM

Ben Shahn, We Fight for a Free World!, 1942 ca.. Photo Maurita Cardone

Ben Shahn, We Fight for a Free World!, 1942 ca.. Photo Maurita Cardone

Concepita quando il 2020 sembrava ancora un anno normale, questa mostra oggi assume ancora più valore e significato. Nel 2017, il Jewish Museum aveva commissionato all’artista Jonathan Horowitz la realizzazione di una mostra, prevista per il marzo 2020, che affrontasse il ritorno dell’antisemitismo nella società americana. Selezionando lavori di circa settanta artisti che attraversano un arco di quasi due secoli, Horowitz ha voluto inserire l’antisemitismo all’interno di un più ampio discorso sulla recente recrudescenza di fenomeni di nazionalismo, autoritarismo e razzismo, creando una connessione con il passato e con la sistematica oppressione di certi gruppi demografici.
Ne risulta una riflessione quanto mai attuale nell’anno in cui l’America è stata costretta a guardare in faccia il razzismo sistemico che permea ogni aspetto della sua società. Il titolo è preso in prestito da un’opera di Ben Shahn inclusa nella mostra. Tra gli altri artisti esposti, Glenn Ligon, Marilyn Minter, Gordon Parks, Kara Walker, Andy Warhol, Charles White, oltre che Horowitz stesso.

New York // fino al 7 febbraio 2021
We Fight to Build a Free World: An Exhibition by Jonathan Horowitz
JEWISH MUSEUM
1109 5th Ave at 92nd  St
https://thejewishmuseum.org

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro. Dal 2011 New York è…

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